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mercoledì 20 febbraio 2013

Limiti intrinseci della revisione contabile effettuata in presenza di frodi

di Stefano Martinazzo

I redattori, i controllori e i destinatari delle comunicazioni sociali sanno che errori, semplificazioni e arrotondamenti sono tecnicamente inevitabili.
Naturalmente tali insufficienze informative sono tollerate entro un limite ben preciso, rappresentato dai concetti di “significatività” e “rilevanza”.
Sebbene la valutazione su ciò che è rilevante e su ciò che è significativo spetti al giudizio professionale del revisore, generalmente si tende a ritenere rilevante ogni informazione che, se omessa, possa influenzare le valutazioni e le decisioni degli stakeholder.
Naturalmente la scelta del livello accettabile di significatività dell’errore non può prescindere da una serie di valutazioni che il revisore deve compiere in sede di pianificazione del lavoro e che determinano l’approccio, la metodologia e le attività che saranno seguite lungo l’intero iter dell’incarico di revisione.
In buona sostanza l’applicazione di specifiche procedure, definite caso per caso, ha lo scopo di ridurre ad un livello accettabile il rischio di non identificare errori significativi, in modo tale da fornire al lettore del bilancio una rappresentazione il più fedele possibile della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell’azienda.
Torniamo alla nozione di “errore”.
L’errore può essere inteso come differenza tra dato reale e dato rappresentato nel bilancio. Può avere natura quantitativa (quando riguarda l’aspetto numerico) oppure qualitativa (nel caso di carenze descrittive). Può essere determinato da comportamenti accidentali e involontari ovvero da condotte intenzionali.
In quest’ultimo caso, con molta probabilità, si è in presenza di un fenomeno fraudolento.
(...)

[L'articolo completo è pubblicato sull'edizione on-line di Diritto 24 - Il Sole 24 Ore]