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mercoledì 21 novembre 2012

Frodi assicurative: ruoli e competenze del fraud auditor

Parlare di frodi del settore assicurativo è cosa piuttosto ardua.

La complessità dell'argomento è dovuta all'offerta diversificata dei prodotti assicurativi e alla correlata varietà, pericolosità e diffusione degli schemi di frode a questi associati.
Accanto ai rischi specifici dell'attività assicurativa si devono considerare anche i fenomeni fraudolenti di natura "generica", comuni cioè ad ogni attività economica.
La questione si complica ulteriormente se si considera che i potenziali autori della frode possono appartenere alle più diverse categorie: clienti, periti estimatori, agenti, promotori, liquidatori, personale dipendente, ma anche criminalità organizzata, pirati informatici, contraffattori e concorrenti sleali.

Per tali motivi contrastare le frodi assicurative significa condurre un'autentica guerra quotidiana senza campo, che obbliga il personale preposto alla prevenzione e alle indagini ad un costante monitoraggio delle attività e ad un aggiornamento continuo.

Nel corso della mia attività professionale ho avuto modo di confrontarmi con alcuni fraud manager operanti nel settore assicurativo e ho condiviso con loro parecchie esperienze fatte sul campo. Per quanto ho potuto osservare, le strutture antifrode nell'ambito assicurativo sono mediamente strutturate ed organizzate, competenti sia sui fenomeni illeciti interni sia su quelli derivanti da minacce esterne all'azienda.

I campi di prevenzione e intervento spaziano dalla vigilanza sulla buona reputazione e condotta della propria rete di vendita alle attività antifrode specifiche inerenti le diverse tipologie di prodotto assicurativo, dal monitoraggio di assicurati e contraenti alle indagini riguardanti periti estimatori, liquidatori, professionisti e testimoni.

L'obiettivo primario dell'esperto antifrode è impedire la liquidazione del risarcimento previsto dalla polizza in presenza di truffe e inganni.

In particolare ho potuto verificare come alcuni fraud auditor assicurativi siano particolarmente abili nell'individuare truffe legate alle riparazioni dei danni automobilistici, oppure nella ricostruzione di fatti fraudolenti legati alle polizze infortuni, vita e sanitarie.

Ma quali sono le doti e le capacità richieste al fraud auditor assicurativo?

Innanzitutto la dote generale: il "senso investigativo".
Cioè la capacità di saper leggere tra le righe, di notare le sfumature e di percepire l'inganno.
E' un semplice meccanismo iniziale che di per sé non ha alcun valore ma che può rendere più veloci ed efficaci le attività che il fraud auditor dovrà svolgere.

Al "senso investigativo" è necessario abbinare altri due ingredienti fondamentali: l'esperienza e la competenza tecnica multidisciplinare nelle materie medico-legali, contabili, economico-finanziarie, giuridiche, amministrative, organizzative, informatiche.

Entrando nel merito, un fraud auditor assicurativo potrebbe occuparsi di (in ordine sparso e per chi ha la pazienza di leggere tutto l'elenco):

  • concessione da parte degli agenti di sconti e abbuoni non autorizzati,
  • violazioni da parte della rete di vendita dei diritti di esclusiva,
  • infedeltà e slealtà dell'agente assicurativo,
  • polizze fittizie, 
  • dichiarazioni mendaci, 
  • falsi assicurati, 
  • incendi dolosi, 
  • false perizie sui danni, 
  • richieste di indennizzo gonfiate, 
  • agenti collusi o corrotti, 
  • colpi di frusta simulati, 
  • contraffazioni di firme, 
  • omesse comunicazioni su fatti o informazioni pertinenti la polizza, 
  • distrazioni fraudolente di cespiti assicurati, 
  • false invalidità,
  • false parcelle per servizi professionali, 
  • cancellazioni fraudolente di polizze, 
  • furti e sinistri simulati, 
  • tangenti pagate a broker, 
  • falsità nelle procure o nei poteri di rappresentanza rilasciate dai sottoscrittori delle polizze, 
  • furti d'identità, 
  • falsi (o simulati) decessi, 
  • corruzione di testimoni, 
  • manipolazioni di verbali o di costatazioni amichevoli, 
  • fatture mediche truccate, inquinamenti e contaminazioni dolose, 
  • alterazione o manomissione di reperti, 
  • false denunce di smarrimento o furto, 
  • cartelle cliniche manipolate, 
  • impedito controllo, 
  • riciclaggio, 
  • ostacolo alle autorità pubbliche di vigilanza, 
  • corruzione tra privati, 
  • ...e via dicendo.

