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mercoledì 5 settembre 2012

Vendita fittizia di partecipazioni

a cura di Lorenzo Peluso*

Con il sostantivo frode s’intende una finalità che una società tende a perseguire tramite mezzi illeciti.
Parlando di frode bisogna sempre provvedere ad identificarne la direzione dell’intento e qualificarne il tipo ovvero, per dimostrare l’esistenza di una frode, occorre tener conto dell’obiettivo a cui la società vuole giungere.
La direzione societaria perseguita è, solitamente, identificabile in due macro classi:

  • frode perseguita da una società in bonis, che tende a celare gli utili e ad esaltare passività o perdite con il fine principale di perseguire minori distribuzioni di utili, di creare riserve occulte illegali, frodi fiscali o evasioni tributarie;
  • frode perseguita da una società in crisi la quale tende a gonfiare i profitti con lo scopo principale di comprimere e/o ridimensionare le perdite di esercizio.
In questa stesura menzioneremo, in via semplificata, esclusivamente le due macro classi identificate per forzosi problemi di spazio, che potrebbero dilungarsi in estesi e articolati volumi di trattazione.
Tuttavia è sempre bene precisare che il delitto fraudolento non richiede il raggiungimento del fine originariamente prefissato per esser considerato tale e non è da trascurare come sovente l’autore possa avere diversi fini da perseguire, ottenibili grazie a una sorta di ambivalenza dei mezzi illeciti utilizzati e utilizzabili. In effetti è facile imbattersi in situazioni in cui esiste una sottrazione di base imponibile al fisco (con l’artificiosa riduzione dei profitti) e, contemporaneamente, si nasconde l’insolvenza di una società collegata, magari omettendo la svalutazione di un credito o la relativa partecipazione, proprio per celare le fragilità del gruppo.

Consideriamo la tipologia di frode forse più frequente nelle aule dei tribunali: quella compiuta da una società in crisi. Si tratta di un’ipotetica società che, pur avendo in grossa parte eliso il proprio capitale e le garanzie per i creditori, cerca di mantenere inalterate, o addirittura espandere, linee di credito già acquisite e, inoltre, cerca di offrire al pubblico un’immagine artefatta in senso positivo, con lo scopo di rendere meno deficitaria la reale situazione patrimoniale e redditizia. La frequenza delle casistiche giudiziali di questa macro categoria è semplicemente identificabile nel fatto che un’insolvenza mascherata spesso conduce al fallimento.
Curioso è che meno scalpore venga destato dalla creazione di riserve occulte da parte di società in bonis (molto più frequenti di quelle commesse da società in crisi), così come appare ugualmente curioso che le società in crisi siano spesso più propense al mascheramento di perdite, evidenziando gli artificiosi utili al punto che preferiscono pagare imposte, altrimenti non dovute, pur di non mostrare la vera perdita al grande pubblico.

Proviamo a descrivere ora una politica di “annacquamento” del capitale, che rientra nella macrocategoria delle transazioni fittizie di vendita, che sovente vengono architettate da società in crisi per celare situazioni potenzialmente catastrofiche.

Al riguardo consideriamo il caso della vendita fittizia di partecipazioni.
Supponiamo che in un dato esercizio per la Società Prima si profili una perdita di 1.500 e immaginiamo la seguente situazione patrimoniale: capitale sociale pari a 150, riserve statutarie pari a 50 e la riserva legale pari a 20.
Una siffatta situazione delinea una perdita superiore al capitale netto della Società Prima che determinerebbe una immediata riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti legalmente ammessi e, addirittura, la necessità di effettuare ulteriori versamenti da parte dei soci.
Le conseguenze delineate sono devastanti: un probabile scioglimento e, dato il presumibile stato d’insolvenza, anche il rischio di essere assoggettati a procedure concorsuali.
L’amministratore delegato quindi, al fine di tamponare la situazione, prende illeciti accordi con la Società Seconda (correlata) e, pochi giorni prima della chiusura dell’esercizio, vende una partecipazione iscritta in bilancio a 1.000 (magari creata ad hoc in corso d’anno per tamponare esigenze similari) per il concordato prezzo di 2.600, realizzando una plusvalenza di 1.600.
La plusvalenza consente di ottenere un artificioso risultato positivo, utile a evitare procedure concorsuali, a discapito dell’interesse di creditori sociali e degli investitori.
Nell’esercizio successivo, la Società Seconda rivende la partecipazione alla Società Prima a un prezzo medesimo a quello di acquisto, non determinando, in tal modo, alcun effetto diretto sul conto economico.
L’effetto conseguente sarà solo un incremento delle immobilizzazioni finanziarie o delle attività finanziarie non immobilizzate, a seconda della natura durevole della partecipazione oggetto di questo fantasioso giro.
Uno schema similare è identificabile, oltre che con un idoneo esame della transazione specifica, attraverso l’attenta analisi dei ratio e della capacità di generare reddito da parte del gruppo.

Schema della frode
(click sull'immagine per ingrandire)