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domenica 3 aprile 2016

Fraud interviewing techniques: la "tecnica peace"

In Italia le tecniche di interrogatorio trovano un limite giuridico nell'art. 188 del Codice di Procedura Penale, che dispone la non utilizzabilità, "neppure con il consenso della persona interessata, [di] metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti".

In passato abbiamo già affrontato l'argomento con un articolo dedicato alla "tecnica dell'imbuto", ma la materia è in costante evoluzione grazie ai contributi e agli studi multidisciplinari nei campi giuridici, criminologici, sociologici e della cosiddetta "psicologia investigativa" e/o cognitiva.


Naturalmente le tecniche d'interrogatorio introducono aspetti metodologici e procedurali diversi, in relazione alle finalità e al contesto che si sta perseguendo. In altre parole, le tecniche utilizzate dalle Polizie Giudiziarie saranno molto diverse da quelle adottate nell'ambito delle attività di forensic accounting e delle procedure preventive anti-frode (fraud auditing) nei contesti aziendali.
Così come le metodologie sono differenti a seconda della legislazione vigente.

Per tali motivi si stanno sviluppando studi dedicati esclusivamente alle investigazioni aziendali (le cd. "fraud interviewing techniques") in cui i termini e gli approcci sono pensati per essere utilizzati al fine di tutelare interessi e patrimoni aziendali.
Pertanto, in alternativa al termine "interrogatorio" è utilizzato il termine "intervista" e le procedure di assunzione delle informazioni sono mirate a garantirne una qualche utilizzabilità in sede legale.

In particolare, fra le tante tecniche utilizzate dai forensic accountant se ne può certamente menzionare una sviluppata in Inghilterra, la cosiddetta "intervista cognitiva", altrimenti conosciuta dagli addetti ai lavori come "tecnica PEACE".

Tale metodologia prevede che l'intervistatore utilizzi una sequenza di attività che devono necessariamente essere svolte in successione e nell'ordine previsto, che sono sintetizzate con l'acronimo "PEACE".
Vediamole in sintesi.

P-preparation - l'investigatore dovrà studiare il fascicolo d'indagine, i profili di rischio della sua attività e i soggetti oggetto di verifica. Dovrà analizzare il contesto aziendale in cui dovrà operare: la struttura, l'organizzazione, la dimensione, il mercato, i competitor, le procedure interne, l'ambiente di lavoro eccetera. Dovrà definire gli obiettivi della sua attività e scegliere le metodologie tecniche e i protocolli d'indagine da seguire.

E-engagé, explain - è la fase introduttiva (o d'ingaggio) del rapporto tra intervistatore e intervistato, del quale è necessario aver preventivamente raccolto tutte le informazioni disponibili (personali, aziendali, sociali).

A-account
- è la fase di acquisizione e organizzazione delle informazioni. Solitamente l'investigatore segue un protocollo di intervista adottando altre tecniche sviluppate per questa specifica fase, una delle quali è proprio la "tecnica ad imbuto". La scelta della tecnica di intervista è fatta sulla base delle informazioni acquisite in precedenza, dell'obiettivo dell'intervista e del profilo psicologico dell'intervistato.

C-close - in questa fase sono definiti e ricapitolati gli argomenti trattati. Le tecniche di chiusura dell'intervista possono prevedere una verbalizzazione, un semplice rinvio ad altra data, una produzione di evidenze documentali da parte dell'intervistato eccetera.

E-evaluate - è il momento delle valutazioni delle informazioni e dei dati raccolti. Può essere base per una nuova fase P-preparation, per successive e ulteriori interviste.

Ma la procedura, in quanto "cognitiva", dovrà dapprima essere finalizzata a ricreare il contesto storico/ambientale entro il quale l'evento fraudolento si è determinato (ad esempio, si dovranno ricostruire gli avvenimenti/motivazioni che hanno portato a falsificare il dato del fatturato oppure alla sottrazione di liquidità dalle casse aziendali), per poi chiedere al soggetto di riferire a riguardo.
Ogni ricordo e particolare che emergerà dall'intervista dovrà essere considerato come elemento di progresso nell'indagine.

In seguito si dovranno applicare le "tecniche di controllo" per certificare se quanto riferito è frutto di fantasia/immaginazione, di menzogna o di realtà.
Pertanto si chiederà di ricostruire il medesimo evento ma in ordine diverso da quello cronologico ovvero mutando la prospettiva della scena oppure ancora come se il fatto fosse visto da un'altra persona. Anche in questo caso sono moltissime le tecniche di controllo per verificare la bontà delle informazioni raccolte.

In generale, infine, valgono le regole di ogni buona intervista investigativa:
  1. acquisire le informazioni in modo formalmente ineccepibile;
  2. garantire la loro piena utilizzabilità in fase processuale/legale;
  3. puntuale rispetto delle norme giuridiche che riguardano le modalità di assunzione delle informazioni.



martedì 6 ottobre 2015

Frode aziendale. L'approccio italiano al problema

Capita sempre più spesso di dover affrontare un caso di frode commessa da un dipendente infedele.
Ma come è affrontato il problema in Italia?

Secondo recenti ricerche che saranno pubblicate tra breve, la gestione di un caso di frode in azienda ha natura "emergenziale", perché basata maggiormente sulla repressione piuttosto che sulla prevenzione e sulla deterrenza.

Ciò è dovuto principalmente alla carenza di strutture aziendali professionalmente preparate ad affrontare e gestire un caso di frode occupazionale.
Generalmente, infatti, sono sviluppate e ben organizzate le funzioni di internal audit e di governance ma non altrettanto le funzioni di fraud auditing interno, appositamente strutturate per scoprire, investigare e dimostrare le irregolarità aziendali.


Tali strutture di fraud audit, nei casi osservati, dipendono funzionalmente dal responsabile "security" ovvero dal responsabile internal audit e molto spesso non godono dell'autonomia e dell'indipendenza necessaria a garantire il buon esito dei propri accertamenti.

Si consideri che la frode in Italia è scoperta per lo più casualmente e che la reazione dell'azienda non sempre ha un approccio scientifico e finalizzato a recuperare le somme sottratte.

Anzi, la ricerca traccia un quadro piuttosto desolante in cui la frode:
- è gestita in emergenza;
- con strutture ed informazioni inadeguate;
- da personale non avente gli skills e le competenze specifiche;
- in un clima di scarsa collaborazione tra le diverse funzioni aziendali;
- nell'impossibilità di apportare concreti miglioramenti ai modelli di prevenzione (se esistenti).

