AdSense4

Bing

AdSense3

lunedì 27 maggio 2019

Whistleblowing: come cavarsela

Si riporta nel seguito un articolo pubblicato sul n. 120 di MAG (il magazine di Legalcommunity.it), nella rubrica "Obiettivo legalità"
-----------------------------------------------


Whistleblowing: come cavarsela
di grace betti*

Segnalazione anonima: arriva a destinazione nelle più svariate forme, dall’evergreen della posta tradizionale ai canali hotline più moderni. La reazione che provoca al destinatario, che sia il membro dell’OdV, il responsabile Compliance, responsabile Internal Audit oppure responsabile Business Integrity è sempre la stessa: brividi e sudore freddo.

A questo punto, la società ha il dovere di mobilitarsi al fine di accertare la fondatezza o meno delle contestazioni segnalate.


L’intervento tempestivo dell’Avvocato difensore della società assicura che le attività di indagine siano svolte in ottemperanza alle previsioni normative e in caso di implicazioni di natura giuridica è pronto a sviluppare un’adeguata strategia difensiva. 

Sulla base della gravità della segnalazione, al fine di raccogliere evidenze ed elementi utili in relazione alle condotte contestate, si possono intraprendere diverse strade come lo svolgimento di un audit da parte del dipartimento interno alla società oppure di un external audit.

Il conferimento di un mandato penale ex artt. 327 bis e 391 nonies da parte dell'Avv. difensore della società a un consulente tecnico è sicuramente la strategia apparentemente più invasiva ma anche la più adeguata qualora il whistleblowing si rivelasse fondato.

Il consulente esperto in questione infatti, oltre a garantire terzietà e indipendenza – non sempre ascrivibile agli organi di controllo interni alla società, pensare al caso in cui l’ufficio dell’OdV sia dirimpettaio dell’ufficio gestione appalti – investiga e ricostruisce lo schema di frode attuato dal dipendente segnalato sotto il profilo contabile, economico finanziario e amministrativo mediante l’attuazione di un fraud audit. Al termine delle attività, infine, consegna al legale difensore una relazione tecnica pronta per le opportune valutazioni.

Con il mandato penale il consulente tecnico, in aggiunta alle verifiche standard, può svolgere anche attività di digital forensics. Ossia, effettuare un’acquisizione forense del contenuto dei dispositivi informatici aziendali, posta elettronica compresa, in uso al dipendente segnalato, attraverso modalità e procedure che garantiscono l’utilizzabilità in sede legale dei file estratti e, attraverso specifici software investigativi, compiere un’analisi del contenuto di tale materiale.

Così facendo, oltre alla documentazione messa a disposizione dalla società e acquisita durante le attività di audit si possono analizzare (nei limiti di legge) documenti, messaggi di posta e tutto ciò che è presente, ad esempio, sullo smartphone aziendale.

Questo tipo di attività garantisce da un lato la completezza delle analisi e dall'altra parte, soddisfa le esigenze della società e del difensore grazie alla rapidità delle attività di e-discovery nel restituire risultati concreti.

Terminate le attività investigative e una volta presentate le risultanze dell’incarico insieme alla relazione tecnica, il difensore consiglia alla società le eventuali azioni legali da intraprendere. Tuttavia, può anche ritenere di suggerire all'azienda cliente di non sporgere denuncia/querela verso il dipendente.

A questo punto, l'ultimo cassetto della scrivania è sempre disponibile a custodire una relazione in più.


Fraud auditor & Forensic accountant



domenica 12 maggio 2019

"Piani anticorruzione arretrati" (di Ermelindo Lungaro)


Intervista a Ermelindo Lungaro di Andrea D’Orazio
(pubblicata mercoledì 8 maggio 2019 sul Giornale di Sicilia)


La legge “spazzacorrotti” è una misura interdittiva importante, ma come tale agisce a cose fatte, come il pompiere che spegne il fuoco. Per tagliare le radici del fenomeno bisogna invece insistere sulla strada della prevenzione, che nel nostro Paese è stata ben tracciata, ma resta ancora in salita».

Per Ermelindo Lungaro, docente al Master Anticorruzione dell’università Tor Vergata di Roma e presidente di diversi board di vigilanza aziendale, il presunto giro di tangenti scoperto dalla polizia al Provveditorato di Palermo è l’ennesima dimostrazione di un paradosso italiano: «L’esistenza di un valido meccanismo di difesa contro la corruttela, che raramente, però, viene concretamente seguito».

Si riferisce ai piani anticorruzione previsti dalla legge per le amministrazioni pubbliche?
«Sì, perché il più delle non vengono aggiornati dagli enti. Prendiamo il caso di queste ore: il piano stilato dal ministero delle Infrastrutture ha indicato un livello di rischio basso per i Provveditorati alle opere pubbliche, ebbene, adesso, facendo tesoro dell’inchiesta di Palermo, Roma dovrebbe immediatamente rivedere il sistema di prevenzione interno per quest’area (di sua competenza) rendendolo assai più stringente.
Il guaio è che nell'amministrazione pubblica italiana, nonostante i fatti di cronaca che si succedono con impressionante rapidità, spesso questa revisione non viene fatta, e i piani anticorruzione, che dovrebbero essere aggiornati di anno in anno, restano sempre uguali».

Ma al netto degli aggiornamenti, sono almeno applicati o no? 
«L’incidenza è bassa. Molte volte restano lettera morta, nei cassetti delle amministrazioni, oppure vengono considerati come automatismi burocratici, da eseguire meccanicamente, senza una reale volontà di controllo e vigilanza. A monte c’è un ulteriore problema: i piani sono studiati a livello nazionale».

Dunque?
«Non vengono plasmati sulle dinamiche territoriali, locali, e ciò rappresenta un limite, un vulnus, perché il fenomeno corruttivo, a secondo del territorio, può presentarsi con profili diversi ed avere livelli di rischio più o meno elevati. Facciamo di nuovo l’esempio dei Provveditorati: in Trentino e in Sicilia è previsto lo stesso piano anticorruzione, ma è chiaro che Palermo non è come Bolzano, e nell'Isola il pericolo che il crimine organizzato si intrometta negli affari pubblici è molto più alto. Ci vorrebbero piani ad hoc».

Accanto al fenomeno corruttivo in Italia sta crescendo anche quello del whistleblowing? 
«Sì. I casi di impiegati pubblici che segnalano illeciti all'amministrazione stanno crescendo, ma si può fare di più. La sfida è quella di aprire le porte all'esterno, alla possibilità di ricevere segnalazioni da tutti i  ttadini. Alcuni enti lo stanno già facendo».