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lunedì 19 marzo 2018

Anticorruzione: intervista a Ermelindo Lungaro


Il giornalista Andrea D’Orazio del Giornale di Sicilia ha recentemente intervistato un amico del blog Fraud Auditing & Forensic Accountingsul tema dell'anticorruzione.
Si tratta di Ermelindo Lungaro, docente al Master Anticorruzione dell’Università Tor Vergata di Roma e presidente di diversi board di vigilanza aziendale, senza dubbio uno dei principali professionisti del settore.
Riportiamo nel seguito l'estratto dell'articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia.




di Andrea D'Orazio (Giornale di Sicilia)

È sempre lì, dietro l’angolo, pronta a farsi strada tra gli affari pubblici e privati ogni volta che girano soldi e appalti. Si chiama corruzione, e quando viene a galla, puntualmente, trascina con sé una domanda: è davvero possibile bloccare il malaffare, fermarlo alla radice prima che si manifesti? Ermelindo Lungaro, docente al Master Anticorruzione dell’università Tor Vergata di Roma, presidente di diversi board di vigilanza aziendale, nipote dell’eroe partigiano Pietro Ermelindo a cui è dedicata una caserma di polizia a Palermo, è fermamente convinto «che la prevenzione è a portata di mano, visto che l’Italia, quantomeno in linea teorica, ha degli anticorpi che gli altri Paesi neanche si sognano».

Cioè?

«Un sistema normativo all’avanguardia basato su due pilastri: la legge 231 del 2001, che prevede l’esistenza di organismi di controllo interni alle imprese, e la 190 del 2012 - la cui cabina di regia è affidata all’Anac di Raffaele Cantone - che ha introdotto la logica preventiva anche nella pubblica amministrazione e nelle società partecipate, per arginare la cosiddetta corruzione passiva, quella dei funzionari infedeli che intascano mazzette per orientare l’assegnazione delle commesse. Ma evidentemente una solida base giuridica non basta».

Perché? Cosa vanifica questi «anticorpi»?

«Due fattori, che nella mia carriera riscontro soprattutto nel settore pubblico, uno di tipo culturale, l’altro legato a un problema di competenze. Il primo, dipende da un’ignoranza diffusa: in pochi sanno come funziona davvero la legge, che rimane il più delle volte solo un pezzo di carta. La norma anticorruzione prevede, ad esempio, l’attuazione di piani di prevenzione, ma in molti enti e società pubbliche questi programmi non vengono né aggiornati né concretamente applicati. A monte, c’è anche e soprattutto un problema politico. Dovrebbe essere la classe dirigente a dare l’input, ma manca la volontà, o per superficialità o peggio ancora per tornaconto personale».

E la questione della competenza? La legge prevede anche la figura di un responsabile interno che sorvegli la macchina amministrativa.

«Per prevenire la corruzione non si può improvvisare, bisogna avere grande esperienza, anche perché la stessa normativa, in ambito pubblico, richiede di andare oltre l’approccio formale: prevede un lavoro di fino, chirurgico, per andare a scovare le aree grigie dove si annida il malaffare. Purtroppo, il più delle volte, i responsabili interni della vigilanza non sono all’altezza del compito, hanno un deficit di preparazione e si limitano al compitino, al meccanico adempimento dei programmi di prevenzione».

Lei di piani ne ha stilati diversi, per aziende e comuni, anche per l’Anci, e ha girato l’Italia per spiegare ai manager come si combatte il fenomeno corruttivo. Cosa insegna a tutti loro?

«Che la normativa anticorruzione è lo strumento ideale per togliere un po’ di scheletri dall’armadio, per fare un po' di pulizia e rendere le società che amministrano più trasparenti e, di conseguenza, più efficienti. Il messaggio è: vigilate, e non esitate a denunciare chi commette un illecito. Devo dire che vengo ascoltato più dai manager del settore privato. Hanno meno remore a vuotare il sacco, forse perché sono più attenti al rischio di impresa, perché capiscono che la corruzione può distruggere l’immagine e il profitto aziendale».




sabato 22 ottobre 2016

"Corruzione, frodi sociali e frodi aziendali", di Angelo Jannone

La rubrica "sulla mensola del fraud auditor" è stata pensata per dare agli addetti ai lavori o ai cultori della materia, strumenti utili ad approfondire le varie tematiche legate alla prevenzione dei rischi di frode e alle indagini nell'ambito aziendale.

E' capitato in passato di promuovere testi squisitamente accademici, altre volte molto teorici, a volte molto didascalici e altrettante volte scritti sotto forma di manuale pratico.

Oggi, dopo un'attenta lettura, presentiamo uno scritto assolutamente completo, idoneo come strumento di formazione per il giovane laureando nelle discipline economico-investigative così come all'addetto ai lavori o ancora al neofita di questi temi.

Si tratta di un testo redatto da un super esperto delle indagini, già Colonnello dei ROS, impiegato in numerose attività di contrasto alla criminalità mafiosa ed economica. 
Docente, divulgatore, professionista e autore di numerosissime pubblicazioni riguardanti il mondo dell'Intelligence, della criminalità economico-finanziaria e della cronaca nera e giudiziaria che ha influenzato molto della storia italiana, passata e recente.

Si sta parlando di Angelo Jannone, prima ufficiale dei Carabinieri, poi manager di importanti società private italiane, professionista esperto nella lotta contro gli illeciti societari ed ora Chief Executive Audit di Italiaonline.

Solo chi può vantare una brillante carriera maturata sul campo può scrivere un testo dal titolo impegnativo quale "CORRUZIONE, FRODI SOCIALI E FRODI AZIENDALI", senza incappare nel rischio di incorrere in banali semplificazioni o teoriche, quanto improbabili, descrizioni di fantasiosi schemi di frode.



Dalla lettura del testo si comprende subito che Jannone ciò che ha scritto, lo ha vissuto davvero. 
D'altra parte, anche altri assoluti protagonisti del settore delle investigazioni economico-finanziarie hanno voluto dimostrare la vicinanza all'autore scrivendo la prefazione e la presentazione al libro.

Si tratta rispettivamente di Fabio Tortora, notissimo Presidente del Chapter italiano di ACFE - Association of Certified Fraud Examiners, cioè l'associazione dei professionisti anti-frode, e di Roberto Pennisi, importantissimo magistrato della Procura Nazionale Antimafia con oltre 35 anni alle spalle di lotta contro 'ndrangheta ed eco-mafie.

Questo testo, seppur con alcuni tecnicismi, è adatto a tutti gli interessati ad argomenti quali la lotta alla corruzione, il contrasto agli illeciti societari, le scienze criminologiche, le tecniche di prevenzione dei rischi di frode attraverso il potenziamento dei sistemi di controllo interno aziendale e le investigazioni interne finalizzate alla redazione di consulenze tecniche di parte.

Interessantissimo è il paragrafo 6 del capitolo 5, dedicato proprio alle investigazioni.

In questo paragrafo Angelo Jannone, forte della sua esperienza maturata nel Raggruppamento Operativo Speciale dell'Arma dei Carabinieri, tratta un argomento che altri autori hanno preferito non affrontare: quello legato ai rapporti con la Polizia Giudiziaria che il forensic accountant è chiamato a saper gestire nell'ambito degli incarichi di contenuto penale.

In questa parte del libro si è riscontrata la profonda competenza di Jannone in questo particolarissimo settore della scienza forense, soprattutto quando vengono affrontate le tecniche di redazione del "fraud report" e le caratteristiche della testimonianza del consulente tecnico in sede penale, molte volte nella veste di ausiliario del Pubblico Ministero.