In molti casi gli investimenti in sicurezza e prevenzione sono visti come poco utili al business e/o al conto economico e se non ci sono risorse proporzionali alle dimensioni e all'organizzazione aziendale, i pochi sforzi profusi nel contrasto ai fenomeni fraudolenti rischiano di essere inefficaci se non addirittura dannosi.


domenica 2 agosto 2015

Colletti sporchi e l'esigenza di nuovi modelli teorici

di Stefano Martinazzo*


Ho da sempre considerato di notevole interesse l'approfondimento delle vicende legate ai grandi scandali economico-finanziari accaduti negli ultimi decenni, soprattutto per comprenderne le dinamiche scatenanti. 

Per la professione che svolgo è infatti assai utile analizzare le caratteristiche umane e morali di quei potentissimi manager che con il loro comportamento illecito hanno determinato un grave dissesto, se non il fallimento della loro azienda. 
Le cronache recenti, tanto compiutamente rappresentate sui giornali e nei programmi televisivi, non hanno omesso di delineare con efficacia e assoluta competenza, il profilo psicologico del criminale di turno, mostrandone con particolare enfasi i lati oscuri della personalità. 

Grazie a questi resoconti è emerso che i responsabili delle frodi economico-finanziarie di vaste dimensioni erano usi a vivere da onnipotenti in una sorta di lucente realtà parallela, nella quale erano fatti oggetto di adulazione da parte di eserciti di cortigiani pronti a servirli in tutti i modi. 

Molti di loro sono stati descritti come arroganti e intransigenti o come opportunisti che hanno saputo coltivare esclusivamente il proprio tornaconto, con l'obiettivo di rafforzare allo stesso tempo, la propria gloria e la propria influenza sull'economia, la finanza e la politica. Tutto questo a danno di realtà aziendali un tempo floride e competitive. 
Si tratta di personaggi che la storia ha dimostrato essere ugualmente opachi e geniali, capaci di attuare con freddezza i più raffinati piani criminali muovendosi con naturalezza e disinvoltura nei salotti buoni della finanza. La posizione di privilegio e potere ha, di fatto, garantito loro una qualche protezione dagli "infortuni" giudiziari, ciò comportando un ulteriore deterioramento della fiducia dei cittadini verso le Istituzioni. Sin qui la cronaca di ieri e di oggi. 

Le considerazioni e gli insegnamenti derivanti da queste vicende sono varie, ma una su tutte, a parer mio, è evidente: le sorti dell'economia e quindi del benessere collettivo, sono state per troppi anni lasciate nelle mani di questi top manager, abituati ad affrontare le decisioni strategiche con lo sguardo concentrato più sui propri fringe benefit piuttosto che sulle esigenze di una giustizia sociale. Il lusso, la ricchezza e l'opulenza smisurata vissuta da questi soggetti ha contribuito in modo decisivo ad indebolirli dal punto di vista morale. 

Ed è proprio questo il punto! 

Si tratta di un circolo vizioso che si alimenta attraverso la necessità continua di progredire nel potere e nella ricchezza anche, o soprattutto, facendo ricorso a pratiche disoneste. Una vera sfida intellettuale per gli studiosi che ricercano modelli teorici in grado di decifrare tali comportamenti. 

Per questo motivo, a mio avviso, le teorie più tradizionali sulle frodi aziendali non sono più idonee a comprendere i fenomeni legati al crimine economico. Basti solo pensare che gli studi teorici ancora oggi più citati in letteratura poggiano i loro assiomi sulle osservazioni statistiche condotte a partire dagli anni ’40 del secolo scorso. 
A tal proposito si usano ricordare gli studi empirici sul “white collar crime” condotti da Donald R. Cressey, le cui risultanze sono state pubblicate nel 1973 nel volume “Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement”. 

L'approccio scientifico adottato da questi studi si basa soprattutto sulle analisi relative alle condizioni iniziali capaci di trasformare un soggetto onesto in un frodatore seriale. In buona sostanza la frode si realizza, secondo Cressey, quando l’impianto etico del soggetto non è più in grado di inibire le pressioni indotte dalla continua ricerca di appagamento dei bisogni. Conseguentemente, appena individuata un’opportunità, tale soggetto non esiterà a commettere la frode. 

E’ quindi da attribuire ad un fatto esterno all’individuo la causa primaria che determina il conseguente cedimento morale che porta a frodare. In altre parole la ragione del comportamento illecito non è determinata tanto dalla libera iniziativa del soggetto, quanto, al contrario, da una induzione esterna determinata dall’insieme delle condizioni ambientali e sociali. L’archetipo pensato da Cressey è il tipico frodatore degli anni ‘50/’60 del 1900, un individuo piuttosto ingenuo, che agisce da solo, attuando la truffa in maniera quasi improvvisata, mediante l’utilizzo di schemi elementari e ripetitivi.

Si tratta di un soggetto con mansioni che implicano medie responsabilità, considerato affidabile agli occhi dei colleghi. E’ un buon cittadino solitamente abituato a rispettare le Istituzioni ma che si trova, in seguito alle circostanze avverse della vita, a soccombere al desiderio di risolvere le necessità economiche di tutti i giorni attraverso il comportamento illecito. 

Caratteristiche, queste, palesemente differenti da quelle proprie del frodatore moderno. 

Oggigiorno, infatti, sono i più blasonati colletti bianchi ad essere sporchi, non per necessità o per debolezza, ma per lucida e del tutto volontaria ricerca di potere! 

Solo negli ultimi anni e solo in seguito ai colossali scandali economico-finanziario, sono stati condotti studi teorici finalizzati ad aggiornare i modelli di Cressey. 
 Si pensi ad esempio alla “Fraud Scale Theory” introdotta da Steve Albrecht, Keith Howe e Marshall Romney nel testo “Deterring Fraud: The Internal Auditor’s Perspective” pubblicato dall’Istitute of Internal Auditors Research Foundation nel 1984 o alla “Fraud Diamond Theory” presentata da David T. Wolfe e da Dana R. Hermanson nel 2004 sul “The CPA Journal” oppure alle recentissime ricerche condotte dal professor Jason Thomas della West Virginia University il cui esito ha originato il “The MICE Model” (dove “MICE” è acronimo di: Money, Ideology, Coercion e Ego/Entitlement) illustrato nel volume di Mary-Jo Kranacher, Richard A. Riley Jr. e Joseph T. Wells, “Forensic Accounting and Fraud Examination”. 

