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lunedì 17 febbraio 2020

Animus nocendi: la concorrenza sleale nel mercato del lavoro

di
Alessio del Negro*


Employees come first” diceva il magnate britannico Richard Branson. Il dipendente prima di tutto. Perché tale figura non si limita ad essere un ingranaggio nell'immensa struttura aziendale, bensì ne costituisce il motore, strumento indispensabile affinché la società in cui lavora possa correre e competere nell'agonistico mondo del business.

Difatti, il mercato del lavoro non si limita ad osservare i principi base della classica legge economica della domanda e dell’offerta, per i quali impera la necessità di trovare risposta ad un primario bisogno occupazionale, ma si estende a tutti gli attori che già sottostanno a tale legge e che sono mossi da aspirazione, ambizione, voglia di cambiamento.

Tuttavia, il passaggio di un dipendente da una società ad un’altra può avere un impatto molto più ampio di quanto si pensi. Se è vero infatti che il lavoratore è un valore aggiunto per l’impresa, è altrettanto vero che anche quest’ultima fornisce strumenti, conoscenze, contatti ed esperienze che non possono essere scisse dal dipendente stesso nel momento di interruzione del rapporto di lavoro, rendendolo una figura difficilmente sostituibile e potenzialmente pericolosa per il business aziendale. Soprattutto se è un’azienda concorrente ad accogliere il lavoratore.

L’ultimo decennio ha registrato un costante aumento di dipendenti trasferitisi da una realtà professionale ad un’altra concorrente ed è un fenomeno che si è diffuso soprattutto tra imprese multinazionali, studi legali e società di consulenza.

Ma qual è il confine tra semplice legge del mercato ed uno storno di dipendenti finalizzato a sottrarre know-how strategico? Cosa è possibile fare nell'eventualità che tale uscita di lavoratori sia guidata da un animus nocendi, ovvero dalla possibile sottrazione di risorse aziendali chiave a scopo di danneggiare una sana concorrenza e quindi rientrante nella fattispecie di reato di concorrenza sleale (ex art. 2598, co. 1 n. 3, c.c.)? 


L’investigazione forense, se utilizzata tempestivamente, può diventare un ottimo strumento di tutela per l’azienda, in quanto garantisce una raccolta di elementi di prova da utilizzare, ad esempio, nell'ambito di una fattispecie di storno di dipendenti (tale da integrare un atto di concorrenza sleale) ai danni di un’organizzazione aziendale o di uno studio legale, attraverso differenti (ma coesistenti) modalità di approccio:
  • indagine informativa sulla società, sullo studio professionale o sulle persone fisiche di cui si sospetta un comportamento irregolare;
  • attività di osservazione dinamica al fine di ottenere informazioni sulle persone fisiche e/o giuridiche potenzialmente coinvolte in tale fattispecie;
  • ove ci fossero le condizioni giuridiche, acquisizione della copia forense dei dati informatici presenti sui dispositivi aziendali (PC, laptop, smartphone) e sulle caselle di posta in uso all'ex dipendente infedele, nonché eventuali server di rete aziendali;
  • attività di indagine dei contenuti e delle risultanze di tale acquisizione, al fine di individuare potenziali fonti di prova (documenti, scambi di email, immagini fotografiche eccetera);
  • attività di analisi degli accessi informatici e delle operazioni svolte sui dispositivi digitali, al fine di comprovare un eventuale utilizzo irregolare degli strumenti aziendali (accessi anomali ai dispositivi informatici, trasferimento di documenti su hardware esterni eccetera). 
Infine, è importante sottolineare che l’attività del forensic accountant, in ipotesi di concorrenza sleale, può fornire un importante contributo nella ricostruzione del fatto e nella determinazione del danno economico subìto dall'azienda, utile ai fini dell’ottenimento di un adeguato risarcimento.

* Fraud auditor & Forensic accountant presso AXERTA S.p.A.