Insomma un testo dal quale il blog, previo consenso dell'autore, trarrà spunto per molti altri articoli di carattere tecnico e scientifico, anche per le tematiche attualissime legate sia alla figura del "whistleblower" (già, affrontate in passato dal blog) che ai protocolli operativi di prevenzione dei rischi di corruzione.


"Corruzione, frodi sociali e frodi aziendali - dalla prevenzione al contrasto", collana "Criminologia", edito da FrancoAngeli, 226 pagine, è disponibile ad un prezzo di 20 € cliccando QUI.




lunedì 29 agosto 2016

Frodi sanitarie: negli USA il "sistema immunitario" più efficacie

E' stato pubblicato di recente un articolo sulle frodi nell'ambito sanitario che evidenzia come i programmi di prevenzione e individuazione degli schemi fraudolenti tipici di questo settore, abbiano un impatto rilevante sulla riduzione della spesa sanitaria pubblica e privata.

In generale i casi di frode maggiormente percepiti dai pazienti/utenti, sono le false fatturazioni delle prestazioni professionali fornite dai medici. E' fenomeno noto il vedersi ridurre in fattura l'importo della prestazione medica rispetto all'effettiva somma versata dall'utente, per non citare i casi frequentissimi di richiesta dell'intero pagamento in nero (cioè senza l'emissione di fattura).
Il fine, sarebbe inutile sottolinearlo, è quello di sottrarre base imponibile al fisco.

Qualche mese fa il Department of Health and Human Services statunitense, in collaborazione con il Department of Justice, in seguito ad un'operazione coordinata, ha identificato 301 medici coinvolti in fenomeni di false fatturazioni, per un totale di $ 900 milioni.


Altri schemi fraudolenti molto frequenti da osservare nella sanità pubblica e privata riguardano gli approvvigionamenti e gli appalti. In questo caso le fattispecie illecite sono molteplici, anche se l'obiettivo finale rimane l'arricchimento di soggetti interni alle strutture sanitarie con il coinvolgimento di terzi appaltatori/fornitori compiacenti.
Il drenaggio di denaro avviene attraverso l'incremento arbitrario dei prezzi delle forniture o l'ampiamento ingiustificato delle opere oggetto di appalto ovvero con l'approvvigionamento di beni o servizi non necessari.

Molte strutture sanitarie stanno munendosi di procedure anti-frode in grado di fronteggiare questi fenomeni illeciti dilaganti, ottenendo fin da subito grandi benefici economici e organizzativi.
Un metodo molto efficacie è quello di introdurre modelli di prevenzione basati sui casi di frode pregressi.
Infatti, una volta accaduto il caso di frode, è bene approfondire lo schema seguito dal frodatore, le motivazioni che lo hanno spinto a frodare e le ragioni per le quali i meccanismi di prevenzione in vigore non sono stati in grado di individuare tale comportamento.
Queste analisi sono utili a rendere maggiormente efficacie il "sistema immunitario anti-frode" - ogni altra migliore definizione, in questo caso, non sarebbe ugualmente efficacie - contro altri illeciti di analoga tipologia e modalità di sviluppo.

Infine, sempre di recente e ancora negli Stati Uniti, sono stati individuati moltissimi casi di prescrizioni di farmaci e di apparati di deambulazione inutili o addirittura dannosi per i pazienti, al solo scopo di far guadagnare una tale farmacia o azienda produttrice rispetto ad altre concorrenti. Anche in questo caso il medico incassava una percentuale di tali guadagni prodotti illecitamente.

Il danno al sistema sanitario è evidente, visto che una parte del costo di tali dispositivi è a carico della collettività, così come i benefici fiscali ottenuti a fronte delle somme versate per l'acquisto dei farmaci.

Se si leggono i resoconti sugli enormi successi raggiunti in seguito alla lolla alle frodi sanitarie negli Stati Uniti e sulle somme elevatissime recuperate, si comprende come sia fondamentale iniziare a sviluppare anche in Italia un sistema anti-frode specifico per la sanità pubblica e privata.
Ne gioverebbero certamente le casse statali, ma anche i pazienti che avrebbero accesso a strutture più organizzate e a cure più economiche ma ugualmente efficaci.



martedì 1 settembre 2015

Piani anti-corruzione: sono realtà anche in Italia?

La corruzione è una piaga diffusa in tutto il mondo economico.
E' una patologia endemica che altera il mercato inducendolo ad effettuare scelte irrazionali in termini di competitività e concorrenza, rallentandone, di fatto, lo sviluppo sano e coerente.
Senza contare che un mercato pesantemente intaccato dalla corruzione, quale quello italiano, determina danni di sistema immensi, determinati dalla fuga degli investitori e dai più alti costi tributari caricati sull'intera collettività.


Per contrastare questo fenomeno negli ultimi anni gli ordinamenti giuridico-economici più moderni hanno coinvolto le aziende e più in generale ogni operatore economico, nella lotta alla corruzione, agendo soprattutto grazie all'introduzione di un sistema sia incentivante sia sanzionatorio.
Più in particolare, se da una parte si è teso sollecitare l'azienda all'introduzione di modelli di governance specificatamente strutturati per prevenire le condotte corruttive a tutto vantaggio della redditività, dall'altra si è introdotto un sistema sanzionatorio per le società nel cui interesse e vantaggio il corrotto/corruttore abbia commesso l'atto illecito.

L'attività corruttiva, infatti, nelle sue tre diverse declinazioni previste dagli artt. 318-322 c.p., 322 bis c.p. e 2635 c.c., è considerata un "reato presupposto" per l'applicazione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n.231,

Ma come organizzare un programma aziendale anti-corruzione? E quali benefici immediati si possono ottenere introducendo tali modelli?

I cosiddetti "programmi di compliance anti-corruzione" sono piuttosto diffusi nel mondo economico anglosassone e portano una serie di benefici non soltanto nella gestione della responsabilità legale dell'azienda.
I vantaggi derivanti dall'introduzione di tali modelli organizzativi sono concreti ed evidenti, ad esempio, nella gestione del rischio reputazionale o nel favorire l'instaurazione di una cultura aziendale etica ed integra oppure ancora, nel facilitare una buona efficienza operativa rivisitando con spirito critico i meccanismi di funzionamento dei processi aziendali che potrebbero essere intaccati dalla corruzione.

Sono ormai consolidati nella pratica professionale i criteri di redazione di un buon piano anti-corruzione. E da tali esperienze sul campo, sono state elaborate autorevoli linee guida redatte da prestigiosi organismi internazionali quali, per citarne alcuni, Transparency International, OCSE, World Bank e World Economic Forum.

Queste "best-practice", che saranno argomento di futuri articoli sul blog, hanno il grande pregio di fissare criteri comuni e universalmente riconosciuti come idonei ed efficaci nel contrastare i fenomeni corruttivi.
E, pertanto, utili a definire un buon programma anti-corruzione.

In Italia va aumentando il numero delle aziende interessate a dotarsi di tali modelli organizzativi, in particolare quelle realtà economiche i cui titoli azionari sono quotati nei mercati regolamentati.
Ma attenzione! Perché solo se si saprà sviluppare tali modelli secondo i criteri più moderni ed evoluti, si potrà osservare un concreto miglioramento nelle statistiche che tanto puntualmente, quanto drammaticamente, misurano l'incidenza della corruzione italiana.


lunedì 11 maggio 2015

Fraud auditor e Forensic accountant. Ci sono differenze?

Finalmente è arrivato il momento di occuparcene.
Sono ormai numerose le email indirizzate all'editore del presente blog contenti richieste di chiarimento sulle due materie professionali alle quali il blog medesimo è dedicato.