Ricerche senza dubbio importanti e di frontiera, ma che non esauriscono certamente l’esigenza del Sapere in questo settore. 
A mio avviso infatti, sull'argomento ci sono ancora ampi e formidabili margini di ricerca scientifica, in vari ambiti multidisciplinari quali quello antropologico, sociologico, criminologico, economico-finanziario e giuridico; anche in considerazione del fatto che le pratiche fraudolente si raffinano giorno dopo giorno, mutando continuamente di forma e modalità di esecuzione. 

Inoltre gli schemi di frode saranno facilitati nel futuro dalle tecnologie, e questo rappresenta un terreno lasciato pericolosamente inesplorato. 
Per tutti questi motivi è fondamentale investire risorse adeguate nella ricerca scientifica. La ricerca consentirebbe, senza dubbio, una più incisiva azione di contrasto agli illeciti aziendali, mirata ad intercettare ed interrompere sul nascere eventi riconosciuti come potenzialmente idonei a scatenare il comportamento illecito ovvero ad identificare con rapidità i primi sintomi di una frode già in essere.

*Forensic accountant, Dottore commercialista, Revisore legale dei conti.
anche su Legalcommunity.it


venerdì 26 giugno 2015

La Legge di Benford nella lotta alle frodi contabili

"Il tempo stringeva. Si lavorava giorno e notte per far quadrare i conti. 
Ma nulla. Ogni soluzione portava al medesimo risultato: una perdita tale da azzerare l'intero capitale sociale. Anzi da rendere addirittura negativo il patrimonio aziendale di parecchi milioni di euro.
La data di approvazione del bilancio si stava avvicinando.
Solo 3 giorni per trovare una soluzione!
Una via di uscita che doveva andare oltre gli espedienti convenzionali basati sul ricorso alle "ordinarie" cosmesi di bilancio. Una soluzione che non poteva riguardare la sola maggiorazione fittizia delle poste valutative. Troppo facile ed anche inutile.



La situazione era davvero catastrofica.
Insomma bisognava tentare un'opzione straordinaria!

Così, nottetempo, il capo contabile fece quel passo che sapeva essere senza ritorno. 
Da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato ...nel caso fosse stato scoperto.
Inserì le credenziali di amministratore per accedere al sistema contabile ed iniziò a modificare gli importi in modo tale da far tornate l'equilibrio di bilancio. 
Lavorò ininterrottamente per 5 ore...".

Quando nel 1881 un astronomo di nome Simon Newcombe pubblicò sull'American Journal of Mathematics il risultato di uno studio basato sulle tavole logaritmiche, ancora nessuno poteva immaginare che quel metodo logico-matematico poteva essere applicato nell'individuazione delle frodi contabili.
La sua scoperta, tuttavia, fu dimenticata sino a quando un'altro fisico e ingegnere statunitense di nome Frank Benford pubblicò nel marzo 1938 un articolo dal titolo "La legge dei numeri anomali" che traeva origine dagli studi fatti da Newcombe.

(a sinistra Simon Newcombe e a destra Frank Benford)

Nacque così la famosa, almeno per noi forensic accountant, "Legge di Benford".

Benford, in buona sostanza, dimostrò che la distribuzione delle prime cifre di un gruppo di numeri non è casuale ma segue un andamento basato sulle probabilità. 
In altre parole, se si calcolassero le frequenze di un insieme di numeri si arriverebbe ad affermare che i numeri con "1" come prima cifra dovrebbero essere circa il 30% della serie numerica, mentre i numeri con il "9" come prima cifra apparirebbero solo nel 4,5% dei casi.

Insomma una legge piuttosto curiosa ma ancora non applicabile all'individuazione delle manipolazioni contabili. Bisognava fare un'ulteriore passo avanti.

Fu grazie agli studi di un terzo fisico, matematico e ingegnere, il sudafricano Mark J. Nigrini, se la Legge di Benford fu applicata nella metodologia della forensic accounting.
Nel 1992 per la prima volta fu sperimentata su casi reali di frode aziendale, con successo!

(Mark J. Nigrini)

Grazie agli studi di Nigrini, la Legge di Benford oggi è applicata sempre più spesso per fare emergere anomalie riconducibili a possibili manipolazioni massive delle scritture contabili o, in generale, di ogni altro insieme numerico di natura economico-finanziaria.
A tal proposito sono fondamentali i seguenti scritti di Nigrini:
  • Forensic Analytics: Methods and Techniques for Forensic Accounting Investigations. Hoboken. John Wiley & Sons Inc. (June 2011) 
  • Benford's Law: Applications for Forensic Accounting, Auditing, and Fraud Detection. John Wiley & Sons Inc. (2012); 
  • Lessons from an $8 million fraud. Journal of Accountancy (August 2014). 
Di tutto questo il famoso capo contabile, protagonista delle righe iniziali, forse anche un po' profano di logiche matematiche, non ha tenuto conto. 
Infatti, se si fosse applicata la Legge di Benford agli importi manipolati dal contabile, sarebbero emerse anomalie e incongruenze statistiche tali da attirare l'attenzione degli apparati di controllo aziendali, con la conseguente individuazione della frode.




sabato 20 giugno 2015

Dove Osama Bin Laden ha fallito, i colletti bianchi hanno trionfato

Recenti studi hanno dimostrato che l’attuale crisi economica ha avuto origine da una frode aziendale di enorme portata: il crack della Lehman Brothers.
La truffa che ha destabilizzato l’economia e la politica globale può essere ridotta a una semplice appropriazione indebita commessa per mano di Richard Severin Fuld, amministratore della blasonata istituzione finanziaria.
Fuld, infatti, abusando dei suoi poteri è riuscito a manipolare i bilanci della società e a trasferire illecitamente 300 miliardi di dollari verso i conti di deputati e senatori del Congresso americano e a occultare le vere retribuzioni che riservava a se stesso e che si presume ammontino a 529 milioni di dollari.

Un altro caso drammatico riguarda la Enron.
Tra le più grandi multinazionali operanti nel settore dell’energia, la Enron Corporation nel 2001 dichiarò il fallimento a seguito di una frode aziendale perpetrata da propri dirigenti di alto rango.
In particolare le indagini rivelarono che l’amministratore delegato, Jeff Skilling, aveva manipolato i dati per lungo tempo mantenendo alto il livello dei redditi aziendali anche nei momenti di crisi.