In un ambito tanto complesso l'esperienza, la competenza e la tecnica appaiono dunque indispensabili.

Soprattutto è fondamentale la consapevolezza del perimetro legislativo entro il quale è possibile agire.
Le tecniche, gli strumenti e le procedure che si utilizzano devono garantire il pieno rispetto della persona: libertà, dignità e privacy.
E ricordare sempre che il fraud auditor non è la Polizia Giudiziaria!

Infine, come direbbero gli head hunter, "completano il profilo" del fraud auditor assicurativo le capacità di raccolta e conservazione di dati, prove e indizi ma anche di acquisire nella giusta forma le testimonianze rilevanti tra le persone informate sui fatti.
Come pure l'abilità nella redazione di relazioni tecniche da utilizzare in sede penale, civile o amministrativa o le capacità dialettiche e comunicative utili a descrivere un fatto in sede dibattimentale o nel corso di una seduta arbitrale/peritale o ancora l'attitudine a dare supporto alle operazioni condotte dall'Autorità Giudiziaria presso l'azienda o la sua rete di vendita.

Le mansioni del fraud auditor, tuttavia, non possono essere limitate all'azione investigativa. Altrettanto fondamentale, infatti, è l'azione preventiva.

Anche per l'esperto antifrode esiste una sorta di "back office" che si manifesta nel contribuire attivamente, grazie all'esperienza maturata sul campo, al rafforzamento di tutti quei sistemi, programmi, protocolli, procedure e modelli mirati alla prevenzione e alla deterrenza dei fatti fraudolenti di tipo generico o specifico, di origine interna o esterna.

s.m.

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Si veda anche l'articolo: Il "Referente Antifrode" nel settore assicurativo

Casi:
False polizze




martedì 13 novembre 2012

Frodi immobiliari: le vendite a prezzi inferiori


Esiste un unico punto fermo da cui si dipanano le indagini: la frode non deriva solo da un errore o da semplice negligenza, piuttosto è frutto di insistenti tentativi mirati a ottenere illecitamente un profitto.
E non sempre i vantaggi traibili da un’operazione sono evidenti agli occhi della maggioranza. 

Un esempio a conferma di quest’affermazione è lo schema de “Le vendite di immobili a prezzi inferiori”.

La vendita di un immobile a prezzi inferiori rispetto al normale andamento del mercato è solitamente associato ad un pessimo affare da parte di un inesperto venditore.
Come sovente accade, però, non bisogna farsi ingannare dall'apparenza, quello che a prima vista è un pessimo affare può celare reati come la frode fiscale o la creazione di fondi neri destinati a svariate attività illecite.

Ma come funziona?

Lo schema classico si basa nell'interporre nella transazione di compravendita immobiliare un intermediario di fiducia avente lo scopo unico di rivendere l’immobile ad un prezzo superiore rispetto quello di acquisto, destinando l’artificioso utile a fondi neri.

