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lunedì 8 luglio 2019

Forensic Accounting & Accounting fraud (di Marco Tutino e Matteo Merlo)

Tutino, M., & Merlo, M. (2019). 
Accounting fraud: A literature review. Risk Governance and Control: Financial Markets & Institutions, 9(1), 8-25.
http://doi.org/10.22495/rgcv9i1p1



Forensic Accounting & Accounting fraud 

Negli ultimi decenni, si è assistito ad una forte crescita all’interno delle fraud investigation del ruolo del forensic accountant. Questa nuova figura professionale è nata dalla necessità di unire le conoscenze contabili con quelle di tipo investigativo, svolgendo un’attività che, come lo si può dedurre dal nome, non è strettamente in materia di frodi o crimini economici bensì si concentra nella “determinazione quantitativa attinente alle fattispecie possibili oggetto di controversie” (Pogliani, Pecchiari e Mariani, 2012).

All’interno della letteratura vi sono diverse definizioni di forensic accounting a seconda del lavoro in cui sono state specificate, e aventi in comune nel più dei casi un focus sull’aspetto contabile. Tuttavia Huber e Digabriele (2014), dopo una revisione delle numerose enunciazioni date negli anni sono arrivati alla conclusione che il forensic accounting è molto più complesso di ogni definizione che sia in grado di riassumerlo. La spiegazione sta nel fatto che tale definizione dovrebbe raccogliere tutti i settori in cui il forensic accountant opera (tra cui amministrazione, controllo, criminologia, raccolta dati, finanza, economia, giurisprudenza ecc.) e le sue principali capacità.

Il Forensic Accountant deve essere uno specialista in contabilità e in sistemi finanziari. 
Data la forte crescita nella dimensione e nella complessità delle società, scoprire le frodi richiede al forensic accountant di diventare esperto in tutte le competenze professionali e le capacità emergenti. Tra le abilità principali possedute dai FCA (Forensic Chartered Accountant) troviamo: la conoscenza approfondita dei bilanci e la capacità di saperli interpretare in modo critico; l’individuazione degli schemi di frode tra cui l’appropriazione indebita, il riciclaggio di denaro e la corruzione; la conoscenza dei computer e dei network così da poter condurre investigazioni in materia di e-Banking e di sistemi contabili digitali; piena conoscenza delle politiche di corporate governance e delle leggi che regolano queste politiche; l’abilità di comprendere i sistemi di controllo interno delle aziende e disporre un sistema di controllo che analizzi rischi, raggiunga gli obiettivi di gestione e informi i dipendenti delle loro responsabilità sul controllo (Bhasin, 2016). Tuttavia il ruolo del c.d. contabile forense è svolto da una persona con capacità a grandi linee simili a quelle dei revisori legali, motivo per cui talvolta le due figure si possono sovrapporre. In questo caso un interrogativo centrale che viene posto da Digabriele (2009) è se le competenze del forensic accountant dovrebbero essere aggiunte alle capacità dei revisori legali, in modo da accrescere la probabilità di rilevare la frode. L’analisi effettuata negli USA su un campione casuale di accademici di accounting ha evidenziato che il forensic accounting (FA) ha un ruolo nel processo di revisione e i revisori stessi potrebbero avere bisogno di aggiungere delle capacità a quelle che già hanno, dato il cambiamento del mercato. Alla luce della domanda che ci si è posti inizialmente, si può affermare che successivamente alla pubblicazione dell’elaborato si è aumentata la consapevolezza dei revisori sull’importanza di acquisire le capacità fondamentali di forensic accounting.

Nella letteratura si discute in modo approfondito sul tema delle conoscenze che i forensic accountant devono possedere, questo è molto vario e dipende dalle nazioni in cui la ricerca è stata effettuata. Questa forte correlazione tra la nazione in cui viene svolta l’attività di forensic accounting, nel processo di individuazione delle frodi, e le capacità che questo deve possedere sta proprio nei tipi di illeciti perpetrati. Prendendo ad esempio l’Italia, secondo i dati riportati da PWC nel “Global Economy Crime Survey” del 2018 circa il 45% delle società presenti nella ricerca ha dichiarato di avere subito crimini informatici. Difatti, come è stato riportato precedentemente da Bhasin (2016), il forensic accountant deve ben conoscere i computer e i sistemi di rete. I crimini informatici, in Italia, sono seguiti dall’appropriazione indebita al 42%, dalle frodi commesse dai consumatori (32%) e dalle frodi contabili (24%).

Nel caso del Regno Unito il forensic accounting è un campo multidisciplinare di attività, meno focalizzato sulla contabilità di come lascerebbe pensare il suo nome, e dominato da dottori commercialisti. La caratteristica che qualifica il forensic accountant non sono le sue conoscenze in materia contabile bensì le molte capacità analitiche e comunicative che possiede (Hegazy, 2017).

Nel settore pubblico nigeriano, invece, a causa del forte sviluppo del fenomeno fraudolento, la presenza del forensic accountant è consigliata all’interno delle agenzie di anticorruzione, generando così effetti significativi sulla scoperta delle frodi (Gbebi e Adebisi, 2014).

La letteratura si sofferma anche su quali sono i metodi e gli argomenti di ricerca. Nello specifico delle rilevazioni delle frodi in bilancio (o financial statement fraud) la strategia principale di rilevazione del comportamento ingannevole sta nell’individuare il raziocinio degli obiettivi del soggetto frodante (Johnson, 1993). Però, talvolta l’assenza di diversità nei metodi utilizzati ha il potenziale di compromettere il contributo totale del lavoro di forensic accounting (Digabriele e Huber, 2015).

L’applicazione del forensic accounting non avviene sono all’interno dell’azienda, come si potrebbe pensare, a questa si affiancano ulteriori campi in cui viene utilizzato, tra cui le investigazioni giudiziarie. È proprio nei processi e nelle cause che tale figura può rivelarsi molto utile in supporto ai magistrati e ai pubblici ministeri, per analizzare in modo più approfondito gli schemi finanziari, i bilanci o i documenti contabili che non sono di materia prettamente giuridica. Il forensic accounting si occupa di investigazioni di crimini aziendali in numerose nazioni, ad esempio gli U.S.A. e il Regno Unito. Attualmente nei procedimenti ci si rivolge spesso ad esperti contabili per opinioni e relazioni, che non possono essere poi verificate. A causa di ciò si assiste ad un prolungamento della durata del procedimento investigativo e delle successive procedure coinvolte nel processo. I risultati della ricerca condotta da Kolar (2013) su un campione di pubblici ministeri e di investigatori mediante delle interviste affermano che questi non possiedono sufficienti conoscenze in materia da investigare in modo efficace sui documenti contabili. Sono poi gli stessi intervistati a dichiarare che di essere a conoscenza della figura del forensic accountant e di credere che le sue conoscenze possono beneficiare nelle investigazioni sulle frodi aziendali. Anche Quirin (2014) affrontando un caso attuale su cui ha personalmente lavorato come forensic accountant, ci mostra che questa figura può essere di supporto e aggiungere valore alle aree del contenzioso, confermando così i punti esposti precedentemente.