Quando si sono citati nei vari post i fraud auditor o i forensic accountant, lo si è fatto senza distinguerne i diversi ruoli? Oppure queste due espressioni sono sinonime? E, ancora, quando e come operano questi professionisti? In momenti diversi oppure contemporaneamente?

Domande legittime alle quali si tenterà oggi di dare una risposta.

Si "tenterà" appunto, perché su questo tema gli specialisti del settore hanno pareri non sempre concordanti.
Di seguito, quindi, si delineeranno le caratteristiche principali delle due figure professionali ammettendo però che, in alcune occasioni, il fraud auditor potrebbe (e dovrebbe) assumere anche il ruolo del forensic accountant. E viceversa.

Procediamo con ordine.

Le espressioni "fraud auditor" e "fraud auditing" racchiudono in sé il concetto di "audit" ovvero di controllo, accertamento, verifica, vigilanza ed anche di revisione.
In estrema sintesi si tende a considerare questo professionista come una sorta di internal (o exernal) auditor con competenze specifiche nell'ambito antifrode.
Pertanto si potrebbe identificare il suo intervento in una fase di prevenzione o di monitoraggio delle attività aziendali, come pure nel corso di un'attività di revisione contabile (alla luce del principio ISA 240). Ovvero anche come esperto (o referente) antifrode inquadrato negli uffici ispettorato, corporate compliance e internal audit. Oppure ancora come membro dei vari organismi e/o comitati di vigilanza e controllo.

In particolare questo professionista interviene in due momenti specifici.
Nell'attività di prevenzione cosiddetta "generica", cioè quando svolge attività di routine e di successivo "follow-up" nell'ambito di ispezioni ordinarie, controlli pianificati e verifiche periodiche mirate a valutare la vulnerabilità dei sistemi aziendali antifrode (attività di fraud risk assessment/management).
Oppure interviene in situazioni specifiche, quando per esempio deve accertare casi di sospetta frode segnalata dai sistemi informatici di rilevamento automatico oppure dai whistleblower.

Il più delle volte il fraud auditor finalizza il suo lavoro con la compilazione di un report tecnico ad uso interno che descrive le attività svolte, le risultanze o le evidenze riscontrate, i suggerimenti di miglioramento e le successive attività di verifica atte ad accertare i progressi fatti.
Oppure, nel caso il fraud auditor sia un professionista esterno, l'incarico terminerà con l'emissione di una relazione sul lavoro svolto indirizzata all'entità committente (azienda, revisore contabile, collegio sindacale, Organismo di Vigilanza ex d.lgs 231/01, comitato di vigilanza sulle parti correlate eccetera).




Le espressioni "forensic accountant" e "forensic accounting" includono il termine "forensic", il che implica sia il concetto di "materia legale" sia quello di "investigazione" e "indagine". Il termine "accounting", inoltre, identifica che l'esperto è specializzato nella materia economico-finanziaria e contabile, distinguendolo da altre figure professionali operanti nelle varie discipline forensi (digital forensic expert, forensic pathology eccetera).

Solitamente il forensic accountant interviene in una fase successiva a quella in cui opera il fraud auditor (e di qui la scelta di titolare il blog mettendo nella corretta successione funzionale le due figure professionali); cioè interviene quando il sospetto di frode aziendale è divenuto amara realtà e si valuta la necessità di indagare il fatto mediante un professionista terzo indipendente che applicherà procedure idonee al fine di garantire l'utilizzabilità in sede legale delle evidenze raccolte.

Inoltre, l'esperienza insegna che il forensic accountant opera sempre più spesso in coordinamento con un altro esperto, il digital forensics expert, in quanto molte delle evidenze oggetto di analisi sono contenute nei supporti digitali e gli stessi software investigativi implicano, per il loro corretto funzionamento, il coinvolgimento di sistemisti e/o tecnici informatici.

Il lavoro del forensic accountant si concretizza con l'emissione di una relazione tecnica utilizzabile in sede legale (civile e/o penale) e arbitrale. Utile pertanto anche nell'ambito delle procedure concorsuali, del contenzioso extragiudiziale e nelle cause di lavoro.

Il forensic accountant è solitamente inquadrato come dipendente o partner di società di consulenza aziendale strutturate, in cui sono presenti i dipartimenti di "forensic accounting" oppure nelle organizzazioni aziendali, quali le holding, in cui è necessaria un'attività costante di verifica e accertamento sui conti economico-patrimoniali e finanziari di gruppo. Oppure ancora è un professionista indipendente, quale ad esempio un dottore commercialista, con particolari competenze maturate nell'ambito investigativo.

Sarebbero molte altre le sfumature che distinguono le due figure professionali, quali, ad esempio, i diversi strumenti tecnici utilizzati, il diverso approccio nella gestione delle fattispecie da analizzare, il diverso grado di autonomia e indipendenza d'azione eccetera.

Un punto più di altri, tuttavia, è opportuno evidenziare. Cioè il fatto che il fraud auditor non saprebbe esercitare con efficacia il proprio lavoro se non si fosse cimentato anche nel ruolo del forensic accountant. E viceversa.
Proprio per il legame funzionale e di continuità logica esistente tra le due professioni, infatti, si può concludere che queste sono intrinsecamente legate e che è molto facile osservare professionisti "in azione" che assumono entrambi i ruoli a seconda dello scopo per il quale sono chiamati ad operare.

s.m.



lunedì 13 ottobre 2014

Focus sul "modello 231/01" (Milano, 19-20 novembre 2014)

organizza un convegno su:


VERIFICHE SUL
MODELLO ORGANIZZATIVO
E SULL’ATTIVITÀ DELL’ODV

INDAGINI INTERNE
INDAGINI GIUDIZIARIE
CASISTICA GIURISPRUDENZIALE


Hotel Principe di Savoia
Milano, 19 - 20 Novembre 2014


PROGRAMMA PRIMA GIORNATA: Mercoledì 19 Novembre 2014

1 - Prof. Giuseppe Pogliani (Docente di Forensic Accounting, Fraud and Litigation - Università L. Bocconi, Milano):
La mappatura dei rischi in materia di corruzione, reati societari e riciclaggio; la costruzione del modello organizzativo atta a prevenire la commissione dei reati ai fini della fraud investigation:
  • necessità di comprendere le attività e le aree di rischio: il modello controlli/obiettivi
  • sistema di controllo interno anti-fraud e il fraud risk assessment
  • attività dell’OdV sul costante aggiornamento del modello organizzativo
  • attività di fraud auditing ai fini della fraud investigation
2 - Cons. Piercamillo Davigo (II^ Sez. Penale - Suprema Corte di Cassazione):
Il reato di corruzione: la tutela penale della concorrenza nell'attuale contesto economico alla luce dei recenti provvedimenti legislativi
  • D.L. 90/2014: ruolo e poteri dell’A.N.AC.
  • condotte penalmente rilevanti: corruzione tra privati, concussione e traffico di influenze illecite
  • rapporti con i reati societari e l’autoriciclaggio
  • intese anticoncorrenziali e reati collegati o collegabili
3 - Cons. Ugo De Crescienzo (II^ Sez. Penale - Suprema Corte di Cassazione):
I reati societari: esame della casistica e recenti sviluppi giurisprudenziali
  • falso in bilancio e reati tributari collegati
  • ostacolo alle funzioni di vigilanza
  • insider trading
  • aggiotaggio e manipolazione del mercato
  • market abuse
4 - Prof. Avv. Emanuele Fisicaro (Docente di Diritto Penale Commerciale - Università di Bari):
Il reato di riciclaggio e l’autoriciclaggio: esame della casistica; recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali
  • riciclaggio e autoriciclaggio: nuova formulazione dell’art. 648 bis c.p.
  • collegamenti con i reati tributari e societari
  • operatori bancari e professionisti: tutele, punibilità e sanzioni
  • indagini interne e indagini giudiziarie: individuazione di irregolarità, patteggiamento e sanzioni irrogate
5 - Prof. Alberto Quagli (Ordinario di Economia Aziendale - Università di Genova):
Il ruolo del CTU nella definizione dei reati societari con particolare riguardo al falso in bilancio
  • formulazione del quesito nell’accertamento dell’utilità o del vantaggio
  • verifiche sulle scritture contabili e riscontri con le funzioni aziendali coinvolte
  • verifiche sul modello organizzativo e sull’OdV
  • riferimenti tecnici per la definizione del grado di “veridicità” del bilancio
  • contenuti della relazione finale