Per comprendere meglio, diamo un valore esemplificativo e una rappresentazione grafica alle transazioni:

(click per ingrandire)

  1. la società PRIMA vende un immobile avente valore di mercato pari a 100 ad un prezzo di 50 (inferiore al valore corrente) alla società SECONDA, intermediario fidato e compiacente, residente spesso in uno “paradiso fiscale”;
  2. la società SECONDA vende a sua volta l’immobile appena acquistato alla società TERZA stabilita in un altro Stato, che può anche essere lo stesso di PRIMA. Generalmente quest’ultima transazione avviene al corretto prezzo di mercato, se non addirittura superiore allo stesso. Nel nostro esempio supponiamo che il prezzo della seconda vendita sia stato di 110; 
  3. la società SECONDA incassa 110 con utile artificioso di 60, che normalmente trattiene in piccola parte come compenso per la prestazione di interposizione (10 nel nostro esempio), destinando la parte restante ad un conto cifrato o alla creazione di un fondo nero, che PRIMA può utilizzare per i suoi scopi illeciti.
Non è tutto: SECONDA, per celare maggiormente l’operazione, può versare i 50 riportati nell'esempio a un’altra Società, magari residente in un “paradiso fiscale” qualora la stessa SECONDA non lo sia, a fronte di servizi di consulenza fittizi.
Tale Società, a sua volta, provvede a generare dei fondi occulti a disposizione di PRIMA, ben lontano dagli occhi indiscreti delle autorità finanziarie: il gioco è fatto e i giocatori raggirati.
L’esempio sopra riportato evidenzia come un apparente “cattivo affare” possa in realtà celare un intento illecito.

Se si vuole vestire l’esempio di cronaca, con tanto di dati concreti e di accadimenti reali, è sufficiente pensare al sistema delle tangenti, che negli ultimi anni si è appoggiato tantissimo a questo collaudato schema.
Infatti, a prescindere dalla facilità di ricostruzione dell’operazione, con una semplice misura immobiliare il venditore potrebbe agilmente giustificarsi con l’aver portato a termine un “cattivo affare”, peraltro asseverato da un regolare rogito notarile.


giovedì 8 novembre 2012

L'ITALIA DEI CRACK di Mara Monti

Sulla mensola del fraud auditor proprio non può mancare "L'Italia dei crack" di Mara Monti.

288 pagine che ricostruiscono con sapiente capacità, degna di un vero fraud auditor, la cronaca giudiziaria e non solo, degli scandali economico-finanziari accaduti in Italia in tempi recenti.
E' un lavoro giornalistico-investigativo di raffinata abilità che abbina le indubbie doti letterarie alle vaste conoscenze tecniche, indispensabili per entrare nel merito in modo chiaro e comprensibile di fatti e misfatti intricati e misteriosi.

Il libro di Mara Monti parla di argomenti cari a noi fraud auditor, cioè di paradisi fiscali, di operazioni irregolari, di frodi ai danni dei risparmiatori, di bilanci truccati, degli stratagemmi della finanza criminale per tirare avanti nonostante le voragini enormi nei conti aziendali.

E' un resoconto puntuale e raffinato snodato nei 14 capitoli, fitti di ricostruzioni e particolari di vicende legate a famiglie e personalità molto note e potenti, quali i Cragnotti, i Tanzi, i Fazio e i Geronzi. 

Probabilmente non è stato facile per una giornalista del Sole 24 Ore scrivere in modo obiettivo e senza sconti, di tresche ripugnanti che coinvolgono potentati che godevano di ampi e consolidati legami e influenze.
E, da fraud auditor, non posso che ammirarne il coraggio e l'audacia.

Per tutti questi motivi suggerisco di leggere "L'Italia dei crack" (Newton Compton Editori) di Mara Monti.



(click per ingrandire)


Mara Monti è giornalista a Il Sole 24 Ore dove lavora alla redazione finanza.
Da 10 anni al quotidiano economico e finanziario si è specializzata in giudiziaria seguendo le principali indagini sugli scandali del mondo bancario e industriale.
Ha seguito i casi Parmalat, Cirio, Bond Argentini, Italease, Giacomelli, Telecom per le vicende dei dossier illegali, Finmeccanica.
Dallo scoppio della crisi finanziaria del 2007, la peggiore dagli anni della Grande Depressione del 1929, si occupa di vicende internazionali fino al crack Lehman Brothers e negli ultimi anni ha seguito la crisi del debito sovrano in Europa e in Italia.