Per questi motivi, il forensic accounting si conferma un argomento di centrale rilevanza, insieme al fraud audit, per la rilevazione e l’investigazione sulle frodi contabili e aziendali. Il suo punto di forza, rappresentato dal fatto che è un mix di conoscenze che precedentemente erano in capo a diversi soggetti, fa si che questo ruolo sia classificato tra le top-20 professioni del futuro.

(seguiranno altri aggiornamenti sul tema)



domenica 30 giugno 2019

Know your customer: come si deve muovere l’Avvocato

Si riprone un articolo pubblicato sul MAG n.122 (10 giugno 2019) di Legalcommunity.it 
di Sabrina Familiari*


Il riciclaggio. L’arma usata dalla criminalità per reimmettere nel circuito delle attività economiche lecite i proventi derivanti da attività illecita.
Cambia in fretta stile e modalità di comportamento ed è al passo con l’evoluzione del sistema, cercando di adeguarvisi.


L’Avvocato deve porre in essere un’intensa attività di prevenzione adempiendo ad una serie di obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e di monitoraggio. Ai sensi dell’art. 3, comma 4 lett. c) del D.lgs. 90/2017, attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, quando un Avvocato compie, in nome o per conto del proprio cliente, qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare, il primo obbligo a cui deve adempiere è quello di adeguata verifica.

Ma come si deve muovere l’Avvocato prima dell’instaurazione di un rapporto continuativo o prima del conferimento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione professionale, ovvero prima dell’esecuzione di un’operazione occasionale?

Innanzitutto, la disciplina contenuta all’art. 19 del D.lgs. 90/2017 impone all’Avvocato di adempiere al cd. know your customer. Deve provvedere ad identificare il cliente in presenza del medesimo o, in alternativa, in presenza dell’esecutore o di dipendenti e collaboratori del soggetto obbligato.

Nel caso in cui il cliente fosse un soggetto giuridico, l’Avvocato deve identificarlo attraverso la verifica dell’identità del titolare effettivo (o dei titolari effettivi) o della persona fisica (o delle persone fisiche) che esercita il potere di rappresentanza ed è delegato alla firma per lo svolgimento di operazioni.

È sufficiente acquisire i dati identificativi forniti, previa esibizione di un documento d’identità in corso di validità o altro documento di riconoscimento equipollente.

Onere dell’Avvocato è quello di valutare la veridicità dei documenti ricevuti nei limiti della diligenza professionale.

È nell’ipotesi in cui non è possibile effettuare l’adeguata verifica che l’Avvocato deve astenersi dal compiere una qualsiasi operazione.

Non tutti i clienti sono uguali però.

Un privato che detiene la residenza in un paese terzo ad alto rischio, o che intrattiene dei rapporti di corrispondenza transfrontalieri con un intermediario bancario o finanziario con sede in un paese terzo.

Un consulente che intrattiene rapporti continuativi o occasionali con clienti e relativi titolari effettivi che rivestono la qualifica di persone politicamente esposte.

Un professionista che compie operazioni caratterizzate da importi insolitamente elevati rispetto alle quali sussistono dubbi circa la finalità cui le medesime sono, in concreto, preordinate.

Sono tutti esempi di potenziali clienti per i quali l’Avvocato deve applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela ai sensi dell’art. 24 del D.lgs. 90/2017.

Queste “misure rafforzate” si sostanziano nell’acquisizione di maggiori informazioni sul cliente o sul titolare effettivo; in una più accurata valutazione della natura e dello scopo del rapporto; nell’intensificazione della frequenza delle verifiche e in un maggiore approfondimento delle analisi di controllo del rapporto.

Tuttavia, i compiti dell’Avvocato non terminano qui. È tenuto inoltre a svolgere le attività di monitoraggio e di tracciabilità delle operazioni compiute dal cliente; di conservazione della documentazione di supporto e di segnalazione delle operazioni sospette all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF).

*AML Specialist & Forensic accountant



mercoledì 26 giugno 2019

Il sistema dei controlli “231”: verso una Compliance 2.0 (2^ parte)


Il sistema dei controlli delineato dalla “231”
Le opportunità della correlazione tra
l’Organismo di Vigilanza e la Funzione di Compliance
...verso una Compliance 2.0


di Ermelindo Lungaro
(...segue dalla 1^ puntata)



3.     Le opportunità della correlazione tra l’Organismo di Vigilanza e la Funzione di Compliance

      Il sistema di controllo interno delineato dalla normativa 231 individua - lo si è detto in premessa - l’attore principale nell’Organismo di Vigilanza, ovvero in un Organismo appositamente costituito, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, e incaricato del precipuo scopo di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello (cioè dello stesso sistema di controllo interno) e di curarne l’aggiornamento.

      Senza voler qui approfondire aspetti di dettaglio tecnico giuridici, quel che si ritiene utile rimarcare è l’essenza del ruolo attribuito a questo Organismo nel fornire rassicurazione al Consiglio di Amministrazione (e conseguentemente alla proprietà) in merito all’idoneità del sistema di controllo interno nel prevenire il rischio da illecito, attraverso un’attività che in concreto ne assicuri: (i) verifica dell’adeguatezza e dell’efficacia in termini di individuazione dei processi sensibili in relazione alle aree di rischio di atto illecito, di gestione dei correlati rischi e di disegno dei correlati presidi di controllo; (ii) verifica del mantenimento in continuità di tale adeguatezza ed efficacia garantendo che si proceda alle integrazioni ed agli aggiornamenti necessari in relazione all’evoluzione di contesto non solo normativo; (iii) vigilanza sull’adeguata implementazione, con particolare riferimento alla corretta attuazione dei presidi di controllo previsti; (iv) vigilanza su un’adeguata formazione, diffusione e conoscenza, anche promuovendo azioni a tal fine necessarie.