Con queste premesse storiche e con la consapevolezza che le grandi frodi aziendali saranno sempre più pericolose per l'intera collettività, il primo network investigativo in Italia, Axerta Investigation Consulting, tramite il suo Osservatorio Nazionale sulle Investigazioni Aziendali, ha presentato di recente una serie di statistiche sul fenomeno.
Si tratta di una prima iniziativa di studio e di ricerca mirata allo sviluppo di nuovi servizi investigativi rivolti ai diversi settori economici, con il fine di ricercare tecniche sempre più efficaci nell'ambito della prevenzione, della deterrenza e dell'indagine interna.

In base alle ricerche di Axerta Investigation Consulting, il fenomeno degli illeciti aziendali è fortemente presente nelle organizzazioni italiane.

In particolare, il 41% degli intervistati ha dichiarato che la propria azienda è stata vittima di frode.
Le aziende più colpite dal fenomeno sono quelle operanti nell'ambito dei trasporti, logistica e spedizioni, seguono le aziende del settore automobilistico, dell’intrattenimento e dei servizi e le aziende manifatturiere, sanitarie ed afferenti il retail & consumer.

L’incidenza media annua registra dalla ricerca di Axerta è pari a 10 fenomeni fraudolenti per ogni azienda, mentre la tipologia di frode più diffusa (87%) resta l’appropriazione indebita di ricchezze aziendali. Seguono con il 73% di risposte, l’utilizzo improprio degli strumenti aziendali a pari merito con l’assenteismo e l’utilizzo improprio di permessi speciali (permessi sindacali, familiari, ex L. 104/92).

L’infedeltà di dipendenti, dirigenti, amministratori e soci è al terzo posto delle cause di frode con il 67% delle risposte (il 53% delle quali è registrata nella sola area acquisti). Seguono gli atti vandalici (47%) e le frodi informatiche (con il 13% di segnalazioni in deciso rialzo), lo spionaggio industriale (13%) e la violazione della proprietà intellettuale (13%). Chiude la concorrenza sleale con il 7% di segnalazioni.

Indispensabile si rileva la figura del Security Manager, infatti la quasi totalità delle aziende intervistate (93%) ha dichiarato di aver intercettato la frode attraverso la funzione di security aziendale interna, fisica ed IT. Segue l’internal audit (73%) che conferma l’importanza delle verifiche di routine interne. A seguire le indagini investigative esterne con il 47% e le delazioni interne (40%).

Ma come hanno reagito le aziende all'evento fraudolento?
Nel 73% dei casi si sono attuati procedimenti disciplinari e nel 67% dei casi si è proceduto con il licenziamento. Nel 60% dei casi l'azienda si è ricolta all'Autorità Giudiziaria mentre nel 40% dei casi si è avvalsa del supporto di una società investigativa esterna.



lunedì 1 giugno 2015

"Se i servizi fossero stati affidabili avrei potuto investirli …ma non mi fidavo" (di Carlo Calvi)

4^ puntata
[per la 3^ puntata cliccare QUI]


Acqua Marcia era una partecipazione di Montedison quando Eugenio Cefis ne fu presidente.
ENI, Montedison, Banca Nazionale del Lavoro e FIAT avevano creato una finanziaria, la Capitalfin a Nassau Bahamas. Leonardo Di Donna, diretto superiore di Florio Fiorini era membro del consiglio di amministrazione di Capitalfin e il Prof. Alberto Ferrari di B.N.L. ne era presidente. Di Donna testimoniò al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano il 17 luglio 1991 che FIAT ne uscì per contrasti di Agnelli con Ferrari: «l’ingresso dell’Ambrosiano nella Capitalfin faceva parte di un accordo con BNL …difficile spiegare perché il Banco si sia messo in quella situazione».

Io ho conosciuto l’avvocato di Alberto Ferrari a Nassau, presso Lennox Paton, con cui feci due visite alle isole del Caimano.

Secondo Di Donna: «fu Giorgio Mazzanti a dirmi che Licio Gelli si interessava all’affare ENI-Petromin …si voleva acquistare la stampa italiana …l’intervento della società Acqua Marcia nel giugno 1982 non era un piano di salvataggio del Banco Ambrosiano …l’ENI é riuscito a rientrare del 90% dei suoi crediti con il Banco Ambrosiano».

Di seguito la partecipazione di Acqua Marcia nel bilancio di Capitalfin International Ltd di Nassau al 31 luglio 1978 siglata da Giacomo Botta e Carlo Costa l’ 8 febbraio 1979 e bilancio della panamense Belrosa del Vaticano, creditrice di Capitalfin al 31 maggio 1979 :





Carlo Costa fu interrogato dal giudice istruttore Renato Bricchetti il 9 ottobre 1984: "entrai nel consiglio di Capitalfin nel 1978 convinto di rappresentare BAOL e non Belrosa …ai consigli venivano anche Giorgio Corsi, Leonardo Di Donna e Florio Fiorini …la Capitalfin aveva un importante investimento nell’Acqua Marcia".

Il carteggio originale del 1979 tra Carlo Costa e mio padre relativo alla partecipazione di Capitalfin in Acqua Marcia é reso disponibile cliccando su Link.

Il 19 novembre 1982 il teste, Ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta esibì al PM Luigi Fenizia il piano della direzione finanziaria dell’ENI per la presa di controllo del gruppo Banco Ambrosiano da parte di Acqua Marcia.
Gli era stato consegnato la sera del 21 giugno 1982 dal suo direttore generale dal 18 gennaio 1982 Mario Sarcinelli ed ora disponibile cliccando su Link.

Nell'audizione al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano del 14 giugno 1991 Mario Sarcinelli ha dichiarato: "il 21 giugno del 1982 ebbi la visita di Florio Fiorini preceduta da una pressante telefonata …proponeva che l’ENI costituisse un fronte dei creditori del Banco Ambrosiano …non sapevo a quale gruppo finanziario appartenesse Acqua Marcia…ero stato attirato in un tranello …chiamai al citofono il Ministro e chiesi di essere ricevuto immediatamente …di lì a qualche giorno Florio Fiorini venne esonerato …non ho ricevuto messaggi di Licio Gelli …non vi sono fatti concreti che collegano il mio arresto del 24 marzo 1979 e l’episodio".

Il Ministro del Tesoro precisò: "avevo sollecitato Calvi a procedere ad una certificazione di bilancio consolidato del gruppo …con il Governatore della Banca d’Italia interpellammo le maggiori banche su una scissione delle posizioni debitorie del Banco Ambrosiano SPA da quelle della Holding lussemburghese …dissero di ritenere pericoloso un orientamento di tal genere".

