a cura di Lorenzo Peluso*
* Lorenzo Peluso è Senior Manager presso il "Fraud Investigation and Dispute Services department" di Ernst & Young.
Si ringrazia Lorenzo per l'entusiasmo dimostrato nel collaborare con il blog mettendo a disposizione dei lettori le sue ampie esperienze professionali.
Con il sostantivo frode s’intende una finalità che una società tende a perseguire
tramite mezzi illeciti.
Parlando di frode bisogna sempre provvedere ad identificarne la direzione
dell’intento e qualificarne il tipo ovvero, per dimostrare l’esistenza di una frode,
occorre tener conto dell’obiettivo a cui la società vuole giungere.
La direzione societaria perseguita è, solitamente, identificabile in due macro classi:
La direzione societaria perseguita è, solitamente, identificabile in due macro classi:
- frode perseguita da una società in bonis, che tende a celare gli utili e ad esaltare passività o perdite con il fine principale di perseguire minori distribuzioni di utili, di creare riserve occulte illegali, frodi fiscali o evasioni tributarie;
- frode perseguita da una società in crisi la quale tende a gonfiare i profitti con lo scopo principale di comprimere e/o ridimensionare le perdite di esercizio.
In questa stesura menzioneremo, in via
semplificata, esclusivamente le due macro classi identificate per forzosi
problemi di spazio, che potrebbero dilungarsi in estesi e articolati volumi di
trattazione.
Tuttavia è sempre bene precisare che il delitto fraudolento non richiede il
raggiungimento del fine originariamente prefissato per esser considerato tale e
non è da trascurare come sovente l’autore possa avere diversi fini da
perseguire, ottenibili grazie a una sorta di ambivalenza dei mezzi illeciti
utilizzati e utilizzabili. In effetti è facile imbattersi in situazioni in cui
esiste una sottrazione di base imponibile al fisco (con l’artificiosa riduzione
dei profitti) e, contemporaneamente, si nasconde l’insolvenza di una società
collegata, magari omettendo la svalutazione di un credito o la relativa partecipazione,
proprio per celare le fragilità del gruppo.
Consideriamo la tipologia di frode forse più
frequente nelle aule dei tribunali: quella compiuta da una società in crisi. Si
tratta di un’ipotetica società che, pur avendo in grossa parte eliso il proprio
capitale e le garanzie per i creditori, cerca di mantenere inalterate, o
addirittura espandere, linee di credito già acquisite e, inoltre, cerca di
offrire al pubblico un’immagine artefatta in senso positivo, con lo scopo di
rendere meno deficitaria la reale situazione patrimoniale e redditizia. La
frequenza delle casistiche giudiziali di questa macro categoria è semplicemente
identificabile nel fatto che un’insolvenza mascherata spesso conduce al
fallimento.
Curioso è che meno scalpore venga destato
dalla creazione di riserve occulte da parte di società in bonis (molto
più frequenti di quelle commesse da società in crisi), così come appare
ugualmente curioso che le società in crisi siano spesso più propense al
mascheramento di perdite, evidenziando gli artificiosi utili al punto che
preferiscono pagare imposte, altrimenti non dovute, pur di non mostrare la vera
perdita al grande pubblico.
Proviamo a descrivere ora una politica di
“annacquamento” del capitale, che rientra nella macrocategoria delle
transazioni fittizie di vendita, che sovente vengono architettate da società in
crisi per celare situazioni potenzialmente catastrofiche.
Al riguardo consideriamo il caso della vendita fittizia di partecipazioni.
Al riguardo consideriamo il caso della vendita fittizia di partecipazioni.
Supponiamo che in un dato esercizio per la
Società Prima si profili una perdita di 1.500 e immaginiamo la seguente
situazione patrimoniale: capitale sociale pari a 150, riserve statutarie pari a
50 e la riserva legale pari a 20.
Una siffatta situazione delinea una perdita
superiore al capitale netto della Società Prima che determinerebbe una
immediata riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti legalmente
ammessi e, addirittura, la necessità di effettuare ulteriori versamenti da
parte dei soci.
Le conseguenze delineate sono devastanti: un
probabile scioglimento e, dato il presumibile stato d’insolvenza, anche il
rischio di essere assoggettati a procedure concorsuali.
L’amministratore delegato quindi, al fine di
tamponare la situazione, prende illeciti accordi con la Società Seconda
(correlata) e, pochi giorni prima della chiusura dell’esercizio, vende una
partecipazione iscritta in bilancio a 1.000 (magari creata ad hoc in corso
d’anno per tamponare esigenze similari) per il concordato prezzo di 2.600,
realizzando una plusvalenza di 1.600.
La plusvalenza consente di ottenere un
artificioso risultato positivo, utile a evitare procedure concorsuali, a
discapito dell’interesse di creditori sociali e degli investitori.
Nell’esercizio successivo, la Società
Seconda rivende la partecipazione alla Società Prima a un prezzo medesimo a
quello di acquisto, non determinando, in tal modo, alcun effetto diretto sul
conto economico.
L’effetto conseguente sarà solo un incremento delle immobilizzazioni finanziarie o delle attività finanziarie non immobilizzate, a seconda della natura durevole della partecipazione oggetto di questo fantasioso giro.
L’effetto conseguente sarà solo un incremento delle immobilizzazioni finanziarie o delle attività finanziarie non immobilizzate, a seconda della natura durevole della partecipazione oggetto di questo fantasioso giro.
Uno schema similare è identificabile, oltre
che con un idoneo esame della transazione specifica, attraverso l’attenta
analisi dei ratio e della capacità di generare reddito da parte del gruppo.
* Lorenzo Peluso è Senior Manager presso il "Fraud Investigation and Dispute Services department" di Ernst & Young.
Si ringrazia Lorenzo per l'entusiasmo dimostrato nel collaborare con il blog mettendo a disposizione dei lettori le sue ampie esperienze professionali.