       Un’attività di “cura” e di “vigilanza” così intesa abbraccia l’intero perimetro del sistema di controllo interno dalla fase del disegno a quella della corretta implementazione. Il tutto si colloca, poi, in un sistema di flussi informativi da e verso l’Organismo di Vigilanza (tra cui quello delle segnalazioni o whistleblowing) che deve alimentare l’attività dallo stesso svolta.
       Ma affinché l’attività dell’Organismo di Vigilanza (in genere costituito da un numero ristretto di professionisti) possa effettivamente garantire efficacia con continuità di azione è indispensabile il supporto e la sinergia con Funzioni aziendali che, per un verso, abbiano i medesimi requisiti di indipendenza a garanzia dell’obiettività di giudizio e, per altro verso, l’expertise e le connotazioni proprie dell’attività di controllo.
       In effetti, la Funzione che può garantire tale sinergica azione è - a parere di chi scrive - la Funzione di Compliance ove l’assetto interno ne inquadri la giusta fisionomia.
       L’attività esercitata dalla Funzione di Compliance correttamente intesa è infatti caratterizzata dall’essere un processo di controllo finalizzato alla prevenzione dei rischi di corruzione e più in generale normativi ed alla previsione di comportamenti che evitino illeciti attraverso un’attività che assicuri il presidio trasversale della Funzione sul sistema di controllo interno in termini di: (i) disegno, attraverso la valutazione dei presidi di controllo e l’individuazione di azioni correttive di allineamento - ex ante; (ii) monitoraggio nell’implementazione, attraverso la partecipazione ad attività formativa e la consulenza specialistica e focalizzata alla concreta attuazione del corretto disegno da parte del management durante la propria attività operativa - ongoing; (iii) verifica di conformità, attraverso l’analisi documentale della corrispondenza delle attività espletate con il disegno dei controlli - ex post.
      Come è stato osservato in un approfondimento focalizzato su una vision della Funzione di Compliance a cui si rinvia per una più analitica disamina della sua attività[1], un’adeguata valutazione di Compliance dovrebbe pertanto incentrarsi su un ciclo sistemico << … che preveda il presidio della Funzione su: (i) predisposizione di un Modello aziendale di organizzazione, gestione e controllo coerente con principi generali e speciali di controllo idonei a prevenire i rischi normativi nella vision ampia sopra considerata ed i rischi specifici correlati a singoli processi; (ii) aggiornamento costante del Modello alla luce dell’evoluzione normativa, dell’organizzazione aziendale, dell’assetto dei poteri e della mappatura dei processi; (iii) allineamento del disegno dei controlli ai principi generali e speciali definiti nel Modello; (iv) partecipazione all’implementazione dell’attività attraverso consulenza specialistica; (v) svolgimento costante di formazione e sensibilizzazione del personale sul Modello 231 e sulla regolamentazione interna, con particolare attenzione alla fase di avvio dell’implementazione di nuovi presidi di controllo anche attraverso attività indipendenti di “accompagnamento” alla corretta esecuzione delle attività nel rispetto di tali presidi di controllo; (vi) effettuazione di verifiche documentali di conformità sulla corretta implementazione del disegno dei controlli; (vii) implementazione di adeguati flussi informativi da e verso il management nonché verso gli Organi Sociali e, nel caso del Modello 231, l’Organismo di Vigilanza.
      
       È di ogni evidenza, pertanto, che laddove la Funzione Compliance è intesa nel senso e nella natura descritta …, anche l’esimente prevista dal D.Lgs 231/2001 ne esce grandemente rafforzata. In caso contrario permane la sensazione che il Modello 231, comunque si configuri, sia un mero adempimento formale ed addirittura fastidioso perché privo di senso adeguato; la sua capacità di portare valore all’organizzazione ne risulterebbe irrimediabilmente compromessa. …>>
       Ulteriore considerazione da effettuare in proposito è la circostanza che il perimetro dei rischi normativi presidiato dalla Funzione di Compliance è ancor più ampio di quello specificatamente previsto dalla normativa 231 in quanto un adeguato presidio di conformità non può prescindere dalla valutazione dei rischi che pregiudichino: (i) l’eticità, attraverso comportamenti illeciti, corruttivi e non coerenti con la vision e mission aziendale; (ii) la trasparenza, attraverso comportamenti di mala gestio o comunque di non corretto governo societario o addirittura illegali; (iii) la continuità, attraverso comportamenti che non assicurino presidio alla valutazione di sostenibilità economica; (iv) l’assunzione di decisioni consapevoli, attraverso comportamenti che non garantiscano almeno analisi istruttorie segregate nel rispetto di ruoli e responsabilità, oggettività delle scelte, univocità ed integrità del dato sorgente, formalizzazione dei livelli di valutazione, evidenza documentale; (v) la congruità giuridica, attraverso attività che non assicurino l’assunzione di impegni verso terzi coerenti con la decisione a monte e con la necessaria tutela degli interessi dell’Azienda nonché formalizzati nel pieno rispetto degli specifici poteri; (vi) la verifica della coerenza dell’implementazione con la decisione assunta per l’assenza di monitoraggio e flussi informativi. A ciò devono poi aggiungersi, naturalmente, i rischi specifici di natura normativa anche non penalistica che connotano i singoli processi.
       
      Processi, infatti, che non garantiscano presidi di valutazione e dunque di controllo (in termini di disegno così come di attuazione) idonei a prevenire siffatti rischi costituiscono di per sé potenziale fonte di mala gestio e di non correttezza, trasparenza ed eticità e dunque di illecito.
      Anche da un punto di vista etimologico e sotto il profilo della ratio, la Compliance non può, in definitiva, essere solo conformità al codice penale, è qualcosa di molto di più[2].
       Ne consegue che la valorizzazione del ruolo svolto dalla Funzione di Compliance fornisce un ulteriore veicolo di più solida garanzia di adeguatezza del sistema di controllo interno in un’accezione di prevenzione dal rischio di non conformità normativa più ampia di quello proprio e penalmente rilevante previsto dalla normativa 231.
       Secondo questa vision - che a sua volta si collega a quella che mira alla costruzione di un assetto integrato dei controlli di secondo e di terzo livello di cui si fa cenno nel paragrafo che segue - la Funzione di Compliance può rappresentare quel necessario ed adeguato anello di congiunzione con l’Organismo di Vigilanza quale longa manus della sua attività, creando così sinergia ed ottimizzando il controllo all’interno dell’Azienda in ottica, per un verso,  di efficacia, efficienza ed economicità del controllo stesso e, per altro verso, di garanzia di adeguatezza in un percorso che consolidi sempre più correttezza, trasparenza e rispetto delle regole a beneficio della reputazione aziendale, degli obiettivi strategici perseguiti e del contesto delle relazioni con gli stakeholder interni ed esterni.
       Il tutto deve naturalmente avvenire, in primis, secondo un approccio strategico condiviso con l’Organo di Vertice di Indirizzo - e formalizzato in un documento che definisce la politica e gli obiettivi misurabili e monitorabili nel tempo - nonché attraverso modalità operative di raccordo anche funzionale e dei flussi informativi con il coinvolgimento, all’occorrenza, delle altre Funzioni di controllo indipendenti, tra le quali la Funzione di Internal Audit a cui affidare specifici audit (da non confondere con le verifiche di conformità proprie della Compliance) anche in materia 231 di cui l’Organismo di Vigilanza ravvisi l’esigenza nel contesto delle proprie istruttorie e, più in generale, dell’attività dallo stesso svolta.

2.     Una riflessione sistemica conclusiva

       Un’ulteriore riflessione nella visione sistemica delineata è utile focalizzare sull’approccio che deve guidare il controllo nell’ottica tracciata dal Legislatore 231 e, più in generale, nella costruzione ed implementazione di un assetto idoneo alla prevenzione dei rischi aziendali.
       