Il senatore Beniamino Andreatta testimoniò anche al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano: "il piano Fiorini con informazioni indipendenti dalle autorità portava alla continuazione della gestione del Banco … occorreva una ricapitalizzazione …gli azionisti si trovano nelle stesse situazioni che si verranno a determinare con i warrants".

Nella sua audizione il senatore Andreatta aggiunse: "…se i servizi fossero stati affidabili avrei potuto investirli …non mi fidavo". Beniamino Andreatta ha dichiarato di aver proseguito il dialogo in una serie di incontri con l’incaricato della Segreteria di Stato del Vaticano Mons. Gianfranco Piovano e un banchiere rappresentante della banca Rothschild.
Mons. Gianfranco Piovano é stato recentemente chiamato in causa dal prelato Nunzio Scarano...
[5^ e ultima puntata]




venerdì 29 maggio 2015

Il progetto di liquidità conservato alle Bahamas (di Carlo Calvi)

3^ puntata
[per la 2^ puntata cliccare QUI]


Florio Fiorini nel suo interrogatorio del 29 marzo 1985 ha dichiarato di aver proposto a Filippo Leoni, responsabile dell’estero al Banco Ambrosiano, operazioni passive con reciproche attive, prima del 1980.
I prestiti di Tradinvest a Banco Ambrosiano Andino di quell'anno erano condizionati a operazioni a favore di Hydrocarbons di Zurigo. Giacomo Botta e Carlo Costa gli avevano prospettato in precedenza dei «back to back» per far fronte a crisi di provvista.
Giacomo Botta lo ha negato al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano.

I fogli che seguono permettono di identificare la calligrafia di Giacomo Botta, direttamente sottoposto a Filippo Leoni, responsabile estero che era impedito da una fobia a viaggiare in aereo.


Giacomo Botta fu interrogato al processo sulle riunioni del comitato di credito a Lugano ma non sul suo progetto di liquidità in manoscritto originale scaricabile cliccando il link, conservato da mio padre alle Bahamas e largamente utilizzato dalla Guardia di Finanza nei rapporti ai Giudici Istruttori.

Il progetto di liquidità e la lite che seguì a Nassau tra i liquidatori del Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau (o BAOL) e i revisori contabili Coopers & Lybrand, confermano che i primi prestiti esteri dell’ENI a Banco Ambrosiano risalgono al 1978, come mostra il telex di Carlo Costa a Pierre Siegenthaler con chiave Giacomo Botta.

Anche i liquidatori di Banco Ambrosiano Holdings Lussemburgo hanno evidenziato i passaggi di molte di queste operazioni tra «Giacomo» e «Pierre».


La Guardia di Finanza andò più oltre: "espongono dal 1978 prestiti a favore di BAH da parte di due banche classificate come appartenenti al gruppo ENI …lo IOR ha trattato gli importi nel contesto dei depositi del circuito UTC".


Acqua Marcia era una partecipazione di Montedison quando Eugenio Cefis ne fu presidente. 
ENI, Montedison, Banca Nazionale del Lavoro e FIAT avevano creato una finanziaria, la Capitalfin a Nassau Bahamas...
[4^ puntata]




lunedì 25 maggio 2015

Il vero proprietario del Corriere della Sera (di Carlo Calvi)

2^ puntata
[per la 1^ puntata cliccare QUI]


Le confidenze di Salim Lakhdari, braccio destro di Alberto Cefis rappresentante del fratello Eugenio nella mia città di Montreal, mi confermarono anni dopo che l’esperienza partigiana di Eugenio Cefis aveva attratto l’attenzione di Enrico Mattei che era però al corrente del suo opportunismo.

L’indagine interna degli archivi di Vincenzo Cazzaniga presso la Esso, condotta dalla Standard Oil di cui Ian Logie, ha fatto emergere una complessa contabilità occulta costituita con l’ausilio del Prof. Alberto Ferrari della B.N.L..
Vincenzo Cazzaniga e la Esso avevano permesso a Eugenio Cefis di ottenere diritti minerari in Canada e usavano queste informazioni come mezzo di pressione sullo stesso Cefis.

Nel maggio successivo e su mia sollecitazione, la Direzione Investigativa Antimafia invitò Vincenzo Cazzaniga ad essere sentito come testimone dal Sostituto Procuratore Elisabetta Cesqui.


Cazzaniga alla PM Cesqui disse: "Gelli mi fece telefonare chiedendo di incontrarmi …al Hotel Excelsior ricordo di aver visto Giorgio Mazzanti …ero inquisito in procedimento penale a Roma ...Gelli ostentava di essere al corrente dello stato del procedimento …era venuto in possesso del mio archivio presso la Esso che non era stato sequestrato…mi mostrò copie che riconobbi …furono emessi provvedimenti restrittivi nei miei confronti dopo il trasferimento dell’istruttoria al giudice Guido Catenacci".

Cito dal verbale: "Bastogi International con sede a Nassau era braccio della Bastogi Finanziaria …Roberto Calvi consigliere di Bastogi Finanziaria voleva realizzare più stretti rapporti tra Bastogi International e Cisalpine …i contatti con Nassau erano tenuti da Ludovico del Balzo …il contatto con Roberto Calvi lo ebbi tramite Giorgio Corsi".

Giorgio Corsi, mente finanziaria della Montedison di Eugenio Cefis, era sovente ospite alla nostra casa di Drezzo.

Lo incontravo all'estero in numerose occasioni con mio padre, l’ultima a Washington con Ugo Stille. Il Banco Ambrosiano e mio padre furono alleati delle manovre finanziarie di Eugenio Cefis e Giorgio Corsi di Montedison nella prima metà degli anni settanta, parteciparono nell'acquisto del Corriere della Sera.

Eugenio Cefis, Licio Gelli ed altri dopo di loro hanno influito sulle istituzioni adeguandosi ai gruppi di potere in Italia e ai vincoli azionari e finanziari.

Dal 1974 al 1977 Cefis fu il reale proprietario di Rizzoli-Corriere della Sera.
Come ha scritto Bruno Tassan-Din: "l’intreccio ENI-Corriere era iniziato con Moratti nel 1972 …il Corriere era in situazione di decozione …l’acquisizione non poteva essere realizzata senza l’intervento di Cefis-Montedison data l’assoluta mancanza di disponibilità finanziaria della Rizzoli".