Ha scritto il libro “L’Italia dei crack” ed è coautrice di “Gialli finanziari, otto casi italiani e internazionali” (Cairo Editore). Ha inoltre firmato pubblicazioni per Il Sole 24 Ore. 

Prima de Il Sole 24 Ore, Monti ha lavorato a Radio 24 e come chief editor all’agenzia internazionale Dow Jones Telerate del gruppo editoriale che pubblica il Wall Street Journal.
Alla fine degli anni '90 si è occupata della crisi dei paesi emergenti lavorando alcuni mesi alla redazione di Singapore della Dow Jones Newswire. 

Laureata in Economia all’Università di Bologna con una tesi sul commercio internazionale parte di una ricerca del CNR (Centro nazionale per le ricerche), Monti ha un master in Relazioni Internazionali alla London School of Economics di Londra.


Per chi fosse interessato all'acquisto on-line: L'Italia dei crack.



domenica 4 novembre 2012

Banco Ambrosiano Holding S.A. (commento di Carlo Calvi)

Ancora una volta ho approfittato della gentile disponibilità di Carlo Calvi per sottoporgli alcuni quesiti riguardanti i rapporti tra il Gruppo Banco Ambrosiano e il Gruppo ENI sul finire degli anni '70, descritti sinteticamente nel post Banco Ambrosiano Holding S.A. (Luxembourg).

Vista la sua assoluta conoscenza degli avvenimenti, ho richiesto innanzitutto una valutazione generale sull'argomento e, in particolare, di esporre il suo personale punto di vista sulle reali finalità delle operazioni descritte nel mio post.

Soprattutto mi interessava chiarire un aspetto poco conosciuto riguardante la presunta proposta di Florio Fiorini di trasformare l'esposizione del Gruppo ENI verso le consociate estere del Banco Ambrosiano, in pacchetti azionari (da non dimenticare che ENI era all'epoca un'azienda di Stato costituita ai sensi della Legge 136/53, mentre il Banco Ambrosiano era la più importante banca privata italiana). Pare che il suggerimento costò il posto a Fiorini.

Ho quindi ricevuto dal dott. Calvi il seguente commento, che pubblico integralmente.

Lo scritto contiene alcuni riferimenti molto interessanti che mi piacerebbe approfondire.
Parlo del biglietto da visita ritrovato a Londra quel giovedì 17 giugno 1982 e delle memorie originali lasciate da Roberto Calvi.
Non mi resta che ritornare sulla vicenda.



 *   *   *

commento di Carlo Calvi

Nel post "Banco Ambrosiano Holding S.A. (Luxembourg)" viene opportunamente evidenziato il ruolo cruciale svolto da Banco Ambrosiano Holdings (BAH) nel controllo e finanziamento delle entità estere del Banco Ambrosiano (BASPA). Si è notato che l'effettiva gestione operativa originava da Milano.

Mio padre era affiancato dai tre dirigenti dell'estero, Filippo Leoni, Giacomo Botta e Carlo Costa che curavano l'esecuzione pratica. Alcune di queste entità avevano modificato il loro nome sociale in "Ambrosiano" rinforzando questa realtà, su cui non potevano non aver fatto affidamento le banche creditrici estere.

Il già esistente Concordato di Basilea affermava l'esigenza dell'applicazione della prassi contabile dei bilanci consolidati di gruppo. Si auspicava la responsabilità primaria dell'organismo di vigilanza del paese della banca madre. Si anticipa qui lo stesso impaccio istituzionale che incontreremo più oltre parlando dell'intervento nel 1978 di ENI e BNL. La Banca d'Italia, allora unico organismo indipendente e professionale, doveva contendere con il ruolo preponderante svolto dai vari gruppi di interesse economico pubblico o privato.