      I profili di questo approccio, a parere di chi scrive, devono incentrarsi sugli aspetti di seguito indicati.
·     Commitment, soprattutto iniziale, da parte del Vertice
       La consapevolezza della rilevanza di una cultura del controllo quale essenziale leva per il perseguimento degli obiettivi aziendali deve costituire obiettivo strategico primario dell’Azienda e deve essere testimoniata quotidianamente (al riguardo, basterebbe aggiungere, fra i topics delle agende degli incontri direzionali, anche uno dedicato alla compliance, assegnazione di budget dedicati, monitoraggio delle performance, etc.)
·     Indipendenza delle Funzioni di controllo di secondo e di terzo livello
      Il controllo di secondo (essenzialmente la Funzione di Compliance[3]) e di terzo livello (quest’ultimo da parte dell’Organismo di Vigilanza oltre che, ove sussistente, della Funzione di Internal Audit) integra il controllo di primo livello effettuato dal management di line nel contesto della gestione operativa  e, come tale, deve essere indipendente in quanto l’indipendenza garantisce  obiettività di giudizio, capacità cioè di esprimere un’opinion che consideri compiutamente e trasversalmente tutti i fattori di rischio oggetto dell’analisi di adeguatezza, senza interferenze e condizionamenti provenienti dagli specifici obiettivi delle line operative.
      ·     Assetto integrato dei controlli di secondo e di terzo livello
      Il controllo indipendente, per essere effettivo, efficace ed omogeneo, deve vedere il coinvolgimento sinergico di tutte le Funzioni di controllo di secondo e di terzo livello opportunamente allocate in un’area omogenea e coordinata di indipendenza, pur dovendo ciascuna di tali Funzioni conservare la propria specificità nel contesto del processo valutativo di competenza. In tale ambito occorre quantomeno un coordinamento tra tali Funzioni secondo un framework predefinito di flussi informativi ed incontri ad hoc per analisi e reportistica.
·     Approccio della Funzione Compliance - e, più in generale di tutte le Funzioni di controllo -  di supporto al Management
      Un management che conosca, apprezzi e condivida gli obiettivi migliorativi del controllo come funzionali ai propri obiettivi manageriali è, infatti, maggiormente propenso ad implementarli e monitorarli.
      Tutto questo, si ritiene, può costituire elemento unitario ed inscindibile per soddisfare all’obiettivo cardine del controllo di fornire assurance agli Organi Sociali nella valutazione del disegno e della sua corretta implementazione per un’adeguata gestione/prevenzione dei rischi normativi di illecito e, come si è detto, più in generale rischi aziendali che il sistema di controllo deve prevenire.
       In questo scenario, in definitiva, la Funzione di Compliance, a parere di chi scrive, può fornire un contributo distintivo ed aggiuntivo – sempreché adeguatamente integrato nel sistema di controllo interno - in un contesto di valorizzazione che si focalizzi anche e soprattutto nel momento preventivo (e dunque del disegno) e di “accompagnamento” alla corretta implementazione attraverso la sistematica e continuativa diffusione pervasiva nel tessuto aziendale della cultura della legalità, trasparenza, eticità e correttezza; cultura che è il corredo necessario per l’effettivo conseguimento di un adeguato assetto di prevenzione dei rischi.
Naturalmente affinché tutto questo avvenga è anche necessario un approccio della Funzione di Compliance (e dunque delle persone che vi lavorano) proattivo ma umile, aperto all'ascolto ed alla comprensione delle esigenze operative nel contesto dell'obiettivo di controllo perseguito, sempre e solo fondato su analisi rigorose (e mai su mere opinioni) e dunque su conseguenti conclusioni tratte da valutazioni compiutamente supportate da continuo ed intelligente studio normativo e di contesto. Il commitment aziendale (e la Funzione preposta delle Risorse Umane) deve in questo collaborare - se effettivamente crede nel valore aggiunto della Compliance - con una selezione rigorosa delle persone che scelgono Compliance: persone volenterose, integre e solide nei valori e nella trasparenza anche di atteggiamenti, orientate alla progettualità e non ad atteggiamenti meramente impiegatizi, con solide basi di preparazione professionale che il contesto specifico ed il team di inserimento richiedono (inevitabilmente, nel team componenti essenziali sono: logica giuridica, expertise in tecniche di controllo e capacità di analisi, sensibilità di governance, abilità di esposizione formale che sia semplice, chiara, coerente e sintetica).







[1]   La Funzione Compliance - un momento di riflessione sulla sua natura e “raison d’etre”, a cura di Carlo Regoliosi, Corrado Papa, Laura Cellamare; pubblicazione sulle riviste on line www.reatisocietari.it e www.231farmaceutiche.it.

[2]   E ciò trova ulteriore conferma nella circostanza che sussistono settori normativamente o comunque di fatto obbligati ad avere un sistema di compliance. Il riferimento è certamente al settore privato bancario ed assicurativo (se non si considerano le esigenze specifiche peraltro del settore delle società con azioni quotate e del settore sanitario), oltre che evidentemente a quello pubblico in cui sussiste l’obbligo di prevenire la corruzione nella nozione di cattiva amministrazione (e quindi non solo penalmente rilevante) secondo le indicazioni fornite dall’ANAC all’interno del Piano Nazionale Anticorruzione.

[3]   Un processo di maturo consolidamento dell’assetto dei controlli aziendali (anche nell’ottica dell’auspicato assetto integrato di cui si accenna nel punto che segue) dovrebbe gradualmente portare - affinché i benefici si espandano ulteriormente - ad un’indipendenza ed integrazione (nel rispetto delle specificità di ciascuna) di tutte le Funzioni di controllo di secondo e di terzo livello. Si pensi al riguardo al Servizio Prevenzione e Protezione, al Data Protection Officer, alla Funzione che presidia le certificazioni di Qualità e – non secondario ma anzi prioritario – al Controllo di Gestione.

martedì 25 giugno 2019

Il sistema dei controlli “231”: verso una Compliance 2.0 (1^ parte)

Il sistema dei controlli delineato dalla “231”
Le opportunità della correlazione tra
l’Organismo di Vigilanza e la Funzione di Compliance
...verso una Compliance 2.0


di Ermelindo Lungaro
(1^ puntata)



1.     Una premessa di contesto

L’8 giugno 2019 la “231[1]” ha celebrato il diciottesimo anno di età ed è dunque divenuta “maggiorenne”.
Questo simbolico evento di celebrazione deve, a parere di chi scrive, rappresentare un momento di riflessione sul sistema delineato da questa normativa che ha posto nel panorama giuridico italiano le fondamenta di una modalità di organizzazione, gestione e controllo aziendale per un verso semplice, organica ed autoregolamentata e, per altro verso, idonea a garantire una conduzione aziendale efficace e trasparente in un contesto di continuità di medio e lungo termine e coerentemente con gli obiettivi strategici che ciascuna realtà persegue.
E’ quindi opportuno che - in un momento in cui è largamente diffusa nel sano tessuto politico e sociale l’esigenza di trasparenza e di “ripudio” di comportamenti illeciti specie se legati alla corruzione (che rientra fra i reati espressamente previsti dal D.Lgs 231/2001 quale fonte di responsabilità degli Enti) - si rifletta compiutamente sul modello ex art 6 del D.Lgs 231/2001 considerandolo alla stregua di un asset di cui si dispone, con potenziali benefici sia in termini organizzativo-gestionali che economico-strategici.
Le pagine che seguono, senza pretesa di esaustività, vogliono offrire qualche spunto per una riflessione concreta sull’essenza della normativa 231 e sulle opportunità che la stessa può consentire in realtà (quali settore sanitario, bancario, assicurativo, PMI appartenenti a gruppi internazionali, settore farmaceutico) che hanno adottato un Modello 231 e che dispongono nella propria struttura organizzativa di una Funzione di Compliance.
Nello specifico il documento si propone di fornire spunti di riflessione per un percorso che, se ben diretto con il coinvolgimento dell’Organo di Vertice di indirizzo, veda via via implementarsi un sistema dei controlli integrato che, nella specie, favorisca in particolare il raccordo tra l’Organismo di Vigilanza - che ne è l’attore principale, il cervello che muove razionalmente il “corpo” - e la Funzione di Compliance che ne deve costituire le membra e le braccia a garanzia di assurance del Modello e di sua concreta ed adeguata operatività.