TAVOLA ROTONDA
Moderatore: Avv. Federico Busatta (Partner Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, Milano)

Avv. Vincenzo Mongillo (Docente di Diritto Penale - Università Federico II, Napoli):
La corruzione, i reati societari e il riciclaggio nella con contrattualistica e nei rapporti internazionali: implicazioni per le imprese italiane operanti all’estero
  • riflessi della “novella anticorruzione” sui rischi penali in operazioni economiche internazionali
  • corruzione internazionale tramite procacciatori di affari e agenti
  • gruppi societari, partnership e joint venture
  • misure di prevenzione della corruzione internazionale
Dott. Roberta Rima (Manager Forensic Services - PricewaterhouseCoopers, Milano):
  • attività di investigation condotte da multinazionali presso le sedi operative estere
  • nuovo ruolo dell’Internal Audit in azienda: dalle attività di controllo alle attività di investigation
  • risvolti delle attività di investigation, tra attività di remediation interne e obblighi normativi delle giurisdizioni locali
Cons. Elisabetta Rosi (III^ Sez. Penale - Suprema Corte di Cassazione):
  • corruzione internazionale e corruzione transnazionale
  • questioni di giurisdizione in relazione a reati commessi all’estero
  • ne bis in idem” internazionale
  • violazioni amministrative e penali in presenza di un unico fatto (giurisprudenza nazionale e Corte EDU)

PROGRAMMA SECONDA GIORNATA: Giovedì 20 Novembre 2014

1 - Dott. Alfonso Dell’Isola (Studio Dell'Isola, Roma)
Le verifiche sul modello organizzativo e l’attività dell’OdV anche alla luce delle nuove Linee Guida di Confindustria
  • analisi delle più significative criticità dei modelli organizzativi
  • risk assessment come elemento essenziale per la definizione dei modelli
  • punti di forza e di debolezza dell’OdV: budget, indipendenza, flussi informativi e segnalazioni
  • documentazione ed esiti delle verifiche anche ai fini dell’utilizzabilità in sede giudiziaria
2 - Dott. Franco Lagro (Partner Forensic Services - PricewaterhouseCoopers, Milano)
L’individuazione di irregolarità configuranti violazioni ai sensi del D.Lgs. 231/01: l’avvio di indagini interne finalizzato a ricostruire i fatti
  • origine e verifica della segnalazione
  • aspetti operativi: modalità di svolgimento delle indagini e soggetti coinvolti
  • possibili illeciti compiuti da terze parti e verifiche conseguenti
  • estensione delle indagini interne alle società controllate e collegate
  • attività conseguenti alle irregolarità riscontrate e pianificazione delle attività di remediation
3 - Avv. Marco Calleri (Senior Equity Partner - Studio Legale Mucciarelli, Milano)
  • indagini difensive penalistiche
  • indagini di gruppo e concetto di present responsabilità
  • utilizzo forense, privacy e contraddittorio parapenalistico avanti l’OdV
4 - Prof. Paolo Bastia (Ordinario di Economia Aziendale - Università di Bologna - Università LUISS G. Carli, Roma)
L’avvio di indagini giudiziarie conseguenti alla commissione di reati presupposto ex D. Lgs. 231/01: ruolo del CTU dalla formulazione del quesito alla relazione finale nell'analisi del modello organizzativo; idoneità ed efficacia esimente: quali caratteristiche?
  • verifiche strutturali del modello organizzativo
  • verifiche sul processo di formazione del modello organizzativo
  • verifiche sull’OdV
  • verifiche sui rapporti tra OdV e organi di corporate governance
  • verifiche nei rapporti dell’OdV con il personale dipendente
  • contenuti della relazione finale ai fini dell’esimente: carenze e criticità nell'ottica di un giudizio sull'adeguatezza sostanziale

TAVOLA ROTONDA
Moderatore: Avv. Chiara Padovani (Studio Legale Padovani, Milano, Genova)

Dott. Giordano Baggio (Sostituto Procuratore della Repubblica - Tribunale di Milano)
Dott. Stefano Martinazzo (Senior Manager Fraud Investigation and Dispute Services JNP S.r.l., Milano)
La casistica giurisprudenziale in materia di corruzione, reati societari e riciclaggio: dal patteggiamento alle imputazioni a carico delle persone fisiche e dell’ente
  • casi in cui è intervenuto il patteggiamento
  • ruolo e compiti del CTU
  • aggiornamento del modello nel corso della fase cautelare
  • accertamenti tecnici e di acquisizione documentale nella fase preliminare delle indagini
  • negoziazione, comportamento attivo e cooperazione con la Procura
Avv. Guglielmo Giordanengo (Studio Giordanengo Avvocati Associati, Torino)
Dott. Sergio Spadaro (Sostituto Procuratore della Repubblica - Tribunale di Milano)
  • rubricazione e classificazione dei reati contestati alle persone fisiche e all’ente
  • identificazione dell’interesse (ex ante) o del vantaggio (ex post)
  • struttura e attività dell’OdV sotto la lente del giudice: i parametri di adeguatezza, funzionalità e indipendenza
  • sequestro
  • confisca

Per gli Avvocati, la partecipazione all'iniziativa comporterà l'attribuzione di n. 12 CFP (6 CFP per ciascuna giornata) da parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano.

Per le informazioni sulla quota di iscrizione cliccare QUI
o contattare il n. della segreteria organizzativa: 011/8129112.


lunedì 15 settembre 2014

Il "Referente Antifrode" nel settore assicurativo

Il blog si è già occupato in passato di frodi assicurative, tuttavia è bene ritornare sull'argomento vista la recente disposizione emanata dalla divisione Antifrode dell'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS).

Grazie a questo provvedimento datato 21 maggio 2014 (prot. n. 47-14-001794) tutte le imprese di assicurazione sono tenute a nominare un "referente" per le attività antifrode.

Che i fraud auditor entrino ufficialmente nel mondo assicurativo e possano agire in piena libertà ed efficacia lo si vedrà molto presto.
Infatti la nomina del Referente Antifrode (RAF) ed il conferimento dei relativi poteri di rappresentanza dovrebbero essere avvenuti entro il 20 luglio scorso, cioè entro i 30 giorni messi a disposizione degli organi societari per prendere i necessari provvedimenti.

Al momento non si hanno informazioni sull'effettivo adempimento a tali disposizioni.


Ma quali dovranno essere in concreto i compiti del Referente Antifrode?
Innanzitutto la disposizione emanata dall'IVASS specifica tre mansioni principali; nell'ordine:
  1. attività antifrode;
  2. adempimenti riconducibili all'Archivio Informatico Integrato (AII);
  3. attività di collegamento, coordinamento e collaborazione con gli organi di Polizia Giudiziaria.
Entrando, seppur sinteticamente, nel merito delle competenze richieste al RAF, si comprende subito che la disposizione dell'IVASS prevede un'insieme di compiti vastissimo che il referente, con molta probabilità, dovrà gestire mediante un proprio team di esperti appositamente formato e dedicato.

