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giovedì 26 giugno 2014

Riciclaggio: è un "rischio" o un "reato"?

Potremmo chiudere subito rispondendo:
Per il giurista il riciclaggio è un "reato", per l'aziendalista è un "rischio".
Punto. Finito.

Evidentemente la questione merita una riflessione un poco più articolata.
Il riciclaggio, dal punto di vista aziendale, è uno dei principali rischi tipici o rischi operativi, soprattutto con riferimento a particolari realtà economiche, quali quelle operanti nell'ambito bancario, finanziario e assicurativo.

E, in quanto rischio, può essere efficacemente gestito, mitigato, prevenuto.

La domanda che fa da titolo al post, tuttavia, è volutamente fuorviante in quanto è la medesima legislazione che fa cenno esplicito al doppio significato di tale fenomeno criminoso, identificandolo come "rischio-reato" e non solo come "reato".

E, in quanto reato, il riciclaggio deve essere oggetto anche di solide attività di contrasto e repressione.

Si badi bene che prevenzione e contrasto sono esercizi entrambi necessari, ma non devono essere confusi come se fossero componenti di una stessa attività.
Prevenzione e contrasto competono a strutture, presidi e organizzazioni aziendali differenti, sia per le modalità di intervento sia per le finalità perseguite.
Peraltro va sottolineato che qualsiasi struttura aziendale preposta alla vigilanza e ai controlli non potrà mai (e non dovrà mai) sostituirsi a ben altre autorità a cui compete istituzionalmente il potere investigativo e giudiziario. A ognuno il suo ruolo.


Dunque, ricapitolando, se il riciclaggio è anche un rischio (e lo dice il legislatore), è possibile gestirlo ricorrendo ad una "semplice" metodologia chiamata "risk based approach".
Quindi se si introducono in azienda modelli organizzativi sufficientemente efficaci nell'opera di prevenzione del rischio di riciclaggio, allora questa sarà esente da responsabilità.
Inoltre, se parallelamente ad una seria prevenzione si attuasse anche una saggia ed equilibrata attività repressiva finalizzata ad evitare ogni coinvolgimento dell'azienda nel reato, anche inconsapevole, allora quest'ultima si troverebbe ancora meno esposta a giudizi avversi. Sopratutto se non si esitasse a denunziare all'autorità giudiziaria i comportamenti illeciti individuati.
Infine, se tale approccio assumesse il carattere dell'ordinarietà a livello di sistema economico, molto del problema relativo ai fenomeni fraudolenti in generale, sarebbe risolto.

Ma la realtà purtroppo è ben altra.
Sono molti i problemi, anche culturali, che si infrappongono tra utopia e realtà.

Il primo problema è dato, senza dubbio, dalla difficoltà oggettiva di individuare quei criteri operativi idonei ed appropriati per far fronte al rischio di riciclaggio.
Mi riferisco soprattutto a quel sistema di policies e di principi di governance concretamente in grado di rendere difficile (ma non impossibile) il riciclaggio.
E non basta mettere nero su bianco le ormai popolarissime linee guida suggerite dalla letteratura più spiccia:

   1) Predisporre un'adeguata verifica della clientela
   2) Segnalare le operazioni sospette
   3) Valutare e gestire i rischi
   4) Garantire l'osservanza delle disposizioni antiriciclaggio
   5) ...

Questi sono semmai i principi, ma come trasformarli in protocolli operativi?
Questo è il vero problema.

Ad esempio, l'adeguata verifica della controparte, secondo gli approcci di matrice fraud auditing, dovrà implicare un'approfondita attività di corporate intelligence finalizzata ad attribuire una sorta di "scoring". Ciò potrebbe implicare l'attribuzione di un "rating antiriciclaggio" a cui sottoporre, ad esempio, tutti i soggetti rientranti nell'anagrafica fornitori/clienti ovvero tutti i partecipanti ad una determinata gara d'appalto.