2.     Il sistema dei controlli delineato dalla “231” e le sue opportunità

La normativa 231, in estrema sintesi, prevede che soggetti diversi dalle persone fisiche (società, organismi, associazioni anche prive di personalità giuridica) possano essere considerati responsabili per reati commessi nel loro proprio interesse o vantaggio. Tale responsabilità propria di queste entità si aggiunge, quindi - in modo distinto - alla responsabilità penale propria della/e persona/e fisica/he che ha/nno commesso il reato e si concretizza in sanzioni pecuniarie anche elevate e misure interdittive che possono “paralizzare” la vita aziendale (sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni e divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, oltre all’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi; confisca; nei casi più gravi, interdizione all’esercizio dell’attività; pubblicazione della sentenza di condanna).
Di fatto, la normativa 231 disegna - anche per le società, gli enti e le associazioni - un sistema sanzionatorio che, al di là della terminologia (responsabilità amministrativa) utilizzata dal Legislatore, è di natura essenzialmente penale perché comuni sono gli intenti (tutela di elevati valori di interesse pubblico) e comune è il meccanismo procedimentale e sanzionatorio, pur dovendo quest’ultimo necessariamente considerare le specificità proprie di soggetti diversi dalle persone fisiche (per la loro connotazione appunto di “entità non fisiche”) che non ne rende possibile la completa assimilazione quanto ai caratteri effettuali.
Ma attenzione!
La valenza della normativa 231 che qui preme rimarcare non è quella sanzionatoria (pur molto pericolosa per la realtà aziendale in considerazione delle ragioni sopra accennate), quanto quella dell’opportunità che il Legislatore ha inteso in tal modo fornire a ciascun operatore nel delineare uno strumento di autoregolamentazione dell’assetto organizzativo, gestionale e di controllo che - se adeguatamente e concretamente disegnato, attuato e verificato - non solo preclude la responsabilità, ma addirittura garantisce il perseguimento degli obiettivi strategici nel contesto delineato in premessa di efficacia e trasparenza.
La norma, infatti, espressamente prevede che l’Ente, per escludere la propria responsabilità, deve adottare ed efficacemente attuare un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo e nominare un Organismo di Vigilanza indipendente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo al fine di garantire la supervisione sul funzionamento e l'osservanza del Modello.
Requisiti essenziali del Modello sono: (i) individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi i reati; (ii) definizione di specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; (iii) individuazione di modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; (iv) previsione di obblighi di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza e di canali di segnalazione che garantiscano riservatezza dell'identità del segnalante e divieto di atti di ritorsione o discriminatori (v) introduzione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello.
Ecco dunque che la normativa 231 lascia nel suo complesso strutturale intravvedere in modo evidente l’orientamento anche del Legislatore ad una visione sistemica della necessità - per ogni realtà più o meno complessa, profit, o non profit, industriale o di servizi, commerciale o sanitaria - di disporre di un modello gestionale che disegni un “sistema azienda” con approccio risk-based e, dunque, orientato alla gestione del rischio, alla prevenzione di illeciti ed alla conseguente individuazione di buone pratiche e raccomandazioni previste dalla regolamentazione interna. Al disegno deve accompagnarsi l’efficace attuazione, anche attraverso adeguata e sistematica formazione “sul campo”, nonché l’implementazione di idonei flussi informativi che consentano monitoraggio e conseguentemente, all’occorrenza, tempestivo aggiornamento.
Questo approccio della normativa 231 - che è andato via via consolidandosi nella sua evoluzione giurisprudenziale e culturale - ha trovato poi conferma in ulteriori rilevanti provvedimenti normativi anche di contesto internazionale e locale[2] con specifica disciplina, tra l’altro, afferente:
-    la protezione dei dati di carattere personale;
-    l’antiriciclaggio;
-    la prevenzione della corruzione nel settore pubblico con la Legge 190/2012 e con la codifica e diffusione di un’apposita best practice (la UNI ISO 37001 - Sistemi di Gestione Anticorruzione);
-    la responsabilità medica di cui alla c.d Legge Gelli (come da ultimo riconsiderata), in ambito sanitario.
Non secondario, poi, in questa vision del Legislatore è il progressivo ampliamento del catalogo dei reati presupposto (ovvero delle specifiche fattispecie di illecito considerate dalla norma quale fonte di responsabilità per gli Enti) tendente sempre più a ricomprendere nel perimetro di riferimento ogni forma di illecito che violi diritti a valenza pubblica e che può evitarsi con un comportamento aziendale di buona gestione e non ascrivibile, quindi, a “colpe” di organizzazione[3].
Il disegno di autoregolamentazione che la normativa richiede è quindi quello di un idoneo Modello che garantisca una corretta prevenzione dei rischi da illecito attraverso una gestione aziendale sana, efficace e trasparente, preservando, più in generale, dal complessivo rischio di mala gestio.
In questa ottica il Modello diventa sistemicamente presupposto fondamentale e veicolo di implementazione di un adeguato sistema di controllo interno, ovvero dell’insieme di regole, procedure e strutture organizzative atte a conseguire (i) la conduzione aziendale coerente con gli obiettivi prefissati; (ii) l’individuazione, la valutazione, la mitigazione ed il monitoraggio dei rischi; (iii) la salvaguardia del patrimonio sociale; (iv) l’affidabilità delle informazioni; (v) il rispetto della normativa; (vi) l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dei processi aziendali e dell’impiego delle risorse.
In effetti, una compiuta definizione degli obiettivi strategici ed una conseguente conduzione in continuità dell’azienda in coerenza con tali obiettivi (e quindi prevenendone i rischi) in un “ambiente” di legalità, trasparenza, eticità e correttezza costituiscono il contesto tanto necessario quanto al tempo stesso potenzialmente fragile della vita di una qualsiasi entità aziendale.
Un’azienda - profit o non profit, industriale o di servizi, individuale o collettiva - può infatti operare solo e nella misura in cui sia in grado di: (i) definire i propri obiettivi misurabili di natura strategico-operativa attraverso decisioni consapevoli; (ii) implementarli conseguentemente, coerentemente e monitorarli; (iii) avere garanzia di sostenibilità che le assicuri i mezzi necessari in un’ottica di continuità nel tempo; (iv) operare in un contesto di legalità, venendo meno il quale si generano responsabilità pecuniarie o interdittive - di natura amministrativa, civile, oltre che, per le persone fisiche, penali - che inevitabilmente pregiudicano il conseguimento degli obiettivi stessi e, nei casi più gravi come si è in precedenza accennato, la vita dell’azienda medesima.
Una siffatta adeguatezza del sistema di controllo interno genera in modo esponenziale valore aggiunto in termini di benefici specifici sul piano sia esterno sia interno, prima ancora che costituire presupposto di esonero di responsabilità.
Un adeguato sistema di controllo interno facilita, infatti, il rapporto con tutti gli interlocutori, offrendo loro garanzia di affidabilità delle informazioni e di correttezza dei comportamenti e mantenendo elevata l’immagine aziendale.
Sul piano interno un adeguato sistema di controllo interno è idoneo a garantire assurance agli Organi Sociali ai fini delle proprie decisioni consapevoli e supporto al management nello svolgimento delle proprie attività.
In questo quadro, l’efficace adozione ed implementazione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo diventa strumento di continuo e progressivo consolidamento del percorso di sviluppo di governance, in modo tale da fondarlo sempre più su trasparenza e controllo, quali essenziali leve gestionali per il perseguimento degli obiettivi aziendali e snodo cruciale e strategico del governo di un’azienda.

