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martedì 24 novembre 2015

Segregation of duties: un efficacie strumento di contrasto alle frodi

di Alberto Gabriele Piva


Segregation of Duties o Separation of Duties (lett. segregazione o separazione dei compiti) è una modalità di organizzazione delle attività svolte in qualsiasi struttura sociale ed è stata considerata dal pensiero illuminista come uno degli elementi costitutivi della moderna concezione di Stato (si veda il concetto di separazione o tripartizione dei poteri in Montesquieu, “Lo spirito delle leggi”, 1748).

Nell'ambito dei sistemi di controllo interno la Segregation of Duties (SoD) è uno strumento efficacie per contrastare le frodi ed è spesso invocata come rimedio per ridurne il rischio.
Per effettuare un’efficacie SoD è necessario identificare i cicli operativi a rischio di frode ed individuare all'interno di questi le attività a maggiormente esposte a questo rischio.

Individuate le attività “a rischio frode”, si procede all'implementazione della SoD. Secondo la prassi internazionale (cfr fra i tanti ACFE, “Fraud-Related Internal Controls”, 2013), la segregazione dei compiti è efficacie se e solo se le attività di:
  • Autorizzazione ad eseguire operazioni;
  • Registrazione dei dati (relativi alle operazioni medesime); 
  • Gestione e movimentazione (fisica o virtuale) dei beni oggetto delle operazioni; 
sono svolte da persone o, più in generale, da entità indipendenti fra loro.


Se una persona o un’entità svolge allo stesso tempo almeno due di queste attività, si creano occasioni per commettere frodi. Infatti:
  • se una persona o un’entità dispone dei poteri per autorizzare operazioni ed allo stesso tempo ne cura la registrazione, essa può scegliere alternativamente di omettere la registrazione delle operazioni oppure di falsificarne i dati presenti nel sistema informativo (es. tramite l’alterazione delle scritture contabili o di altri dati tecnico-economici presenti nel sistema informativo dell’organizzazione). 
  • se una persona o un’entità dispone dei poteri per autorizzare transazioni ed allo stesso tempo è responsabile della gestione e movimentazione dei beni oggetto delle stesse operazioni, essa può distrarre risorse dall'organizzazione attraverso la realizzazione di transazioni formalmente rispettose delle procedure ma fraudolente nella loro sostanza (es. transazioni effettuate in conflitto d’interessi e/o a condizioni non di mercato, interposizione fittizia di entità correlate). 
  • se una persona o un’entità è incaricata di gestire i beni di un’organizzazione ed allo stesso tempo cura la registrazione dei dati relativi alle transazioni collegate a quegli stessi beni, essa può appropriarsi indebitamente dei beni “intercettandoli” prima che la loro acquisizione sia rilevata nei sistemi informativi dall'organizzazione oppure essa può fare un uso indebito o addirittura illegale dei beni dell’organizzazione ad insaputa di quest’ultima (es. appropriazione di incassi da clienti con rilevazione nel sistema informativo dell’organizzazione di “perdite per inesigibilità” per un ammontare pari a quello degli incassi distratti, furto di beni aziendali, peculato d’uso). 
In tutti questi casi, sebbene la possibilità di prevenire le frodi si riduca molto, è ancora possibile individuare quelle già commesse prestando attenzione alle incongruenze (c.d. red flags) individuabili mediante un confronto tra:
  • i dati elaborati dall'organizzazione; 
  • i dati e le informazioni forniti da terze parti (meglio se indipendenti);
  • la verifica dell’effettiva situazione di fatto e di diritto dei beni dell’organizzazione. 
Molto più difficile è invece prevenire ed individuare frodi nel caso in cui una persona o un’entità accentri su di sé lo svolgimento di tutte le attività di un’organizzazione.
In questi casi, la possibilità di prevenire ed individuare frodi è di gran lunga inferiore. Infatti, chi svolge o sovraintende allo svolgimento di tutte le attività (i.e. gestione dei beni, autorizzazione ed registrazione delle operazioni) non solo ha la possibilità di commettere frodi ma anche di eliminarne le tracce delle transazioni fraudolente cancellando molte delle incongruenze rilevabili. 

In questo ambito rientrano non solo le frodi compiute da persone o entità alle dipendenze di un’organizzazione ma quelle compiute da chi dirige ed amministra l’intera organizzazione ovverosia i suoi vertici. Chi sovraintende l’intera operatività di un’organizzazione ha in sé non solo il potere di autorizzare l’esecuzione di operazioni ma anche quello di gestire i beni collegati a tutte le transazioni ed di elaborarne le relative informazioni.

La SoD è quindi un strumento molto efficacie per ridurre il rischio di frode tuttavia, come ogni attività di controllo e prevenzione, essa comporta per l’organizzazione il sostenimento di costi e può provocare una perdita di efficienza complessiva (es. riduzione della velocità nell'esecuzione dei compiti). 

La SoD è in ogni caso poco efficacie nei casi di frodi commesse dai vertici di un’organizzazione.