In secondo luogo, molte realtà aziendali, anche di notevoli dimensioni, ancora non sono equipaggiate con presidi specializzati nelle attività di fraud auditing, distinte da quelle di internal auditing. Pertanto in molte occasioni si possono riscontrare ampie inefficienze quando, ad esempio, le funzioni di risk management devono far fronte ad un fatto fraudolento accaduto in azienda ricorrendo, purtroppo, ad approcci tipici delle strutture di prevenzione e non a quelle più specializzate nelle attività di fraud detection e fraud investigation.

s.m.



giovedì 12 giugno 2014

Come sei posizionato sul Rating di legalità?

di Silvio Poggi*

Sono passati quasi due anni dall'emanazione dell’art. 5-ter del Decreto Legge 1/2012 che sanciva la nascita di un vero e proprio Rating di legalità per le imprese, una proposta del Governo Monti che stuzzicò subito la mia attenzione. In pochi hanno creduto in questa iniziativa, lo scetticismo e la perplessità erano sentimenti comuni, la dicitura “finirà tutto all'italiana” mi riportava ad una realtà sconfortante.

Eppure ciò mi spinse, al contrario, ad approfondire i contenuti del Decreto, del Regolamento attuativo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) e del Formulario del Rating, allegati e normative inclusi. Trovai, infatti, “compagni di viaggio” che, come me, avevano avuto l’intuizione giusta nel voler credere che questo Paese, pur nelle sue difficoltà ed innumerevoli contraddizioni, non avrebbe mai abrogato, probabilmente, uno dei rari strumenti meritocratici a favore delle imprese.

Certo, occorre ammettere che la presenza preponderante ed il significativo peso che riveste il D.Lgs. 231/01 sul punteggio finale del Rating ha incentivato il mio impegno, considerato che da circa tredici anni indirizzo la maggior parte delle mie attività professionali ai Modelli organizzativi 231.

Questa, comunque, non è stata l’unica motivazione propulsiva.

Sono anch'io un imprenditore, governo un’azienda dal 1996 e la nostra mission è da sempre quella di creare, mediante la consulenza dei nostri esperti e professionisti, tutti i presupposti che permettano all'impresa ed ai suoi dipendenti e collaboratori di potersi realizzare pienamente attraverso una precisa organizzazione interna che li incentivi ad esprimere il loro potenziale.

In un contesto italiano ove le imprese sono quotidianamente costrette a dover far fronte ad impegni economico – finanziari sempre più crescenti e stringenti e ove gli scandali erano e sono, purtroppo, all'ordine del giorno, l’idea del Rating di legalità si conciliava perfettamente con la mia volontà di contribuire a supportare tutte quelle organizzazioni che, al contrario, si distinguevano per tenere alti i valori quali la moralità di comportamento, l’etica e la legalità negli affari, pur operando in condizioni economiche complesse e spesso in territori connotati da alti rischi.

A tale interessante ideazione mancava, tuttavia, un elemento fondamentale, l’ultimo tassello che avrebbe, come si dice, “chiuso il cerchio” all'intera iniziativa, un elemento che stentava dall'essere legiferato a causa del susseguirsi continuo di nuovi Governi che ne allungavano enormemente i tempi: il Decreto dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico che avrebbe dettato le regole d’ingaggio delle banche di fronte alle imprese che si sarebbero presentate con il punteggio di Rating per ottenerne i giusti vantaggi.

Tale Decreto è stato finalmente emanato, in modo del tutto sommario e poco approfondito, appena il 7 aprile 2014.

