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lunedì 20 giugno 2016

Whistleblowing. Diventeremo tutti delatori?

Whistleblowing o whistlerblower.
Termini ormai utilizzatissimi negli ambienti aziendali, soprattutto negli ambiti preposti al controllo e alla vigilanza. 
Gli autori del blog, tra i primi a parlarne in Italia con un articolo risalente all'aprile 2013 (Il fraud manager), hanno da sempre ritenuto i canali informativi di tipo delatorio dei meri strumenti di contrasto, utili, non più di altri, ad identificare i comportamenti irregolari in azienda.

Strumenti validi solo in presenza di determinate condizioni aziendali di tipo ambientale, strutturale e organizzativo.



Ora l'argomento è assolutamente inflazionato, tanto che ai numerosi convegni sul tema non è infrequente ascoltare sedicenti "esperti" (peraltro palesemente improvvisati) perdersi nei dettagli più articolati e improbabili nell'intento di illustrare quanto sia complicato organizzare un efficacie sistema di whistleblowing, senza, naturalmente, il ricorso ad un consulente esterno.

Siamo agli albori di una nuova moda nel campo della consulenza aziendale?

Negli anni '90 l'argomento principe era il marketing e la promozione pubblicitaria, poi siamo diventati tutti esperti di "modelli 231", di "codici etici" e dei sistemi di controllo e mitigazione dei rischi di frode basati sul "C.O.S.O", poi parlavamo tutti di "bilanci sociali", ultimamente anche di "Climate change & sustainability" e di "integrated compliance"... e ora siamo tutti consumati conoscitori delle tecniche di segnalazione anonima di fatti potenzialmente illeciti o irregolari.

Non ha importanza se la normativa in Italia sia ancora in ampia evoluzione e che manchino linee guida chiare ed univoche. 
Non ha importanza se ci sono ancora importanti difficoltà interpretative, soprattutto in ragione delle disposizioni sulla tutela della privacy o sulla validità probatoria delle segnalazioni raccolte. 
Non ha importanza se i canali attraverso i quali si raccolgono le segnalazioni non assicurino il pieno anonimato dell'informatore o che "quello che fa il fischio... o la soffiata" (il whistleblower appunto) potrebbe anche incorrere nel reato di diffamazione.
Non ha importanza, infine, se questo istituto non abbia avuto i successi sperati in alcuni settori pesantemente intaccati da gravi fenomeni corruttivi.
Tutto ciò non ha importanza. 
Quello che conta davvero è riuscire a vendere in modo massivo il servizio professionale.

Senza contare che l'introduzione dei sistemi di whistleblowing dovranno prevedere numerosi - quanto mai redditizi - aggiornamenti (quando non realizzazione ex novo) di piani di prevenzione della corruzione, di programmi anti-frode, di modelli organizzativi ex dlgs 231/01 e di ogni altra procedura o policy aziendale legata, bene o male, alle attività anticorruzione.

Sarà la storia prossima a dimostrare se con il whistleblowing abbiamo scoperto il rimedio universale alla corruzione, o almeno l'equivalente dell'aspirina per mitigarla un poco.
Oppure se il whistleblowing, molto più banalmente, sia servito solo a gonfiare i conti economici delle grandi società di consulenza e dei più blasonati studi legali.

Visti i "successi" di altre note terapie vendute come risolutive, il dubbio resta. 


mercoledì 15 giugno 2016

Cercasi Computer & Digital Forensics Expert

Posizione di lavoro aperta:


Computer & digital forensics expert

DESCRIZIONE ATTIVITA’:
L'informatica forense (anche chiamata "computer forensics" o "digital forensics") è la scienza che studia l'individuazione, la conservazione, la protezione, l’acquisizione, l'estrazione, l'analisi e ogni altra forma di trattamento del dato informatico al fine di essere valutato in un processo giuridico (civile, penale, amministrativo, tributario o arbitrale) e studia, ai fini probatori, le tecniche e gli strumenti per l'esame metodologico dei sistemi informatici.
Si tratta di una disciplina relativamente recente (la sua nascita si colloca intorno al 1980 ad opera dei laboratori tecnici della FBI).
Con l'aumento dei crimini informatici e di quelli economico-finanziari, si rende necessaria un’applicazione integrale di questa disciplina.
Una nota e prestigiosa società investigativa operante nel settore "corporate & legal", ricercata un "computer & digital forensics expert" da inquadrare nell'ambito della propria struttura organizzativa con sede a Milano.


REQUISITI RICHIESTI:
Titoli preferibili:
Laurea magistrale in una delle seguenti materie:
·         informatica; 
·         ingegneria informatica; 
·         ingegneria elettronica;
·         fisica (con specializzazione nell'ambito informatico-statistico);
·         matematica (con specializzazione nell'ambito informatico).
Saranno considerati titoli di merito:
·         eventuali specializzazioni in Computer/Digital Forensics (corsi accademici e master post-laurea); 
·         corsi e certificazioni relativi alla Computer/Digital Forensics (corsi professionali). 