...segue la 2^ parte dell'articolo (click qui)


[1] D.Lgs. 8-6-2001 n. 231 - Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
[2] Tenuto conto della brevità e dello scopo del presente approfondimento, si omettono gli specifici riferimenti a provvedimenti normativi di Amministrazioni locali che di fatto, in fase di gara pubblica, rendono addirittura obbligatorio e/o premiale dotarsi di un sistema di prevenzione dei rischi conforme a quello previsto dal Modello 231.
[3] La 231, da quando è stata introdotta nel 2001, è un cantiere aperto, un continuo working in progress, con la quasi annuale introduzione di nuove fattispecie di reato presupposto (da pochi giorni dopo il traffico di influenze illecite è stata anche introdotta la fattispecie dei reati di frode sportiva ed esercizio abusivo dell’attività di giuoco e scommessa).
Attualmente, si superano i 200 articoli del codice penale, come fattispecie di reato richiamati per l’applicazione della responsabilità amministrativa degli Enti; addirittura, secondo alcuni, con l’introduzione del reato di autoriciclaggio astrattamente potrebbero rientrare fra i reati 231 tutte le violazioni del codice penale non puntualmente previste purché siano compiute nell’interesse e vantaggio economico dell’impresa e siano caratterizzate dai dettami previsti dalla Legge n. 186/14.

lunedì 27 maggio 2019

Whistleblowing: come cavarsela

Si riporta nel seguito un articolo pubblicato sul n. 120 di MAG (il magazine di Legalcommunity.it), nella rubrica "Obiettivo legalità"
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Whistleblowing: come cavarsela
di grace betti*

Segnalazione anonima: arriva a destinazione nelle più svariate forme, dall’evergreen della posta tradizionale ai canali hotline più moderni. La reazione che provoca al destinatario, che sia il membro dell’OdV, il responsabile Compliance, responsabile Internal Audit oppure responsabile Business Integrity è sempre la stessa: brividi e sudore freddo.

A questo punto, la società ha il dovere di mobilitarsi al fine di accertare la fondatezza o meno delle contestazioni segnalate.


L’intervento tempestivo dell’Avvocato difensore della società assicura che le attività di indagine siano svolte in ottemperanza alle previsioni normative e in caso di implicazioni di natura giuridica è pronto a sviluppare un’adeguata strategia difensiva. 

Sulla base della gravità della segnalazione, al fine di raccogliere evidenze ed elementi utili in relazione alle condotte contestate, si possono intraprendere diverse strade come lo svolgimento di un audit da parte del dipartimento interno alla società oppure di un external audit.

Il conferimento di un mandato penale ex artt. 327 bis e 391 nonies da parte dell'Avv. difensore della società a un consulente tecnico è sicuramente la strategia apparentemente più invasiva ma anche la più adeguata qualora il whistleblowing si rivelasse fondato.

Il consulente esperto in questione infatti, oltre a garantire terzietà e indipendenza – non sempre ascrivibile agli organi di controllo interni alla società, pensare al caso in cui l’ufficio dell’OdV sia dirimpettaio dell’ufficio gestione appalti – investiga e ricostruisce lo schema di frode attuato dal dipendente segnalato sotto il profilo contabile, economico finanziario e amministrativo mediante l’attuazione di un fraud audit. Al termine delle attività, infine, consegna al legale difensore una relazione tecnica pronta per le opportune valutazioni.

Con il mandato penale il consulente tecnico, in aggiunta alle verifiche standard, può svolgere anche attività di digital forensics. Ossia, effettuare un’acquisizione forense del contenuto dei dispositivi informatici aziendali, posta elettronica compresa, in uso al dipendente segnalato, attraverso modalità e procedure che garantiscono l’utilizzabilità in sede legale dei file estratti e, attraverso specifici software investigativi, compiere un’analisi del contenuto di tale materiale.

Così facendo, oltre alla documentazione messa a disposizione dalla società e acquisita durante le attività di audit si possono analizzare (nei limiti di legge) documenti, messaggi di posta e tutto ciò che è presente, ad esempio, sullo smartphone aziendale.

Questo tipo di attività garantisce da un lato la completezza delle analisi e dall'altra parte, soddisfa le esigenze della società e del difensore grazie alla rapidità delle attività di e-discovery nel restituire risultati concreti.

Terminate le attività investigative e una volta presentate le risultanze dell’incarico insieme alla relazione tecnica, il difensore consiglia alla società le eventuali azioni legali da intraprendere. Tuttavia, può anche ritenere di suggerire all'azienda cliente di non sporgere denuncia/querela verso il dipendente.

A questo punto, l'ultimo cassetto della scrivania è sempre disponibile a custodire una relazione in più.


Fraud auditor & Forensic accountant



domenica 12 maggio 2019

"Piani anticorruzione arretrati" (di Ermelindo Lungaro)


Intervista a Ermelindo Lungaro di Andrea D’Orazio
(pubblicata mercoledì 8 maggio 2019 sul Giornale di Sicilia)


La legge “spazzacorrotti” è una misura interdittiva importante, ma come tale agisce a cose fatte, come il pompiere che spegne il fuoco. Per tagliare le radici del fenomeno bisogna invece insistere sulla strada della prevenzione, che nel nostro Paese è stata ben tracciata, ma resta ancora in salita».

Per Ermelindo Lungaro, docente al Master Anticorruzione dell’università Tor Vergata di Roma e presidente di diversi board di vigilanza aziendale, il presunto giro di tangenti scoperto dalla polizia al Provveditorato di Palermo è l’ennesima dimostrazione di un paradosso italiano: «L’esistenza di un valido meccanismo di difesa contro la corruttela, che raramente, però, viene concretamente seguito».