Io consegnai a Nassau a Maurizo De Luca e Franco Giustolisi del settimanale «L’Espresso», la documentazione relativa al contratto tra Rizzoli e Montedison firmata a Lugano il 6 agosto 1975, e custodita in una cassaforte di mio padre, Roberto Calvi, alle Bahamas.

Il verbale dei Giudici Istruttori, Antonio Pizzi e Renato Bricchetti, del 1983 conclude "la Signora Calvi e Carlo Calvi avevano manifestato l’intenzione di consegnare la documentazione" l’accordo include il finanziamento, lo schema di acquisizione nonchè l'intervento sulla linea editoriale.
La azioni del Corriere erano in garanzia a Montedison all'estero (per scaricare la documentazione appena citata cliccare QUI).

Riconosco nelle sue parole il Tassan Din che telefonava assiduamente a casa nostra a Milano: "irrilevanza del capitale sociale …indebitamento elevatissimo …gestione in perdita …fabbisogno per far fronte agli stipendi".

Coopers & Lybrand a Bahamas hanno documentato le operazioni di Cisalpine Overseas Bank Limited di Nassau - Bahamas, poi divenuta Banco Ambrosiano Overseas Limited (o BAOL), con Montedison Holding Company Zurigo e Montedison International Establishment Vaduz, create da Giorgio Corsi, che vennero revocate quando Eugenio Cefis lasciò Montedison.


Giorgio Corsi aveva seguito Cefis in Montedison, succeduto al posto di direttore finanziario dell’ENI da Florio Fiorini, proveniente da una esperienza a Banca Toscana .

Florio Fiorini era uomo di Flaminio Piccoli, che si ritrova nella documentazione Rizzoli appena riprodotta.

A Bahamas mio padre mi parlò della esposizione dell’ENI con le entità estere del Gruppo Ambrosiano e di ricevute di Flaminio Piccoli che conservava. Deve averle recuperate durante l’ultima visita perché non le ritrovai. Il giudice istruttore Francesco Misiani, che incontrai a Washington, assolse Flaminio Piccoli dalle accuse di associazione a delinquere e peculato.
[3^ puntata]



giovedì 21 maggio 2015

Un disegno politico perseguito da Cefis (di Carlo Calvi)

1^  puntata


"Era in corso il disegno politico perseguito da Cefis di rastrellamento della stampa quotidiana ...Suggeritore di pressoché tutti i giornali italiani …a posteriori i disegni di Gelli sembrano addirittura copiati da quelli di Cefis". Sono le parole di Bruno Tassan Din, in una memoria del 1984 depositata nel processo Rizzoli.

Tassan Din riassunse la sua esperienza all'udienza del 4 marzo 1991 al processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano "…giovanissimo sono diventato Vicedirettore Generale del Gruppo Montedison responsabile della divisione tessile delle fibre chimiche e all'entrata di Eugenio Cefis sono stato chiamato alla Rizzoli dal Presidente del Collegio Sindacale Dott. Mino Spadaccini".

Eugenio Cefis militò con dubbia fama in una formazione partigiana guidata da John McCaffery del Special Operations Executive, il servizio segreto britannico in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale.
McCaffery passò dallo spionaggio alle banche, divenendo padrino dell’intesa tra i banchieri inglesi Hambros e Michele Sindona per rastrellare azioni Bastogi.
É in quella veste che incontrai John McCaffery a Milano con mio padre.

L’accordo siglato in originale da Jocelyn Hambro nel marzo 1971, riportato qui di seguito, era conservato nelle casseforti di mio padre alla Bahamas.

(click per allargare l'immagine)

Michele Sindona e Eugenio Cefis si ritrovarono in campi avversi e mio padre nel mezzo.

Cefis attuò all'inizio del 1971 un rimaneggiamento di partecipazioni incrociate allora assai in voga.
Italpi controllata di Montedison, di cui Cefis era divenuto presidente, doveva fondersi con Bastogi. Cefis, grazie ad una alleanza con Carlo Pesenti, azionista Bastogi avrebbe controllato l’azienda risultante dalla fusione, a sua volta controllante azioni Montedison.

A sbarrare la strada si trovava Michele Sindona che lanciò un assalto a Bastogi al fine di impossessarsi delle banche di Carlo Pesenti, di cui questa azienda era azionista.

Sindona, di concerto con Hambros e al fine di attuare il suo piano di controllo di Bastogi, si assicurò all'inizio dell’estate del '71 il controllo della Centrale, presieduta da Ettore Lolli della Ras di Carlo Pesenti. Per sconfiggere le resistenze di Cefis e Pesenti, Sindona intentò due mesi più tardi una azione legale per bloccare la fusione Italpi-Bastogi.
Westdeutsche Landesbank Girozentrale per conto di Sindona, in una operazione ideata da mio padre, presentò alla Borsa di Milano una offerta pubblica di acquisto di azioni Bastogi. Il sindacato Bastogi guidato da Cefis e Pesenti chiese allora l’intervento del Governatore della Banca d’Italia Guido Carli.

Una telefonata di Guido Carli a Jocelyn Hambro fu decisiva.

In quel frenetico settembre lavoravo al 41 Bishopsgate della Hambros Bank con Raffaele Bonacossa della Banca Privata. Mario D’Urso della Kuhn Loeb, mi prestava una attenzione assidua. D’Urso propose un incontro tra mio padre e Ettore Lolli a Londra.
Fui convocato giovanissimo ai piani alti della Hambros ove Jocelyn Hambro mi aveva richiesto un breve incontro: l’OPA Bastogi era fallita.

Si riporta di seguito la rinuncia dei soci esteri di Michele Sindona alle azioni legali contro la fusione Italpi-Bastogi.


Di seguito il documento con le istruzioni della Radowal di Vaduz alla Banca del Gottardo di vincolare azioni Bastogi a favore della Cisalpine Overseas di Nassau - Bahamas, del gruppo Banco Ambrosiano:


L’avvocato Colin McFadyean, il cui biglietto da visita fu ritrovato sul cadavere di mio padre sotto il ponte Blackfriars, ha scritto a Jeffrey Katz della Kroll Associates : "Ho consultato i fascicoli su Bastogi …incorporai Bastogi UK …i nomi sono Carlo Pesenti, Raffaele Ursini, Ludovico del Balzo …in particolare Vincenzo Cazzaniga".