Da qui l'esigenza di costituire un'Unità Antifrode diretta dal RAF.

Dovrà essere una vera e propria struttura d'intelligence con compiti investigativi e di prevenzione, dotata delle caratteristiche già illustrate dal nostro blog nel post "Frodi assicurative: ruoli e competenze del fraud auditor", al quale si rimanda per gli approfondimenti.

Questa Unità sarà chiamata ad individuare situazioni anomale attraverso attività di raccolta, incrocio ed analisi dei dati presenti nelle varie piattaforme informative aziendali ed extra-aziendali (comprese le cosiddette fonti pubbliche o "fonti aperte") al fine, da un lato, di effettuare le indagini interne e dall'altro di segnalare i presunti fenomeni fraudolenti all'Autorità Giudiziaria competente.

Inutile sottolinearlo, ma le strutture antifrode affinché possano portare un concreto beneficio alla redditività aziendale devono essere dotate di un budget sufficientemente capiente per effettuare i necessari investimenti nel campo informatico e nella formazione del personale.

La direttiva dell'IVASS aggiunge un compito fondamentale per il Referente Antifrode. 
Una novità, almeno per il mondo assicurativo: il ruolo di collegamento con le forze di Polizia Giudiziaria con le quali deve essere instaurato un solido rapporto, basato innanzitutto su principi di leale collaborazione.

Infine tra le attività di competenza del RAF trova massimo rilievo la prevenzione del rischio di frode.
E ciò deve avvenire anche in coordinamento con le altre strutture di controllo, quali ad esempio l'Organismo di Vigilanza previsto dal D.Lgs. 231/01 (anche in questo caso il blog ha già trattato l'argomento nel post "Prevenire le frodi attraverso il modello organizzativo 231. Utopia?").
Il RAF in questo caso potrebbe ricoprire il ruolo di membro dell'OdV e divenire uno strumento utile anche per le verifiche di competenza di quest'ultimo organismo.

Prevenire le frodi significa istituire opportune procedure basate su una conoscenza minuziosa di un business particolare e caratteristico quale quello assicurativo, tenendo in considerazione i principi ispiratori dei più evoluti ed efficaci modelli di fraud risk management.

Il tempo e le statistiche sugli esiti della repressione dei fenomeni fraudolenti ci sapranno dire se la strada imboccata dall'IVASS si dimostrerà quella giusta.

s.m.



domenica 31 agosto 2014

Consulenza tecnica giudiziaria in materia 231



Nell'ambito dell’attività professionale esercitata come fraud auditor a favore di aziende e di studi legali, non è raro essere chiamati ad assumere il ruolo di Consulente Tecnico del Pubblico Ministero al fine di condurre accertamenti mirati ad individuare eventuali irregolarità tali da configurare violazioni ai sensi del d.lgs. 231/01.

In base a recenti esperienze, i quesiti posti dal Pubblico Ministero riguardanti il modello organizzativo 231 sono stati formalizzati in corso d’indagine e più precisamente in seguito ad una prima nomina finalizzata alla ricostruzione dal punto di vista economico-finanziario di alcune operazioni irregolari.

In questi casi il PM, grazie al lavoro preliminare svolto dal suo CT, è stato in grado di valutare:
  1. la reale fondatezza degli elementi di prova acquisiti,
  2. che i delitti commessi potevano configurarsi come reati presupposto,
  3. la potenziale sussistenza di un interesse (e dell'eventuale vantaggio) in capo all'ente 
e quindi procede a conferire al medesimo CT un quesito integrativo mirato a valutare l’idoneità del modello a prevenire quella particolare fattispecie di reato oggetto d’indagine.

Il quesito posto dal PM può prevedere lo svolgimento di accertamenti tecnici volti ad analizzare i seguenti aspetti: 
  1. l'esistenza, il funzionamento e l'idoneità del modello organizzativo;
  2. l'esistenza, la composizione, l'adeguatezza e l'effettivo funzionamento dell’Organismo di Vigilanza;
  3. gli accertamenti su eventuali elusioni fraudolente del modello;
  4. la qualificazione dell’interesse (beneficio specifico) in capo all'ente;
  5. la quantificazione dell'eventuale vantaggio (profitto o prodotto del reato);
  6. la definizione del ruolo di "apicale" del soggetto indagato.
Senza entrare nel merito tecnico sulle modalità di svolgimento delle indagini, per il CT è necessario dapprima pianificare e poi adottare alcuni protocolli metodologici al fine di ottimizzare il tempo e le risorse stabilite dal PM.

In particolare nel seguito è riportato, in estrema sintesi, un possibile approccio metodologico che il Consulente Tecnico potrebbe seguire al fine di rispondere al quesito posto dal PM.


Verifiche condotte sul modello 231

Le analisi condotte sul modello sono finalizzate ad accertare:
  • la data di entrata in vigore del modello e delle sue versioni successive;
  • il/i soggetto/i che si sono occupati della sua introduzione, sviluppo e aggiornamento; 
  • la corretta mappatura delle attività sensibili soggette a rischio d’illecito;
  • l’adozione di specifici protocolli operativi di prevenzione;
  • lo stanziamento di risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
  • l’esistenza di strutture interne/esterne preposte alla gestione e aggiornamento del modello;
  • le evidenze di attività di formazione del personale;
  • l’esistenza di codici di deterrenza e di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto del modello.

Verifiche sull'Organismo di Vigilanza (art. 6, c. 1, lettera b)

Con riferimento all’O.d.V. potrebbero essere svolte le seguenti attività di verifica:
  • accertamento sulla composizione dell’O.d.V. (collegiale o monocratico; membri interni/esterni);
  • verifica dei requisiti posseduti dai membri dell’O.d.V. (autonomia, indipendenza, professionalità, onorabilità, assenza di conflitti d’interesse);
  • analisi sulle attività svolte dall’O.d.V. sulla base della documentazione disponibile.

Verifiche su eventuali elusioni fraudolente del modello (art. 6, c. 1, lett. c)

L’analisi condotta dal CT del PM dovrebbe sempre prevedere approfondimenti sulle eventuali azioni elusive finalizzate ad aggirare il modello; in presenza di condotte fraudolentemente elusive, infatti, l’ente non risponde.

Andrebbe pertanto appurato se la condotta elusiva è stata (Sentenza 4677/13, Corte Cassazione):
  • ingannevole;
  • falsificatrice;
  • obliqua;
  • subdola.
Un modello giudicato idoneo, infatti, può essere aggirato solo grazie ad un atto elusivo e ingannevole e non solo in seguito ad un mero abuso di potere (cd “management override”).

In quest’ultimo caso, a parere di chi scrive, il modello non è idoneo per definizione proprio perché in primis esso è chiamato a contrastare proprio tali comportamenti abusivi del management.


Identificazione dell’interesse e vantaggio dell’ente (art. 5, c. 2)

L’identificazione dell’interesse (ex-ante) e dell'eventuale vantaggio (ex-post) dell’ente andrebbe dimostrata grazie a specifiche analisi e verifiche svolte dal CT finalizzare a comprendere quali siano stati gli “obiettivi” del reato (interesse dell’ente o esclusivo interesse proprio?) nonché la natura del vantaggio perseguito (meramente economica, beneficio di posizione sul mercato, concorrenza sleale eccetera).

E' solo in caso di ricordare infatti che l’ente non risponde se i responsabili del reato hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.