Si riferisce ai piani anticorruzione previsti dalla legge per le amministrazioni pubbliche?
«Sì, perché il più delle non vengono aggiornati dagli enti. Prendiamo il caso di queste ore: il piano stilato dal ministero delle Infrastrutture ha indicato un livello di rischio basso per i Provveditorati alle opere pubbliche, ebbene, adesso, facendo tesoro dell’inchiesta di Palermo, Roma dovrebbe immediatamente rivedere il sistema di prevenzione interno per quest’area (di sua competenza) rendendolo assai più stringente.
Il guaio è che nell'amministrazione pubblica italiana, nonostante i fatti di cronaca che si succedono con impressionante rapidità, spesso questa revisione non viene fatta, e i piani anticorruzione, che dovrebbero essere aggiornati di anno in anno, restano sempre uguali».

Ma al netto degli aggiornamenti, sono almeno applicati o no? 
«L’incidenza è bassa. Molte volte restano lettera morta, nei cassetti delle amministrazioni, oppure vengono considerati come automatismi burocratici, da eseguire meccanicamente, senza una reale volontà di controllo e vigilanza. A monte c’è un ulteriore problema: i piani sono studiati a livello nazionale».

Dunque?
«Non vengono plasmati sulle dinamiche territoriali, locali, e ciò rappresenta un limite, un vulnus, perché il fenomeno corruttivo, a secondo del territorio, può presentarsi con profili diversi ed avere livelli di rischio più o meno elevati. Facciamo di nuovo l’esempio dei Provveditorati: in Trentino e in Sicilia è previsto lo stesso piano anticorruzione, ma è chiaro che Palermo non è come Bolzano, e nell'Isola il pericolo che il crimine organizzato si intrometta negli affari pubblici è molto più alto. Ci vorrebbero piani ad hoc».

Accanto al fenomeno corruttivo in Italia sta crescendo anche quello del whistleblowing? 
«Sì. I casi di impiegati pubblici che segnalano illeciti all'amministrazione stanno crescendo, ma si può fare di più. La sfida è quella di aprire le porte all'esterno, alla possibilità di ricevere segnalazioni da tutti i  ttadini. Alcuni enti lo stanno già facendo».




martedì 30 aprile 2019

Aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia (Milano, 4/6/19)





incontri e dibattiti
LE VALUTAZIONI PERITALI

programma di incontri multidisciplinari di discussione su casi peritali


Milano, 4 giugno 2019 
Presso AIAF
Corso Magenta, 56
20123 Milano 
ore 16.30 - 18.30


INCONTRO A PORTE CHIUSE 
PARTECIPAZIONE SOLO SU INVITO 
E CONFERMA ISCRIZIONE


Obiettivi
La valutazione aziendale è questione di elevato impatto economico e sociale. Le problematiche che attingono alla valutazione peritale, che si concretizza nella perizia quale fondamentale documento di riferimento e/o di avallo di effettivi scambi economici di compravendite aziendali, non possono essere relegate soltanto come questioni tecniche, ma devono anche sforzarsi di risultare comprensibili al pubblico degli stakeholders rimanendo comunque tecnicamente ineccepibili dal punto di vista metodologico del procedimento di valutazione e della evidenziazione delle assunzioni di base sulle quali è fondato il procedimento valutativo.
In tale contesto peritale, appare utile contribuire ad un più ampio dibattito tecnico tra i diversi soggetti professionali coinvolti, sia per l’interesse dei risparmiatori e investitori sia per i risvolti di impatto sociale quando si tratti di società pubbliche o possedute da enti pubblici o comunque di interesse pubblico.
Appare utile e pratico procedere con un confronto dialettico tra professionisti con esperienze professionali multidisciplinari: analisti finanziari, analisti di aziende quotate, revisori contabili, fiscalisti e periti professionisti, alla luce di una comune lettura e discussione di casi concreti di perizie reputate interessanti. Una analisi critica e discussione tecnica evidenzia anche il riconoscimento (o meno) della correttezza metodologica della perizia e può offrire indicazioni sulle best practice utili da considerare come riferimento.

Programma
Ore 17.00 - Apertura Lavori
Modera: Dott. Alberto Borgia, Presidente AIAF (Associazione Italiana per l'Analisi Finanziaria)

Introduce: Ing. Alfonso Scarano, Presidente AssoTAG (Associazione Italiana dei Periti e dei Consulenti Tecnici nominati dall'Autorità Giudiziaria)

Intervengono: tutti i partecipanti 

Ore 18.20 – Conclusioni

Iscrizioni: http://bit.ly/2FaCT0d

Il materiale oggetto di dibattito (tra cui anche la perizia) verrà preventivamente inviato via email ai partecipanti iscritti all'incontro per consentire loro di intervenire e partecipare attivamente alla discussione. 

Bilanci e materiale informativo pubblico di Banca d’Italia è comunque scaricabile qui:
www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bilancio-esercizio/index.html
www.bancaditalia.it/media/notizie/2013/Valore _quote_capitale_BI.pdf



giovedì 11 aprile 2019

Intervista a Ermelindo Lungaro: "Ricostruzione L'Aquila, norme e controlli ci sono, ma manca una strategia contro corruzione e infiltrazioni"


Si riporta nel seguito l'intervista a Ermelindo Lungaro (docente a Tor Vergata), pubblicata l'Huffingtonpost del 5 aprile 2019



Ricostruzione L'Aquila 
"Norme e controlli ci sono, ma manca una strategia contro corruzione e infiltrazioni"

Intervista a Ermelindo Lungaro, docente a Tor Vergata: “Pubblicità e cifre non aggiornate nel sito del commissario straordinario per la ricostruzione
di Anna Germoni



I numeri sono gli indicatori chiave per avere un quadro, una fotografia di quanto sia stato fatto per L'Aquila fino adesso. Eppure ci troviamo nel mare magnum di cifre che sono tutt'altro che chiare. La ricostruzione procede lentamente e in modo disordinato. Il centro storico versa ancora in gravi condizioni e non sembra sia stata definita una strategia urbanistica. Chiediamo un parere a Ermelindo Lungaro, esperto in risk management e risk assessment finalizzati alla costruzione e attuazione dei piani di prevenzione della corruzione e docente del master Anticorruzione all'università Tor Vergata di Roma, (nipote dell'eroe partigiano ucciso nelle Fosse Ardeatine, Pietro Ermelindo a cui sono dedicate due caserme di Polizia a Roma e Palermo, ndr), per avere un focus, un punto di vista sulla ricostruzione post- sisma. "Ritardi, lavori inutili o peggio incompiuti spesso sono il risultato non solo di una cattiva amministrazione, ma anche di situazioni legate a infiltrazioni mafiose o corruzione – spiega Lungaro - eppure il nostro Paese ha gli strumenti per contrastare questi fenomeni, dal nuovo codice antimafia ai decreti legislativi relativi ai crimini di impresa e al riciclaggio, fino alla legge anticorruzione del 2012, che obbliga le Pubbliche Amministrazioni a programmare e attuare importanti misure organizzative per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza, monitorandole tramite un responsabile nominato ad hoc. Negli anni, poi, l'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), sotto la guida di Raffaele Cantone, ha avviato numerose iniziative di controllo, che hanno sortito effetti positivi e sono state apprezzate anche a livello internazionale". Ma aggiunge: "Devo dire, tuttavia, che, nonostante le normative e l'attività di Anac, è ancora oggi difficile riscontrare concrete ed efficaci strategie per prevenire la corruzione e le infiltrazioni criminali nelle attività post-sisma".