Era l’aprile 1993 e chiesi a Ian Logie, direttore finanziario della Esso Europe negli anni sessanta, di riassumere i rapporti tra Vincenzo Cazzaniga e Eugenio Cefis.
Logie fu membro del consiglio di Williams & Glyns, European Banking Co. e International Energy Bank.

Lo avevo incontrato con mio padre a Milano negli anni settanta e in seguito alla conferenza del Fondo Monetario Internazionale di Washington dell’autunno 1980. Il mio interesse fu sollecitato dal fatto che Ian Logie aveva condotto con Jack Bennett e Harold Cruikshank l’indagine interna sui fondi neri della Esso Italiana.
La foto lo ritrae, primo in fondo a destra, con mio padre e Carlo Cito Filomarino e Jean de Roquefeuil, Jean-Maxime Lévêque che conobbi al Credit Commercial de France.


(click per allargare l'immagine)

Ian Logie che conosceva bene l’arcivescovo Paul Marcinkus dello IOR e Florio Fiorini dell’ENI, principale creditore estero del Banco Ambrosiano, fece una dichiarazione sorprendente.
Già dalla fine degli anni settanta la Banca del Gottardo, la Ultrafin A.G. e la Arab Latin American Bank di Lima Perù, offrivano depositi di loro clienti fuori bilancio su base fiduciaria a condizione di ottenere depositi interbancari con le banche del Gruppo Ambrosiano.

Vincenzo Cazzaniga, presidente della Esso e prossimo al Cardinale Giuseppe Siri di Genova, fu grande artefice di pagamenti a partiti politici in Italia ma fu costretto dalle indagini sui fondi neri a lasciare la Esso. Cazzaniga divenne Presidente della Bastogi International grazie a l’ex Special Operations Executive britannico John McCaffery, come già detto, dirigente del gruppo partigiano a cui appartenne Eugenio Cefis.

Le confidenze di Salim Lakhdari, braccio destro di Alberto Cefis rappresentante del fratello Eugenio nella mia città di Montreal, mi confermarono anni dopo che...
[2^ puntata]




lunedì 18 maggio 2015

Carlo Calvi racconta Eugenio Cefis in una ricostruzione inedita ed esclusiva

"Era in corso il disegno politico perseguito da Cefis di rastrellamento della stampa quotidiana …suggeritore di pressoché tutti i giornali italiani …a posteriori i disegni di Gelli sembrano addirittura copiati da quelli di Cefis".

E' questo l'incipit di una serie di articoli inediti di Carlo Calvi che saranno pubblicati in esclusiva dal blog a partire da questa settimana.
Si tratta di un'analisi rigorosa basata su documentazione di primaria importanza, contenuta negli atti giudiziari o reperita nelle casseforti delle Bahamas appartenute al padre - Roberto Calvi - e costituita da accordi segreti, istruzioni riservate, prospetti intricatissimi di ripartizione di quote azionarie e da corrispondenza privata.

(Eugenio Cefis)

Ne viene fuori una ricostruzione inedita di fatti vissuti anche personalmente da Carlo Calvi, che, se non fossero dimostrati da documentazione ufficiale (anche fotografica), sembrerebbero il prodotto della più fervida fantasia di un genio del romanzo giallo e di spionaggio.
Infatti le vicende terrene di Eugenio Cefis, nella sua qualità di Presidente della Montedison, si intrecciano con quelle di ex agenti dei servizi segreti di Sua Maestà Britannica, di uomini di cosa nostra, di esponenti della finanza internazionale e del mondo economico e politico italiano.

(Eugenio Cefis con Giulio Andreotti)

Tutto questo in uno scenario in cui l'Istituto per le Opere di Religione (IOR), tramite il suo Presidente Mons. Paul Casimir Marcinkus, operava in modo spregiudicato nella finanza locale e internazionale, grazie ad accordi non ufficiali e ai legami con importanti personalità appartenenti alla massoneria.

Ne deriva quindi uno spaccato noir della storia della Repubblica Italiana degli anni '70 e '80, in cui complesse contabilità occulte, seppur celate in archivi riservati, erano utilizzate come mezzo di persuasione per raggiungere determinati scopi.

Leggeremo quindi delle trame legate al tentativo di scalata di Michele Sindona alla Bastogi Finanziaria con il fine di impossessarsi delle banche di Carlo Pesenti, la cui OPA (l'operazione fu ideata da Roberto Calvi) fallì nel 1971 a favore del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia. E ancora, di come Cefis governava l'informazione tramite il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. E dell'uso dei depositi "back to back" per far fronte alle crisi di liquidità e di provvista del Banco Ambrosiano. Ma anche delle vicende collegate alla società Acqua Marcia e alla sua catena di controllo che portava sino a Nassau, Bahamas.

Ancora una volta Carlo Calvi ha scelto il nostro blog "Fraud Auditing & Forensic Accounting" per diffondere i suoi scritti, frutto di tanto lavoro di analisi e ricostruzione documentale integrato dai ricordi personali.
E di questa dimostrazione di fiducia e di condivisione delle finalità del blog, anche a nome dei lettori, si ringrazia vivamente Carlo Calvi.

s.m.


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martedì 21 aprile 2015

AssoTAG ospite di Report sui derivati sottoscritti dallo Stato - (puntata del 26/4/15)

AssoTAG, l'Associazione Italiana dei Periti e dei Consulenti Tecnici nominati dall'Autorità Giudiziaria, segnala che la prossima puntata di Report (RAI 3 - domenica 26 aprile 2015, ore 21.40) sarà incentrata sull'annosa vicenda dei prodotti derivati sottoscritti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, da qualche mese oggetto di approfondimento anche da parte di una Commissione d'indagine istituita dalla Camera dei Deputati.

L'argomento è stato trattato in più occasioni da AssoTAG sia con convegni e dibattiti pubblici, sia con l'istituzione di un gruppo di studio ad hoc (cliccare QUI), sia con l'iniziativa "Accordo sulla trasparenza" in collaborazione con Federconsumatori (cliccare QUI e QUI). 
Attraverso questi progetti AssoTAG ha cercato di ottenere informazioni più accurate sui derivati sottoscritti negli ultimi anni dallo Stato Italiano al fine di chiarire quale sia la reale esposizione finanziaria verso il mondo bancario.

In virtù delle recenti audizioni parlamentari che hanno visto protagonista l'attuale Capo della Direzione del Debito pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dott.sa Maria Cannata, solo ora conosciamo il valore delle perdite potenziali.
In particolare, si vedano gli atti parlamentari della:
  • 1^ audizione del 10 febbraio 2015 (cliccare QUI e QUI);
  • 2^ audizione del 26 febbraio 2015 (cliccare QUIQUI e QUI).