Capacità/Esperienze:
Al candidato sono richieste conoscenze approfondite a livello logico, architetturale e sistemistico relative a:
·         Sicurezza logica dei sistemi informativi; 
·         Architetture di rete; 
·         Architetture sistemi informativi;
·         Sistemi operativi Unix\MS Windows\Apple Mac Osx\IOS\Android;
·         Conoscenza di software investigativi quali: EnCase, Intella, Forensic Toolkit, Magnet IEF, dtSearch, X-Ways Forensic. Utilizzo dei dispositivi UFED (mobile forensics).
Saranno considerati titoli preferenziali:
·         3/4 anni di esperienza lavorativa nel campo della Computer Security;
·         3/4 anni di esperienza lavorativa nell'ambito dei team di Computer & Digital Forensics delle società di consulenza internazionali e "big4".

Completano il profilo:
·         ottima conoscenza dell’inglese parlato e scritto; 
·         disponibilità a trasferte; 
·         flessibilità di orario;
·         predisposizione alla formazione continua. 

I candidati possono inoltrare il CV aggiornato al seguente indirizzo di posta elettronica:
info.fraud.auditing@gmail.com


lunedì 6 giugno 2016

Sezioni Unite, il falso valutativo (di bilancio) è punibile. Ecco perché.

di Alberto Gabriele Piva *


Il 27 maggio i Giudici delle Sezioni Unite Penali hanno depositato le motivazioni della Sentenza emessa in data 31 marzo 2016, mettendo un primo punto fermo sulla questione del falso valutativo di bilancio chiudendo così la porta ad interpretazioni (sin troppo letterali) del riformato art. 2621 c.c..

A ben guardare le motivazioni della sentenza, sembra che i Giudici della Suprema Corte abbiano letto il blog "Fraud Auditing & Forensic Accounting".
Infatti, gli autori di questo blog sono rimasti piacevolmente sorpresi dal corpus delle motivazioni riportate nella sentenza; la quale inquadra sia il concetto di bilancio d’esercizio sia il processo che ne porta alla redazione secondo presupposti molto familiari ai nostri lettori.
Infatti, le Sezioni Unite ribadiscono che le valutazioni sono il presupposto della redazione di qualsiasi bilancio e non una sua tecnica di redazione evoluta (cfr. post “Il bilancio e le riformate false comunicazioni sociali” del 25/10/2015). 


Sul punto i Giudici affermano che «sterilizzare il bilancio con riferimento al suo contenuto valutativo significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura […] per l'ottima ragione che bilancio non contiene "fatti", ma "il racconto" di tali fatti. Vale a dire: un fatto, per quanto "materiale", deve comunque, per trovare collocazione in un bilancio, essere "raccontato" in unità monetarie e, dunque, valutato (se si vuole apprezzato).» ed affermano perciò che «il redattore di tale documento non può non operare valutazioni» poiché «solo la traduzione in valuta consente una comparazione di entità eterogenee, quali possono essere, ad esempio, un immobile, un macchinario o una materia prima».

Anche sul concetto di “fatto materiale” le Sezioni Unite allineano (come più volte auspicato) le norme del art. 2621 c.c. alla prassi internazionale. 
Nello specifico, i Giudici della Cassazione affermano che il concetto di rilevanza «ha la sua origine nella normativa comunitaria […] che definisce rilevante l’informazione quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori, sulla base del bilancio dell’impresa» (cfr. concetto di materiality in IASB e FASB Meeting, Discussion Paper, luglio 2015, pag. 2 par. 5, in op. cit.). 

La "rilevanza" secondo la Cassazione «non è altro che la pericolosità conseguente alla falsificazione; il che suggella […] la natura, appunto di reato di pericolo (concreto) delle “nuove” false comunicazioni sociali».

Infine la sentenza offre una chiave di lettura del concetto di “non rispondente al vero” che, in analogia a figure esistenti in altri ambiti del diritto penale (es. falso ideologico), è ricondotto ad un principio fondamentale: l’atto valutativo comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale del valutatore, ma si tratta di discrezionalità tecnica delimitata da parametri determinati, tecnicamente indiscussi (i.e. principi contabili).

Le implicazioni di questa sentenza sono molto importanti sia per coloro che redigono i bilanci sia per coloro che a vario titolo li controllano.
Infatti, tutti i “redattori” dei documenti contabili saranno chiamati a esplicitare rigorosamente (e non necessariamente solo in bilancio) i criteri ed i metodi di redazione, mentre i “controllori” dovranno esaminare le risultanze dei propri controlli in maniera più articolata abbandonando un approccio rigidamente e meccanicamente legato alle soglie quantitative di materialità. 
Questo implica un lavoro intenso da parte di tutti gli specialisti della contabilità e degli organi che li rappresentano a tradurre i principi in prassi operative condivise prima che la giurisprudenza sia costretta a dirimere un numero potenzialmente elevatissimo di contenziosi fondati solo sua legittima diversità di approcci metodologici.

La sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione “mette in riga” la disciplina del falso valutativo di bilancio riportandola nell'alveo della prassi condivisa dagli operatori. Questo riporta, come auspicato da tempo, l’attenzione degli operatori ad una maggiore cura nella redazione del bilancio. 
Gli autori, a chiusura di questa serie di articoli sul tema, sperano che questa sentenza contribuisca alla formazione di una cultura ampia e condivisa della trasparenza del mercato, primo vero pilastro della prosperità economica.

* Alberto Gabriele Piva 
Dottore Commercialista, Revisore Legale dei Conti e Certified Fraud Examiner