Un sistema anti-frode ed in generale un sistema di controllo interno efficiente è frutto di una valutazione dei benefici e dei costi generati dall'implementazione del controllo e dall'importanza che le attività oggetto di segregazione hanno all'interno dell’organizzazione. L’efficacia dei controlli anti-frode ed in generale dell’intero sistema dipende invece dalla condotta delle persone che appartengono ad un’organizzazione ed in particolare dei suoi vertici.

Alberto Gabriele Piva
Dottore commercialista e Revisore legale dei conti



domenica 15 novembre 2015

La "truffa del leasing"

Nell'ambito delle frodi finanziarie va sicuramente menzionata la "truffa del leasing".

Si tratta di una tipologia di raggiro molto diffusa, che ha coinvolto in passato personalità di primo piano del mondo dello spettacolo, dello sport e dell'imprenditoria.

Lo schema di frode è semplice ed è sviluppato da gruppi criminali specializzati e ben organizzati che operano nel mercato dei beni di lusso di alta gamma, quali automobili di grossa cilindrata, superyacht e jet privati.


Il meccanismo, come detto, è semplice.
Nella prima fase della truffa è utilizzata una società con lo scopo di prendere in leasing, ad esempio, una fuoriserie.
Dopo aver pagato la commissione per l'apertura della pratica e versato la prima rata (e l'eventuale maxi-canone), la società locataria sospende i pagamenti periodici e sparisce con il bene preso in leasing.

Solitamente i beni, siano essi veicoli o yacht, sono trasferiti all'estero (soprattutto nell'Est Europa o in Africa) e rivenduti ad ignari clienti, grazie l'esibizione di documenti di proprietà contraffatti.
Le offerte di vendita sono pubblicate su siti internet specializzati, sottolineando che il bene non è mai stato utilizzato o che è stato ricondizionato in modo tale da farlo apparire "come nuovo".

Secondo le statistiche elaborate dalle forze di polizia tributaria, in Italia si verificano circa 1.500 casi all'anno riconducibili alla "truffa del leasing" con un giro d'affari stimato in 60 di milioni di euro. Inoltre, lo schema di frode appena descritto è in aumento anche con riferimento ai mezzi agricoli, camper, camion, gru, mezzi per lo spostamento terra eccetera.



domenica 1 novembre 2015

Il bilancio e le riformate false comunicazioni sociali

di Alberto Gabriele Piva*


Le parole della riforma: una riflessione per una definizione alternativa di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero




La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali ha modificato il panorama e gli schemi di ragionamento che commercialisti, sindaci, revisori, attestatori ed altri operatori della contabilità erano abituati ad adottare prima della sua introduzione.

L’abolizione del riferimento esplicito agli aspetti valutativi ha subito innescato una serie di riflessioni (sia in dottrina sia in giurisprudenza) sintetizzabili in questi passaggi logici:
  1. La riforma ha abolito il riferimento alle valutazioni;
  2. La riforma fa riferimento ai soli fatti e non più alle informazioni;
  3. Le “mere” valutazioni, quindi, non sono più penalmente rilevanti.
Questa interpretazione – che sul piano pratico ha già avuto i suoi primi effetti nelle sentenze della Cassazione (es. Cassazione Penale, Sez. V, 30 luglio 2015 n. 33774) – non può essere considerata l’unica possibile. Molti autori hanno fatto notare sin da subito le difficoltà, i rischi e le implicazioni negative che questa interpretazione può avere (ex pluribus Mucciarelli e Bana). Per correggere questa tendenza, esiste, tuttavia, una soluzione applicabile sin da subito alternativa a la “riforma della riforma”.

Sarebbe infatti sufficiente riflettere su cosa sia effettivamente la contabilità ed inquadrare la nozione di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” in quest’ottica.
La contabilità non è altro che il sistema per la rilevazione di fatti che hanno impatto a livello economico (i.e. che sono rilevanti, appunto). Essa è una lingua che traduce in moneta di conto gli accadimenti di un’entità. Gli specialisti di questa lingua (commercialisti e gli altri esperti contabili) selezionano e traducono in base a codificazioni comuni (partita doppia e principi contabili) i fatti economici. Altri specialisti (sindaci, revisori, attestatori, etc.) verificano la correttezza e la bontà delle traduzioni in base a parametri comuni (i principi di revisione).

Ogni giorno gli esperti di questa lingua osservano i fatti e gli accadimenti che avvengono in un’impresa, ne valutano gli impatti economici e traducono questi impatti tramite codificazioni comuni in moneta di conto. Ci si accorge immediatamente che ogni volta che si redige una scrittura contabile, si compie implicitamente una valutazione nel momento stesso in cui si decide quanti e quali aspetti di un accadimento hanno impatto economico. Di ciò il legislatore ne è consapevole. Infatti, lo stesso Codice Civile fonda la redazione del bilancio (i.e. la traduzione dei fatti economicamente rilevanti in moneta di conto) su criteri valutativi: il principio di prudenza ed il principio di prevalenza della sostanza sulla forma (cfr. art. 2423-bis c.c.).