La Tabella proposta illustrante i principali finanziatori BAH dal 1978 al 1982 rappresenta molto bene l'ambiguità prodotta da questo conflitto: il ruolo di contrasto alla vigilanza svolto dalle due società di stato, ENI e BNL.
Le banche estere a cui si chiese di partecipare all'approvvigionamento di BAH e che insistettero per garanzie esplicite da parte di BASPA si risparmiarono lunghi negoziati per arrivare a concludere delle transazioni.

Gli esempi e le motivazioni di chi non fu cosi prudente e che vengono citati nel post, sono di impressionante incisività. Al Saudi Banque e AP Bank intervennero su intervento diretto del finanziere Peter De Savary.
De Savary aveva più di uno scopo. La fusione della sua banca Artoc con BAOL era avversata da Banca d'Italia e lui voleva assicurarne la riuscita. Robert Bease, responsabile di Artoc a Nassau doveva prendere il posto di Pierre Siegenthaler, ormai testimone scomodo.

Si sa che mio padre aveva su di sé, al momento del ritrovamento del cadavere, il biglietto da visita di Colin McFadyean, dello studio Slaughter&May, avvocato di Ellsworth Donnell, dirigente Artoc a Londra, e che la polizia cercò di occultarlo.
Artoc finì per essere perseguita da BASPA nei tribunali di New York proprio nei postumi dei famigerati "back to back".

Mi si chiede di situare nella mia esperienza i finanziamenti ENI a consociate offshore del Banco Ambrosiano e in particolare di spiegare l'intervento in extremis di Florio Fiorini, che propose di trasformare questa esposizione in pacchetti azionari di controllo delle consociate estere di BASPA.
Fiorini ha dato una spiegazione del tutto contingente e asettica.

I paesi produttori di petrolio apprezzavano la possibilità di piazzare ingenti disponibilità in istituzioni finanziarie offshore ENI. ENI a sua volta cercava di ottenere i più alti rendimenti per queste rilevanti liquidità.
Questa spiegazione non é convincente.

Nel periodo precedente al 1978, i rapporti tra Banco Ambrosiano e Banca d'Italia ai fini di ottenere le necessarie autorizzazioni di effettuare depositi di banche italiane con entità offshore, erano condotte dal Dott. Guglielmo Zoffoli, già funzionario di Banca d'Italia.
Ai margini di tali rapporti mio padre, preoccupato di temporeggiare su fusioni o acquisizioni di cui BASPA sarebbe inevitabilmente stato oggetto, intratteneva rapporti con altri gruppi economici e politici che condividevano l'obiettivo espresso di aggirare le restrizioni della Banca d’Italia.

E' quanto si evince da quel tanto di documentazione da lui lasciato a Bahamas.
Mio padre lasciò memorie originali del Dott. Filippo Leoni, che illustravano l'integrazione dell'intervento ENI non solo nella operatività delle consociate del BASPA ufficiali ma anche di quelle occulte.
Io stesso le consegnai ai Dott. Antonio Pizzi e Renato Brichetti già giudici istruttori del processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano a Milano. Ne confermai la provenienza all'allora capitano Pietro De Luca e al maresciallo Francesco Carluccio durante una loro visita a Nassau, come da verbali della Guardia di Finanza.
Le memorie suggeriscono un partenariato di ENI nelle entità offshore di BASPA.

Pierre Siegenthaler, dirigente locale di BAOL a Nassau, era membro del consiglio di Tradinvest del gruppo ENI. Nel corso della operazione nota come Petromin, che fu oggetto di indagine da parte di una Commissione Parlamentare così come dalla Magistratura, ai margini di contratti petroliferi si costituì una disponibilità ai fini di pagare delle tangenti.

Ricordo distintamente la preoccupazione manifesta di Siegenthaler nell'inverno 1979-1980, di essere chiamato a testimoniare a Roma, cosa che non avvenne perché l'indagine fu archiviata.