Definizione del ruolo di "apicale" (art. 5 c. 1, lettera a)

Con riguardo al soggetto pianificatore ed esecutore dei reati presupposto, il CT dovrà accertarne:
  • l'inquadramento contrattuale e la sua collocazione gerarchica;
  • il ruolo e la mansione rivestita all'interno dell'organizzazione aziendale;
  • gli eventuali poteri/deleghe/procure attribuitegli dagli organi assembleari e amministrativi;
  • le eventuali responsabilità sostanziali (o di fatto) assunte nell'esercizio del proprio ruolo.
L'obiettivo del CT dovrebbe essere mirato a verificare che tali soggetti rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione.

Inoltre, nei casi più complessi e controversi, è opportuno procedere a specifici accertamenti mirati a verificare l'effettiva autonomia finanziaria e funzionale dell'unità organizzativa nel cui ambito il citato soggetto abbia operato come amministratore, gestore, direttore o controllore.


Da ultimo è importante sottolineare come tutte le attività del CT del PM possano essere portate a termine solo grazie al coordinamento e alla partecipazione attiva alle operazioni di Polizia Giudiziaria condotte, generalmente, dai nuclei investigativi della Guardia di Finanza delegati dall'Autorità Giudiziaria.

s.m.



giovedì 20 marzo 2014

Prevenire le frodi attraverso il modello organizzativo 231. Utopia?

Le cronache continuano ad evidenziare un incremento considerevole dei casi di frode aziendale, in tutti i contesti merceologici con il coinvolgimento anche di realtà molto grandi e strutturate, nonostante la "231" e il suo continuo arricchimento con nuovi reati presupposto.

Questo porterebbe a confermare ciò che ormai da alcuni anni si sente sussurrare ai convegni sui modelli organizzativi ex dlgs 231. Considerazioni esplicitate più o meno timidamente anche da navigati internal auditor, autorevoli magistrati ed esponenti delle forze di polizia economico-finanziaria o da illustri accademici. Prese d'atto di un sistema che non sembra funzionare affatto per come è stato progettato.
E che probabilmente non ha mai funzionato.




E' doveroso dopo più di un decennio, con assoluta onestà, fare il punto sull'utilità attuale dei modelli organizzativi 231. Sulla loro capacità di prevenire i comportamenti illeciti, sulla loro validità a mitigare le vulnerabilità e le debolezze di una governace piena di conflitti d'interesse. Di una governance che troppe volte ha visto i modelli di prevenzione del rischio di frode, tra i quali vanno assolutamente compresi i modelli organizzativi 231, come un vero e proprio intralcio alla competitività.

Nel 2001 si sperava che responsabilizzando le aziende sull'enorme problematica della criminalità economico-finanziaria, sul suo dilagare anche nei contesti tradizionalmente più immuni, nel tempo si sarebbero ridotti i fenomeni fraudolenti riportando la patologia a livelli tollerabili.
E' successo esattamente il contrario.

In generale la 231 è rimasta una semplice procedura scritta sulla carta e archiviata su di uno scaffale, come tante altre. In bella mostra e da esibire al magistrato di turno.
Una sorta di polizza assicurativa a tutela degli "imprevisti" di percorso, sempre possibili nella vita aziendale.
Un modello a volte banale, il cui merito più probabile è stato quello di aver dato lavoro a parecchie schiere di professionisti.

Col senno di poi, la strategia migliore sarebbe stata innanzitutto quella di favorire o promuovere una robusta formazione di bravi fraud auditor, esperti di prevenzione delle frodi aziendali (fraud risk management) e di mappatura dei rischi collegati (fraud risk assessment). Introducendo corsi specialistici negli indirizzi universitari economico-giuridici e nei corsi post-laurea.
E successivamente, una volta formati i professionisti, introdurre i modelli organizzativi da sviluppare e gestire con un approccio del tutto diverso da quello tipico dell'internal auditing.
Il modello 231 in questo caso sarebbe stato uno strumento formidabile nella mani di fraud auditor esperti e non un'occasione mancata.

Ma le cose, rispetto alle aspettative originarie, con tutta evidenza, sono andate diversamente.



sabato 9 novembre 2013

Frodi aziendali: la responsabilità del management

Il principale soggetto chiamato a compiere in modo efficace e responsabile l’attività di prevenzione e contrasto alle frodi aziendali, è lo stesso management.

Questo è tenuto ad una vigilanza costante, utilizzando gli strumenti previsti dalla legislazione (modello organizzativo ex d.lgs 231/01), le strutture organizzative interne (internal auditing, fraud auditing, eccetera), le procedure, i sistemi informativi e le tecniche di monitoring e supervising più avanzate in base alla dimensione e all'organizzazione aziendale.




Prevenire significa ridurre le occasioni e le opportunità di organizzare uno schema fraudolento ovvero strutturare codici di deterrenza in grado di dissuadere eventuali intenzioni illecite. In altre parole, utilizzando la tecnica e favorendo l'etica.

Infatti il rischio di frode si riduce sensibilmente se il vertice aziendale è in grado di creare e mantenere una cultura aziendale ispirata ai valori di onestà, lealtà e giustizia, assumendo loro stessi un comportamento esemplare ed integerrimo.

La vera sfida di un management “illuminato” è quella di ottenere un ambiente di lavoro positivo, nel quale vige una serena collaborazione e un rispetto autentico tra tutti i lavoratori nel raggiungere gli obiettivi aziendali.

Se la squadra è affiatata, gli obiettivi sono identificati con precisione e le regole sono chiare ed eque, la gran parte del problema è risolto!

E' necessario attribuire obiettivi ragionevoli e incentivi basati sulla meritocrazia, nonché stimolare il personale a segnalare i casi di frode prima che divengano rilevanti e difficilmente gestibili.

E' pertanto certamente rilevante il ruolo degli organismi di governance che hanno la responsabilità di condurre in modo sapiente la supervisione delle varie attività aziendali, effettuando, ad esempio, periodici controlli interni o sessioni di councelling con il personale, ovvero istituendo procedure di segnalazione dei fenomeni anomali (grazie alle whistleblowing policies).

Strumento principe nelle mani delle strutture di governance per poter esercitare la propria funzione è il cosiddetto “ambiente di controllo”, costituito da chiare direttive e procedure aziendali che permettano di svolgere le attività in modo ordinato ed efficiente.


martedì 22 gennaio 2013

Normativa Antiriciclaggio e Responsabilità da Reato delle Società

Sulla "mensola del fraud auditor" è possibile trovare una vasta varietà di testi su tematiche molto diverse tra loro. 
E' la logica dell'aggiornamento multidisciplinare che ci impone questa necessità.

Però ci sono argomenti più importanti di altri che meritano una collocazione di rilievo sulla nostra mensola ideale.
Ne sono un esempio le tematiche relative al Modello organizzativo previsto dal d.lgs. 231/01.

Infatti quanti di noi non si sono mai trovati ad analizzare un Modello 231? Quante volte ci è capitato di doverlo strutturare, sviluppare o migliorare all'interno delle aziende? Oppure di doverlo esaminare e giudicare in qualità di consulenti tecnici dell'Autorità Giudiziaria?

Si tratta di un argomento complesso, non solo dal punto di vista concettuale o interpretativo, bensì anche perché il sistema di responsabilità da reato degli enti collettivi ha visto nel tempo un costante ampliamento del suo ambito di operatività.

Se agli albori dell'esperienza italiana di questi Modelli si volevano combattere i reati contro la Pubblica Amministrazione (l'Italia era ancora lacerata dagli scandali emersi in seguito alle inchieste del pool "mani pulite") successivamente si è utilizzato questo strumento estendendolo ai reati societari, ai delitti terroristici, a quelli contro la personalità individuale, agli abusi di mercato, ai reati di omicidio e lesioni colpose commessi in violazione della normativa antinfortunistica, al riciclaggio di denaro di provenienza illecita, ai reati informatici.

