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martedì 6 dicembre 2011

L’head hunter nella lotta alle frodi aziendali

Anche l'head hunter può contribuire a limitare il rischio di frode aziendale?
A mio avviso, certamente sì!
A tal proposito, sono particolarmente interessanti gli studi teorici in ambito sociologico e psicologico che hanno portato alla definizione delle procedure di screening impiegate per selezionare i “top manager”.

Non è certo un mistero, infatti, di come i danni maggiori procurati dalle frodi societarie siano stati prodotti dal comportamento illecito assunto dai vertici aziendali di più alto rango, i quali, pianificata l’occasione, sono arrivati a sottrarre ricchezze tali da compromettere anche la stessa esistenza dell’impresa.
Alcune ricerche confermano che un manager “predisposto ad attività illecite” arriva a frodare solo in seguito alla piena comprensione di tutti i meccanismi di funzionamento dell’azienda e, ovviamente, dei modelli di controllo interno.
A questa “predisposizione” si può e si deve rispondere attraverso una rigorosa selezione svolta dagli head hunter, cioè da quei professionisti specializzati nella ricerca e selezione delle figure di leadership.


Non essendo un selezionatore non sono in grado di stabilire quali siano i mezzi, i sistemi, le tecniche o le astuzie migliori messe in campo dai più abili head hunter per testare il candidato, verificarne la storia professionale, le competenze, le ambizioni, le caratteristiche di leadership, le anomalie caratteriali, ma, alla luce dell'attività che svolgo, posso formulare qualche piccola considerazione in merito.
Sintetizzando molto (spero non troppo), alcuni studi empirici su casi reali di frode societaria, sostengono essere sostanzialmente 3 le categorie di soggetti che l'head hunter può trovarsi davanti:
  1. l’individuo leale e corretto nonostante abbia un'opportunità di frodare;
  2. l’individuo che cede alla tentazione di frodare solo se si presentasse l'occasione;
  3. l'individuo che non vede l’ora di essere assunto per mettere in pratica il suo piano criminale.
E’ chiaro come il soggetto 1) non presenti alcun rischio anche se la selezione fosse condotta da un head hunter incompetente o se i controlli interni aziendali fossero pessimi.
Il soggetto 2) presenta un problema probabilmente di difficile individuazione da parte del selezionatore. Anzi direi che questa fattispecie, che potrebbe riguardare anche una percentuale elevata di manager (ad esempio, in alcuni ambiti aziendali dove regna l’ingiustizia, l’arrivismo, l’anarchia, il nepotismo, la disorganizzazione, eccetera), rappresenta un grosso rischio più per gli organismi preposti al controllo interno.
L’individuo 3) invece dovrebbe essere bloccato già al momento della selezione. Successivamente potrebbe essere troppo tardi! Ma come?
Lascio ai selezionatori dibattere sulla risposta (che deve, ben inteso, considerare le best practice e le procedure di settore, le varie normative in tema di privacy, i codici etici applicabili, eccetera).
Ho avuto modo, tuttavia, di analizzare alcuni modelli (i “recruitment fraud models”) derivanti dagli studi sociologici e antropologici, utili a definire il profilo di rischio di frode intrinseco di un soggetto che avanza domanda di assunzione presso una determinata azienda o è oggetto di selezione da parte di un head hunter.
In dottrina il rischio di frode intrinseco alla persona fisica si definisce “soggettivo”, in quanto appartiene esclusivamente alla sua sfera morale, psicologica e culturale e si distingue dal rischio di frode “oggettivo” che dipende invece dall’ambiente nel quale il soggetto opera, e in particolare dalla scarsa efficacia dei sistemi di fraud prevention e di fraud detection.
Tali procedure di individuazione dei fattori di rischio sono pensate per essere applicate in occasione delle assunzioni di personale direttivo, il cui ruolo implica l’accesso alle informazioni riservate e strategiche (rappresentative del know-how aziendale) e che possono, tramite la loro influenza di potere, aggirare i controlli attraverso fenomeni di “management override”.
Tali modelli sono progettati per “esaminare” il candidato, attraverso, ad esempio:
  • i test psicologici;
  • le prove teoriche e/o pratiche;
  • l’analisi attenta e scrupolosa del curriculum vitae;
  • la verifica delle passate esperienza lavorative pregresse;
  • altri strumenti volti a misurare la presenza di pressioni (condizioni personali, famigliari, patrimoniali, eccetera) che potrebbero spingere l’individuo a frodare;
  • l'esame di eventuali periodi nei quali non è chiara quale sia stata l’attività svolta;
  • il reperimento di informazioni attraverso social network, blog, youtube, rassegne stampa, eccetera.
Accanto all’abilità e all’esperienza del recruiter aziendale o dell’head hunter non sarebbero da escludersi, per le selezioni dei più alti vertici aziendali, anche opportune indagini di “corporate e/o business intelligence” o di “fraud auditing” svolte da personale specializzato, mirate a definire  con maggiore precisione il profilo di rischio di frode di matrice “soggettiva”. Così come sarebbe utile il ricorso ai cosiddetti “modelli statistici di scoring, già comunemente utilizzati nell’ambito fraud auditing, finalizzati a determinare la probabilità di accadimento di un evento.
In occasione delle attività di recruitment i modelli di scoring prevedono l’acquisizione di molteplici elementi conoscitivi, quali: la verifica sullo stile di vita attuale, passato o prospettico, l’analisi delle abitudini di spesa, della predisposizione o inclinazione al rischio finanziario e d’investimento, la tipologia dei veicoli o natanti di proprietà o presi in leasing, la situazione famigliare, la capacità di governare lo stress, le doti di leadership, l’adesione ad associazioni, confraternite, organizzazioni no-profit, eccetera.
Il modello fornirà un indice di rischio, tocca quindi all’head hunter decidere in che misura utilizzarlo per le sue considerazioni.