Le valutazioni sono quindi il presupposto della redazione di qualsiasi bilancio e non una sua tecnica di redazione evoluta. Se non si effettuasse questo processo, i documenti contabili si ridurrebbero a delle semplici liste di dati non comparabili fra loro.

Se il bilancio è un esercizio di valutazione, che significato hanno in questo contesto il termine “materiali” e l’accezione “non rispondenti al vero”?
Il concetto di materialità deve essere ricondotto al concetto, elaborato a livello mondiale, di “materiality”.
Quest’ultimo è un concetto diverso dall'accezione giuridica comunemente adottata ed è riassumibile nei seguenti termini:
  • un’informazione o un fatto è materiale se la sua omissione o la sua errata rappresentazione influenzano le decisioni economiche prese dagli utilizzatori in base ai documenti di bilancio [cfr. ultima in ordine di tempo IASB e FASB Meeting, Discussion paper, “Conceptual Framework. Qualitative Characteristics 4: Definitions of understandability and materiality”, Luglio 2015, pag. 2 par. 5].
Questa definizione pone, però, un problema: quali sono i criteri per determinare i fatti che sono materialmente rilevanti?

Così come nel campo della traduzione di un testo vi possono essere diversi paradigmi e teorie, anche per la traduzione di fatti economicamente rilevanti in termini contabili possono esserci diverse interpretazioni. Tuttavia, come il processo di traduzione di una lingua ad un'altra, il processo di redazione del bilancio si muove all'interno di limiti comunemente individuati dall’insieme di coloro che lo eseguono o che ne valutano la sua bontà. Per il bilancio e la contabilità, i limiti comunemente individuati sono quelli forniti dai principi contabili e di revisione nazionali ed internazionali e dalle linee-guida delle autorità di vigilanza.

L’elaborazione di questi criteri (i.e. i criteri per giudicare la bontà della traduzione) prevede un’analisi preliminare del contesto in cui opera l’impresa e una successiva valutazione della rilevanza dei fatti inclusi o esclusi dal bilancio, in base alla loro natura qualitativa e rilevanza quantitativa (cfr. Statements on Auditing Standards n.47; si veda anche Livatino, Pogliani, Pecchiari,“Auditing, manuale operativo per la revisione legale dei conti”, Egea per una trattazione sistematica dell’argomento).

Il processo di definizione dei limiti di materialità richiede, quindi, un apprezzamento professionale ben più ampio e molto meno automatico di quello basato, ad esempio, su un’applicazione esclusiva di soglie percentuali come quelle stabilite dalla precedente legge. È un processo che deve necessariamente considerare, ad esempio, l’adeguatezza del sistema amministrativo-contabile che porta alla redazione delle scritture (i.e. il metodo di traduzione).

Se si adotta questa definizione di materialità, è anche agevole definire quali fatti possano essere ritenuti “rispondenti al vero” e, più in generale, quale sia la nozione di veridicità da applicare in questi casi. 
In questo senso, senza fare riferimenti “esotici”, la prassi nazionale ha già elaborato un concetto di “veridicità” dei fatti (contabilmente) rilevanti, affermando che la veridicità dei dati contabili “non può essere intesa nel senso di “verità oggettiva”, quanto piuttosto nel senso che il processo di produzione dell’informazione economico-finanziaria si basi su un sistema amministrativo-contabile adeguato (cioè idoneo a contenere il rischio di errori rilevanti) e che i redattori dell’informazione operino le stime in modo corretto, pervenendo a un’informazione attendibile e imparziale” (cfr. “Principi di attestazione dei piani di risanamento”, par. 4.2.1), tenendo in considerazione che “errori, semplificazioni e arrotondamenti sono tecnicamente inevitabili e trovano il loro limite nel concetto di rilevanza [leggasi materialità, NdA] essi cioè non devono essere di portata tale da avere un effetto rilevante [leggasi materiale, NdA] sui dati di bilancio e sul loro significato per i destinatari.” (cfr. OIC 11). 

Il concetto di materialità così definito è ripreso dal nuovo art. 2621 c.c., nella parte in cui si afferma che i fatti materiali e rilevanti devono essere “idonei ad indurre in errore i destinatari”, ovverosia idonei ad influenzare le decisioni economiche prese dagli utilizzatori (cfr. la già citata definizione di materialità elaborata da IASB e FASB).

Escludere le valutazioni dai criteri per determinare la “verità” o la “falsità” di un bilancio fa venire meno uno dei presupposti della redazione delle stesse scritture contabili e non coglie il carattere interpretativo dell’intero processo di redazione del bilancio.
Pensare alla contabilità come lingua di interpretazione, traduzione e sintesi degli accadimenti economici consente di dare al concetto di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” un significato organico ed alternativo, che individua nelle valutazioni e, più in generale nell'aspetto qualitativo, un elemento necessario per individuare la “verità” o meglio la “veridicità” dei numeri di bilancio.


* Alberto Gabriele Piva è Dottore Commercialista, Revisore Legale dei Conti e Certified Fraud Examiner - email: alberto.g.piva@gmail.com