E qui emerge tutta la complessità di un argomento avente natura multidisciplinare (legale, economico-finanziaria, informatica, ingegneristica, socio-sanitaria eccetera) e la conseguente difficoltà di "coprire" i rischi legati a tutta la gamma dei reati e delle fattispecie fraudolente. 
Sino alle problematiche legate alla gestione aziendale del Modello organizzativo, alle sue frequenti integrazioni e agli aggiornamenti periodici.

Un buon Modello 231 è elemento essenziale per un'azienda che mira ad uscire indenne dal procedimento penale o, quantomeno, di subire sanzioni meno gravose.
Ma per raggiungere tale scopo è necessario dimostrare l'effettiva attuazione delle procedure e delle misure organizzative, di gestione, di controllo e sanzionatorie idonee a prevenire gli illeciti rilevanti per il settore di attività di riferimento.
Ed è in questa ottica, pur ribadendo che i modelli organizzativi non sono stati resi obbligatori dal legislatore, che essi rappresentano, di fatto, l’unica possibilità di difesa di cui dispone l'impresa che venga sottoposta ad indagini o imputata per taluno dei reati previsti dal decreto legislativo.

In buona sostanza, pertanto, un buon Modello 231 mira ad evitare perdite patrimoniali.

Questo è uno dei concetti fondamentali che gli autori del testo "Normativa Antiriciclaggio e Responsabilità da Reato delle Società" hanno voluto enfatizzare nel loro lavoro.
Sto parlando di due professionisti stimati ed autorevoli, docenti e studiosi di primissimo piano quali sono l'Avv. Maurizio Arena e il Prof. Avv. Ranieri Razzante.




I due autori richiamano con chiarezza e competenza gli elementi caratterizzanti di una buona gestione del Modello 231 evidenziando, ad esempio, come la responsabilità della sua adozione e attuazione risieda nell'organo dirigente. 
E' infatti il management ad essere chiamato a rispondere dagli azionisti nell'ipotesi in cui, per mancanza o negligenza nell'attuazione del Modello, la società fosse coinvolta in sede penale.

Mentre il protagonista del sistema di prevenzione degli illeciti voluto dal legislatore è l’Organismo di Vigilanza. 
Si tratta di un organo inedito, che sin da subito è stato al centro del dibattito in sede giurisprudenziale e dottrinale.

Ma con questa seconda edizione del libro, gli autori, oltre ad una approfondita revisione di tutti gli argomenti, introducono un aggiornamento fondamentale riguardante i delitti di ricettazione e riciclaggio.

Ed allora gli autori entrano nel merito degli ultimi pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione nonché delle sentenze del "Procedimento Impregilo" di primo e di secondo grado, che hanno sancito, per la prima volta dall'entrata in vigore del d.lgs. 231/01, l’esclusione della responsabilità in favore dell’ente che ha adottato un idoneo Modello organizzativo.

Ma la trattazione non si ferma certo qui.

Infatti il testo si completa con i tre provvedimenti sui controlli interni ai fini del contrasto al reato di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo emanati da Banca d’Italia, Consob e Isvap, nonché degli undici schemi di comportamento anomalo definiti dalla corrispondente struttura italiana della Financial Intelligence Unit, cioè dall'Unità di Informazione Finanziaria (o UIF).






martedì 15 novembre 2011

I cinque tipici “errori” dei Modelli 231, dieci anni dopo

A qualche anno di distanza dall'entra in vigore del D.Lgs 231/2001, l’esperienza accumulata da società e professionisti come pure le prime importanti sentenze e interpretazioni giurisprudenziali sull'argomento consentono di fare il punto su quelli che possono definirsi i più tipici “errori” di impostazione e redazione dei Modelli di gestione, organizzazione e controllo previsti dalla normativa.
Come è noto, tra gli elementi che la normativa prevede essere fondamentali ai fini dell’esenzione della responsabilità amministrativa di un ente si annovera il requisito della efficace adozione di “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” (art. 6, co.1. lett. a). Al proposito è unanimemente accettato che il termine “modelli” si riferisca ai sistemi di controllo interno che, in quanto tali, devono essere conformi al framework rappresentato dagli standard emanati dal C.o.S.O., Committe of Sponsoring Organizations, nel 1992 (Internal Control Integrated Framework) e nel 2004 (Enterprise Risk Management Framework). Tali standard sono dunque una pietra angolare per tutti i professionisti che si occupano di tale tema, ivi compresi revisori, internal auditor, compliance officer, preposti al controllo interno, dirigenti ai sensi della legge 262/2005 ecc.
In ossequio a quanto stabilito da tali framework, l’impostazione di un sistema di controllo interno si fonda su diverse componenti quali la definizione degli obiettivi di controllo, la valutazione dei rischi di errore/frode, la definizione di apposite contromisure rispetto ai rischi maggiormente significativi ed il monitoraggio della efficace attuazione e funzionamento delle contromisure adottate (a loro volta fondate su specifiche componenti in termini di “ambiente di controllo” e di “attività di controllo”).
Chi si occupa di tali sistemi sa bene che i controlli devono tradursi, nella pratica, in procedure operative applicate ai diversi processi aziendali come pure in adeguati meccanismi di reporting degli errori/anomalie riscontrate. In tale ottica l’attuazione dei controlli interni richiede l’adeguato bilanciamento tra la dimensione informativa, ovvero l’utilizzo di informazioni e sistemi informativi per raccogliere, elaborare e controllare le attività svolte, e quella organizzativa, ovvero la definizione di opportune regole di suddivisione dei compiti e dei correlati meccanismi (tra i quali il sistema premiante/sanzionatorio, il presidio delle competenze del personale ecc.).
Tale premessa consente di avviare la disamina degli “errori” tipici riscontrabili in tale ambito.

1. Predisporre un modello 231 senza alcun corredo di procedure di controllo interno riferite ai singoli processi aziendali (elemento rientrante in quello che, nella pratica, si suole denominare “Parte Speciale” del modello) costituisce un assurdo logico. Solo la disamina delle procedure redatte ed attuate con riferimento agli obiettivi di prevenzione dei reati 231 consente di apprezzare il significato delle logiche di impostazione del sistema di controllo che sono tipicamente contenute nella c.d. Parte Generale; è infatti proprio in tale ottica che la normativa menziona i c.d. “specifici protocolli” all’art. 6, comma 2, lett. b). L’inesistenza di procedure operative redatte con specifico ed esplicito riferimento alla prevenzione dei reati 231 (e non riferiti ad altri obiettivi aziendali) costituisce una lacuna insanabile.