Nel partecipare ad eventi e congressi, ho avuto la fortuna di incontrare Rino Belloni nel febbraio 2012 trovando in lui un profilo professionale, un’immediatezza di pensiero ed una concretezza esecutiva molto simili alle mie caratteristiche. La nostra collaborazione prosegue, ormai, da più di due anni e la fiducia riposta congiuntamente nel tema in questione ci ha permesso, oggi, di poter festeggiare i primi risultati positivi. Infatti, quando gli accennai del Rating di legalità condivise subito l’idea e mi propose di realizzare un sito internet; non un sito informativo di tipo ordinario ma un veicolo proattivo che permettesse alle imprese di poter effettuare una preliminare compilazione, quale “prova di test”, del Formulario di Rating di legalità con conseguente segnalazione dell’ipotetico punteggio raggiunto sulla base delle risposte fornite.

Con l’intervento specialistico dell’Avv. Maurizio Arena, sono stati elaborati sintetici approfondimenti per tutti i quesiti attinenti l’Autocertificazione mediante l’inserimento di “help” dedicati che potessero coadiuvare l’utente nella compilazione del questionario. È stata, inoltre, prevista la possibilità, in caso di punteggio ritenuto insoddisfacente o basso, di supportare ed assistere l’azienda cliente nella corretta e puntuale predisposizione e redazione dei documenti necessari per presentare formalmente all'Autorità preposta la domanda per l’attribuzione del Rating.

Dietro la complessa attività, citata in poche righe, si nasconde, invece, un percorso particolarmente impegnativo contraddistinto da consistenti riunioni, costanti flussi informativi, continuo apporto di suggerimenti, integrazioni ed aggiornamenti, condotto per più di un anno e che ci ha guidato, il 4 giugno 2014, al lancio ufficiale in rete del sito www.rating-di-legalita.it.

Parallelamente alla costruzione del sito medesimo, si è pensato di sviluppare un progetto pilota che consentisse una concreta simulazione sul campo della bontà tecnica dell’iniziativa.

È stata scelta Pineta Grande S.r.l., Presidio ospedaliero polispecialistico di Castel Volturno, quale oggetto di analisi e di test. L’impresa, tramite l’ausilio del suo Organismo di Vigilanza 231, delle sue risorse interne e del supporto ed assistenza continua della nostra organizzazione professionale, ha percorso tutto l’iter previsto dalla normativa per ottenere il Rating. 

Il prezioso contributo dell’Avv. Claudio Sgambato, la collaborazione dell’Interfaccia interna dell’OdV Vittorio Quagliuolo, il puntuale intervento nella risoluzione dei problemi attinenti la white list da parte di Alfonso Savio ed il confronto - coinvolgimento continuo del management apicale resosi pienamente disponibile rispondendo prontamente ad ogni richiesta venisse posta loro, rappresentano elementi strategici di una eccellente gestione ed organizzazione aziendale. Anzi, l’Autorità ha richiesto, in itinere, all'impresa di fornire un supplemento documentale.

Nonostante le richieste di integrazioni pervenute all'azienda, Pineta Grande è classificata attualmente come una delle pochissime imprese ad aver acquisito dall'Autorità il massimo punteggio ottenibile del Rating di legalità e cioè tre stelle.

A seguito dell’esperienza vissuta devo sottolineare, con piena soddisfazione, che molto è stato realizzato anche grazie all'intervento di diversi professionisti che considero non solo colleghi ma veri e propri amici. Tuttavia il percorso che ci troviamo ad affrontare è ancora lungo e molte sono le incertezze e le insidie da dipanare ed affrontare, una su tutte il ruolo degli istituti di credito: saranno, questi, spettatori passivi della concessione di benefici quasi “imposti” dalle Autorità e protagonisti di confronti non costruttivi con le singole imprese oppure attori del nuovo modo di operare nei confronti delle aziende che, con il Rating, acquisiscono reali diritti di essere ascoltate e supportate nello sviluppo del loro business? 

Tale interrogativo rappresenta il punto di equilibrio tra il successo di una buona idea ed il fallimento della stessa a causa dell’impossibilità di apportare cambiamenti reali al tessuto economico - finanziario del Paese. 