È inutile quindi ogni tentativo di pianificare e definire un quadro d'azione?
Non credo, e non solo perché la posta in gioco è alta, ma anche perché è doveroso provare, almeno per dare un contributo al dibattito e sensibilizzare tutti gli attori interessati, dalle istituzioni ai cittadini. Non sempre, però, ci si devono aspettare immediati risultati positivi. Per quanto mi riguarda ho provato, con una ricerca finalizzata, ad acquisire informazioni di dominio pubblico attraverso l'analisi dei documenti pubblicati sulla sezione "Amministrazione Trasparente", che però mi ha portato o a non trovarne, o a trovarne di poco aggiornate, non complete e a volte in contraddizione fra loro.

Lo abbiamo riscontrato anche noi, nella ricerca di dati oggettivi e non soggettivi. A cosa è dovuta questa discrasia di cifre da parte di enti amministrativi?
Molte P.A. si ritengono "Palazzi di vetro" nonostante il nostro Paese si sia messo in regola anche con l'adozione di un Freedom of Information Act (cd. Foia). Le faccio un esempio: i dati relativi all'Ufficio Speciale per la Ricostruzione Post Sisma 2016 della Regione Abruzzo. L'Ufficio, a differenza dell'Ufficio Speciale Ricostruzione delle Regione Lazio, non ha un vero e proprio Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza, mentre quello della Regione Lazio, pur avendo un suo Responsabile per la Prevenzione della Corruzione ed un Responsabile per la Trasparenza nominati a luglio 2018, non ha pubblicato il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, né tanto meno la relativa relazione annuale. Esiste inoltre un sito internet dedicato all'Ufficio Speciale per la Ricostruzione dei Comuni del Cratere, nel quale però l'ultimo documento pubblicato a livello di performance è il piano del 2016 e l'ultimo Piano Anticorruzione copre il periodo 2015-2017.



Perché accade questo?
Aspetti. Dulcis in fundo, digitando l'indirizzo web del sito del Commissario straordinario per la ricostruzione post sisma ci si imbatte addirittura in una pagina di offerte commerciali.

Offerte commerciali nel sito del commissario straordinario per la ricostruzione post-sisma?
Sì. Tutto questo, ripeto, capita sebbene le pubbliche amministrazioni siano obbligate a garantire adeguati livelli di trasparenza e a programmare le proprie misure interne di prevenzione della corruzione nel rispetto del Piano Nazionale Anticorruzione dell'Anac.

L'Anac ha dato indicazioni e determine ben precise su questo punto?
Certamente. L'Autorità, nel suo ruolo di vigilanza per la prevenzione della corruzione, ha cercato di creare una rete di collaborazioni nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, di aumentare l'efficienza nell'utilizzo delle risorse e di ridurre la "cultura" dei controlli solo formali, per far acquisire una sempre maggiore consapevolezza sul tema nei cittadini e nelle imprese. Per raggiungere questi obiettivi, nell'ambito delle operazioni di ricostruzioni post sisma, ha firmato numerosi protocolli d'intesa con la Protezione Civile e le Regioni colpite dai vari terremoti, con il Commissario del Governo e con Invitalia, finalizzati al monitoraggio e alla "vigilanza collaborativa" sugli interventi di emergenza conseguenti al terremoto dell'Italia centrale. La vigilanza collaborativa è uno strumento che compare per la prima volta in occasione dell'Expo 2015 e che assegna all'Autorità Nazionale Anticorruzione il compito di alta sorveglianza sulle gare, con l'obiettivo di garantire correttezza e trasparenza delle procedure utilizzate. Compito che in questi anni è stato svolto e che ha consentito di segnalare alle Regioni, al Commissario Straordinario e alle Prefetture gravi carenze nell'attività di controllo: per esempio presenza nei luoghi colpiti dal sisma di aziende non autorizzate, mancanza di verifica dei requisiti generali delle aziende e così via.



Anche l'associazionismo e molti sindacati hanno contribuito in maniera determinante a prevenire fenomeni di corruzione...
Infatti, a fianco delle istituzioni si sono mosse anche associazioni di cittadini che si sono attivate soprattutto per aumentare i livelli di trasparenza. Un'interessante iniziativa è quella avviata dall'associazione "On Data", nata per la promozione della trasparenza, che coniuga competenze digitali, open data e giornalismo investigativo e che a gennaio del 2017 ha lanciato, mediante una campagna di crowdfunding, il progetto "Ricostruzione Trasparente", una piattaforma in rete che dovrebbe consentire a regime di monitorare tutti i finanziamenti destinati alla ricostruzione nei territori colpiti del Centro Italia. Ma purtroppo non tutti la conoscono e, soprattutto, mancano le informazioni per alimentarla. Infatti era ed è necessario poter accedere agli open data delle amministrazioni. E qui casca l'asino.

In che senso?
Non tutti gli Enti mettono a disposizione i cosiddetti "open data", ossia le informazioni accessibili a tutti. C'è un panorama frastagliato, composto da amministrazioni esemplari, e altre carenti o inadempienti. Manca un intervento dall'alto, delle istituzioni maggiori, che si assuma l'onere di uniformare il tutto. Ora, nonostante tutto ciò i risultati che noi tutti constatiamo sono limitati. Siamo il Paese del Gattopardo, dove tutto cambia affinché nulla realmente cambi.

Infatti manca scambio di informazioni tra enti pubblici, associazioni di categoria e no profit. Quale soluzione?
Sarebbe il caso di pensare seriamente a una strategia nazionale, accompagnata da un adeguato stanziamento di risorse umane competenti e di risorse finanziarie, finalizzata a dare concreti indirizzi per prevenzione della corruzione e per l'implementazione di misure di trasparenza da utilizzare in occasione dei processi di ricostruzione post sismica e più in generale in seguito a calamità naturali. In altri termini, in base ai modelli organizzativi che caratterizzano la governance delle ricostruzioni, nelle varie fasi, da quella emergenziale a quella della ricostruzione, sarebbe opportuno associare ai vari obiettivi mirati alla ricostruzione abitativa, alla ripresa produttiva, alla ricostruzione e allo sviluppo insediativo, obiettivi comuni e omogenei in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza. A tali obiettivi andrebbero associati dei risultati attesi misurabili oggetto di successiva valutazione, premiando le buone pratiche e se necessario erogando sanzioni disciplinari per i funzionari infedeli e sanzioni amministrative per le imprese irresponsabili. Parallelamente si potrebbero sostenere iniziative che partono dal basso, dalle associazioni o da tutti i portatori di interesse. Combinare i due fattori, in modo concreto e preciso, porterebbe a un sistema di controllo diffuso, efficace ed efficiente e probabilmente potrebbe essere un primo passo concreto per ricucire il rapporto di fiducia fra i cittadini e la politica!