2. I modelli fanno spesso riferimento ad una valutazione dei rischi di compimento dei reati, in ossequio a quanto previsto dalla normativa all’art. 6, comma 2, lett. a). Nella pratica le “attività nel cui ambito possono essere commessi reati” sono definite “attività sensibili”. Trattasi di una attività di risk assessment e, nonostante gli apprezzabili sforzi di alcune Linee Guida emanate da Associazioni di Categoria, il riferimento metodologico per l’individuazione dei rischi non può che essere costituito dal framework Enterprise Risk Management sopra menzionato.
Il documento stabilisce che la valutazione dei rischi implica l’esplicita identificazione degli eventi negativi (nel caso di specie, i possibili comportamenti attuativi del reato) nonché la valutazione di probabilità e impatto a questi ascrivibile. Nella individuazione dei comportamenti attuativi del reato un riferimento metodologico imprescindibile è costituito dai c.d. fraud schemes, ben noti agli esperti di fraud auditing, che esplicitano le tipiche modalità attuative dei comportamenti fraudolenti. E’ proprio con riferimento a tali elementi che si deve valutare chiaramente l’eventualità che siano posti in essere azioni illecite.
La valutazione dei rischi in termini di probabilità e impatto pone problemi di ordine non solo metodologico ma anche “strategico” che devono trovare adeguata riposta da parte dei vertici aziendali: ma qual è il livello di tolleranza ammesso dalla direzione aziendale con riferimento a possibili comportamenti illeciti?
E’ di tutta evidenza che una attività di risk assessment svolta senza definire i livelli di tolleranza (le cd. risk tolerance) associati alle diverse fattispecie di illecito sia priva di significato sotto il profilo metodologico e, a nostro avviso, insostenibile ai fini della esenzione della responsabilità.
Al proposito risultano essenziali quegli indicatori (KPI, Key Performance Indicator e KRI,Key Risk Indicator) elaborati allo specifico scopo di garantire una elevata efficacia segnaletica dei c.d. red flag, cioè di quelle anomalie che possono rivelare la presenza di una eventuale frode; in questa prospettiva, i menzionati indicatori devono essere il più possibile “vicini” ai processi aziendali, essere raccolti e monitorati con tempestività ed essere agevolmente comprensibili, in modo che il loro valore segnaletico non si presti a errori interpretativi generati da eccessiva discrezionalità; ad evidenza, la progettazione di tali indicatori richiede la profonda comprensione di come determinati fraud scheme possano trovare applicazione in uno specifico processo aziendale, così da definire criteri di controllo, monitoraggio e analisi sufficientemente articolati. Oltre a ciò è anche imprescindibile che siano ben chiarite le soglie di tolleranza oltre le quali gli indicatori in esame forniscono indicazione della presenza di situazioni preoccupanti.
Ad oggi sono davvero ben pochi i modelli che entrano nel merito dei menzionati aspetti, anche nell'ambito della c.d. Parte Generale.

3. L’ottica di prevenzione degli illeciti prescritta dalla normativa comporta la necessità di spostare il baricentro dei controlli interni su quei sistemi che, strutturalmente, sono applicati ex ante e risultano anche difficilmente “aggirabili”. Ne deriva che i controlli successivi (cd. detective controls) devono essere giudicati consoni solo se possiedono caratteri di elevata efficacia segnaletica e tempestività.
Il massivo utilizzo di controlli automatizzati (automated controls), che tipicamente possiedono tassi di eccezione molto bassi (se non nulli), consente di garantire elevati standard di adeguatezza nel funzionamento dei modelli mentre i controlli svolti dal management e dal personale aziendale (manual controls) devono essere "centellinati" e ridotti al minimo, confinandoli là dove non esistano alternative di possibile automazione.
Analogamente occorre valorizzare i controlli sulle transazioni in quanto queste possono essere presidiate tramite meccanismi di autorizzazione e controllo delegabili ai sistemi informatici; ciò impone la necessità di definire meccanismi di autorizzazione preventiva e regole di controllo degli attributi informativi delle transazioni assai stringenti, in modo da “blindare” l’operatività aziendale entro parametri giudicati accettabili e consentire, successivamente, l’immediata segnalazione di operazioni anomale. Risulta anche imprescindibile applicare strumenti atti a garantire elevati livelli di tracciabilità delle operazioni, mediante sistemi di documentazione delle attività che siano il più possibile delegati ai sistemi informatici difficilmente manipolabili.
Quanto sopra deve trovare opportuna declinazione proprio nella “Parte Speciale” dei modelli 231, ovvero nell'ambito delle procedure operative predisposte in relazione ai singoli processi aziendali.

4. Tutti i modelli enunciano l’importanza del principio della separazione dei compiti. La componente di “segregation of duties” non deve tuttavia trascurare il fenomeno della collusione tra più soggetti, fermo restando che le procedure dovrebbero essere sempre “a tenuta di frode” perpetrata dal singolo manager o dipendente; atti illeciti che trovano fondamento su comportamenti collusivi dovrebbero dunque essere ridotti drasticamente da adeguati controlli interni, almeno in quelle aree di attività aziendale dove il fenomeno potrebbe produrre un impatto rilevante, se non catastrofico. La collusione non può essere valutata, aprioristicamente, un fattore idoneo a dimostrare l’elusione fraudolenta del modello e, conseguentemente, favorire, per sé, l’esenzione da responsabilità dell’ente.
I modelli devono quindi affrontare il tema di quale sia il livello di rigore richiesto all'applicazione del principio di separazione dei compiti, da un lato, e di quale siano le fattispecie collusive che i controlli interni presidiano, dall'altro.

5. Tra i vari meccanismi organizzativi previsti dalla componente "ambiente di controllo" merita attenzione specifica il sistema premiante, fondato su incentivi e sanzioni che operano, rispettivamente, nel caso di comportamenti virtuosi e devianti; molto si è scritto e detto in merito alle distorsioni che il sistema degli incentivi può provocare in termini di aumento della propensione a comportamenti fraudolenti; in termini generali, un peso significativo attribuito alla retribuzione variabile rispetto a quella fissa aumenta il rischio di frode, con la conseguente necessità di apportare notevoli rafforzamenti dei controlli proprio in quelle aree di business ed in quei processi aziendali ove le retribuzioni variabili costituiscono un elemento assai appetibile per il management/personale. Con ciò non si esclude a priori l’utilità strategica dei sistemi di retribuzione variabile, ma è quanto mai opportuno potenziare i sistemi di controllo preventivo a presidio di quelle aree ove operano manager e dipendenti che ne beneficiano. Sorprendentemente poco si è scritto e fatto - ed, ancor peggio, si ritrova nei modelli 231 - in relazione a due elementi fondamentali.
Il primo riguarda la previsione di sistemi di incentivo correlati agli esiti delle attività di controllo: se gli obiettivi di controllo anti frode o, in generale, di compliance, sono giudicati importanti dalla direzione e dagli azionisti, ad essi dovrebbero essere collegati sistemi premianti. I modelli 231 prevedono quanto sopra?
Il secondo elemento si richiama alla "dark side" dei sistemi premianti, ovvero ai sistemi sanzionatori, che esercitano un ruolo di deterrenza in tutti gli ambiti il cui il controllo ha una prospettiva di compliance e anti frode ovvero ove si intenda rafforzare l'attitudine alla legalità.

Anche il D.Lgs. 231 afferma la rilevanza del "sistema disciplinare" (art. 6, comma 2, lett. e), e poco si occupa – ben comprensibilmente - del sistema premiante. E’ ben noto che la progettazione di meccanismi sanzionatori risulti particolarmente complessa e delicata richiedendo opportuno coordinamento con la normativa giuslavorista, ma a tale aspetto occorre dedicare particolare enfasi allo scopo di esplicitare i profili di responsabilità penale e civile in ottica anti frode.
I modelli 231 devono essere chiari sui temi sopra menzionati, anche in virtù della loro pericolosità nella generazione di comportamenti illeciti.
In conclusione, si osserva che i modelli in argomento costituiscono un corredo all'esistenza, ed efficace attuazione, di procedure 231 applicate ai singoli processi aziendali. Questi, però, aggiungono valore alle procedure esistenti solo qualora rappresentano un documento di sintesi dell’approccio aziendale al controllo interno ai fini della citata Legge; in termini più espliciti il modello risulta efficace solo se affronta con chiarezza i cinque snodi metodologici menzionati, oltre ad altri aspetti previsti dalla normativa, quali il sistema di formazione e comunicazione, l’Organismo di Vigilanza ecc.
Si auspica che, a dieci anni dall'entrata in vigore della normativa, enti e professionisti coinvolti operino in queste direzione consentendo così la “reale” attuazione delle finalità previste dalla Legge.