Noi tutti auspichiamo che il Rating possa trovare la giusta considerazione che merita in quanto la stessa Comunità Europea ha da tempo avviato una consultazione con i Paesi membri per introdurre e valorizzare non solo rating finanziari già consolidati ma anche rating di tipo qualitativo promuovendo, altresì, una particolare attenzione alla legalità ed alla trasparenza delle imprese.

Grazie allo scenario appena esposto è possibile definire il Rating di legalità quale strumento di garanzia dell’affidabilità delle imprese.

Di conseguenza, in un Sistema di partenariato quale quello che attualmente si trova in fase dibattimentale presso la Comunità Europea, è logica e diretta conseguenza affermare che il punteggio di Rating possa essere richiesto dai partners europei quale requisito imprescindibile per una collaborazione reciprocamente trasparente ed etica tra le imprese.


*   *   *


Silvio Poggi è:
- Perito del Tribunale di Roma per il giudizio di idoneità ed adeguatezza dei Modelli organizzativi 231
- Revisore Legale
- Professionista Socio Qualificato APCO-CMC n. 2013/002 - Legge n. 4/2013
- Membro dell’Associazione dei componenti degli Organismi di Vigilanza 231
- Membro dell’Osservatorio 231 Farmaceutiche
- Membro di Federmanager


martedì 3 giugno 2014

Manipolazione delle scritture contabili

Sono le cosiddette frodi "on the book" e si sostanziano nell'alterazione delle scritture contabili al fine di fornire al pubblico un'errata rappresentazione di informazioni economiche, finanziarie, patrimoniali o di qualsiasi altra natura. Generalmente si parla anche di "falso in bilancio" ovvero di "false comunicazioni sociali", espressione, quest'ultima, utilizzata dal diritto societario.


Una rendicontazione manipolata della realtà aziendale rappresenta un rischio considerevole per una schiera molto ampia di portatori d'interessi, quali azionisti/soci, investitori, istituti di credito, fornitori, clienti, dipendenti, autorità di mercato, concorrenti (solo per elencarne alcuni) ma anche per lo stesso management

Si tratta dunque di un rischio che deve essere affrontato in primo luogo dal management che ha la responsabilità di attestare che bilancio d’esercizio sia redatto con chiarezza e rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico d’esercizio della società.

E' infatti sui dati ufficiali forniti dall'azienda che i soci e i terzi in generale possono reperire quelle informazioni sulla base delle quali assumere le decisioni riguardanti l'azienda medesima.

Anche se la manipolazione contabile non ha per obiettivo principale la sottrazione di denaro o di altri asset aziendali, un rischio collaterale ma ugualmente grave si potrebbe concretizzare con rilevanti perdite in termini di reputazione e credibilità con conseguenti crolli delle quotazioni o interruzioni di contratti già stipulati.
Inoltre non è da trascurare il fatto che molte decisioni strategiche poggiate su dati non veritieri potrebbero determinare parecchi danni indiretti con conseguenze disastrose.

Tra i fattori che incrementano il rischio di alterazione delle scritture contabili si possono ricordare:
  1. la pressione eccessiva esercitata sul raggiungimento degli obiettivi;
  2. il timore di perdere competitività in termini di carriera;
  3. interessi personali del management sui corsi azionari della società;
  4. la tendenza a predisporre previsioni eccessivamente ottimistiche; 
  5. la necessità di presentare redditi o utili superiori a quelli del settore;
  6. la tendenza a gestire il patrimonio sociale in modo audace e spudorato;
  7. la necessità di nascondere problemi di cash flow che potrebbero portare a problemi ben più gravi di insolvenza.
Ed è proprio per evitare le conseguenze disastrose determinate dalle manipolazioni contabili che il management più virtuoso e lungimirante investe adeguate risorse economiche e tecniche per la gestione di questo rischio aziendale. 
Risorse utili ad assicurare una crescita certamente più serena ed ordinata.