Sui 160 miliardi di sottostante è emerso che:
  • a settembre 2014 – le perdite potenziali ammontavano a 37 miliardi di €;
  • a dicembre 2014 – tali perdite aumentavano di ben 5 miliardi, raggiungendo i 42 miliardi di €;
  • ad oggi il dato delle perdite potenziali non è noto.

Nel corso della prossima puntata di Report si approfondirà questo importante argomento anche grazie agli interventi dell'ing. Alfonso SCARANO* e del dott. Nicola BENINI**, rispettivamente Presidente e Consigliere di AssoTAG.

Di seguito i due promo della puntata di REPORT di DOMENICA 26 APRILE, ore 21.40 (RAI3)


(click sull'immagine)


 Derivati
(click sull'immagine)



*Alfonso SCARANO – Presidente e Socio Ordinario di AssoTAG. Analista finanziario indipendente. Esperto di valutazione aziendale, rating, prodotti finanziari ed enti territoriali. Autore di numerosi articoli e studi economici.

**Nicola BENINI – Consigliere e Socio Ordinario di AssoTAG. Dottore Commercialista, CEO di Ifa Consulting S.r.l., ex ufficiale della Guardia di Finanza. Esperto nelle attività di diagnostica/"pricing" sugli strumenti finanziari complessi, analisi finanziaria e supporto alla "litigation". Autore di numerosi studi e articoli in tema di finanza.

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Audizione del prof. Ugo Patroni Griffi e del dott. Nicola Benini (Consigliere AssoTAG) presso la Commissione Parlamentare d'Indagine sui derivati sottoscritti dalla Stato Italiano (cliccare QUI)




mercoledì 7 gennaio 2015

L'attività antifrode come strumento per la crescita

I manuali di forensic accounting distinguono le frodi esterne, caratterizzate da attacchi attuati da soggetti terzi all'azienda, dalle frodi interne commesse dai dipendenti della società.
In molti casi la frode esterna è opera di organizzazioni criminali di varia natura che pianificano attacchi volti a sottrarre la maggior quantità di ricchezza in un breve lasso di tempo.

Ma sono molte le aziende sufficientemente attrezzate per far fronte a tali minacce grazie a procedure, sistemi e dispositivi fisici e informatici piuttosto avanzati a tutela del proprio patrimonio.
Difese che, in base alle statistiche più recenti commissionate dalle big4 e dagli organismi di vigilanza, sono molto più deboli se si parla di contrasto alle frodi di tipo interno.


Ma se la quasi totalità delle aziende di medio-grandi dimensioni è vittima di almeno una frode in corso di esecuzione in questo momento ad opera di dipendenti infedeli, solo una parte limitata di queste è in grado di individuarla grazie ad autonomi mezzi di prevenzione e controllo.
E, secondo tali ricerche, la situazione è molto più drammatica nel contesto italiano rispetto agli altri Paesi industrializzati.

Circa il 30% delle frodi interne è commessa da uno o più top manager, cioè da quel personale direttivo di rango elevato avente ruoli di responsabilità e rappresentanza. E, non è difficile immaginarlo, l’ammontare del danno arrecato all'azienda è direttamente correlato al livello gerarchico ricoperto dal dipendente infedele che commette la frode.

Pertanto un amministratore delegato, se disonesto, provocherà una perdita economica di molto superiore rispetto ad una frode commessa da un impiegato avente funzioni esecutive.

Per di più il fenomeno delle frodi interne attuate da soggetti che ricoprono ruoli chiave è in netto aumento. A livello globale si stima un incremento medio del danno economico originato da frode interna nell'ordine del 5% rispetto all'anno precedente.

La totalità degli studi e delle ricerche più aggiornate affermano che le frodi interne potrebbero essere dimezzate grazie al potenziamento dei controlli. Analogamente un management onesto sarebbe da solo in grado di ridurre la restante parte del danno derivante da frode.

In altre parole, l’abbinamento “controllo interno/onestà direzionale” basterebbe a ridurre il rischio di frode aziendale a livelli trascurabili, alla cui identificazione residuale potrebbero concorrere anche l’insieme dei controlli esterni e dei sistemi di segnalazione anonima.

Alla luce di quanto affermato, stupisce il numero esiguo di aziende italiane che investono in programmi di prevenzione e nella formazione del personale in materia antifrode.
Purtroppo questo è un atteggiamento miope che indubbiamente sta ostacolando una sana ed onesta ripresa economica.


mercoledì 1 ottobre 2014

Earnings management nel settore bancario

Recenti studi empirici sono stati condotti sulla svalutazione del portafoglio crediti nel settore bancario.

A tal proposito, per la disciplina forensic accounting, sono di particolare interesse le ricerche effettuate nel 2013 da Mark J. Flannery, Simon H. Kwan e Mahendrarajah Nimalendran, pubblicate sul Journal of Financial Intermediation in un articolo dal titolo "The 2007–2009 financial crisis and bank opaqueness", finalizzate a determinare se e in quale misura sussiste una correlazione tra tardiva svalutazione dei crediti e scarsa trasparenza.

Semplificando molto, la crisi finanziaria del periodo 2007-2009 ha determinato una certa "opacità" nelle comunicazioni sociali in capo a quelle banche che, all'aumentare dei crediti di minore qualità, non hanno saputo, o voluto, provvedere con adeguata tempestività a svalutarne la quota ragionevolmente ritenuta irrecuperabile.

Secondo questi studi la scarsa trasparenza è stata amplificata dal comportamento di quei manager che hanno preferito temporeggiare sulle svalutazioni dei crediti.
E, sarebbe inutile ribadirlo, le incertezze riguardanti l'effettivo grado di solidità della banca, soprattutto in uno scenario di asimmetrie informative concomitanti con la crisi finanziaria, ha portato a ripercussioni piuttosto gravi sia sulle quotazioni dei titoli azionari, che sono risultati meno liquidi, sia sul mercato interbancario, che ha visto paralizzato prima il flusso dei depositi tra banche e poi il patrimonio disponibile per il credito.

Ma veniamo al dunque.
A chi imputare una parte non trascurabile di responsabilità per ciò che è accaduto?

Studi teorici pubblicati in anni passati (si vedano Brian J. Hall & Jeffrey B. Liebman, "Are CEOs Really Paid Like Bureaucrats?", The Quarterly Journal of Economics, 1998 e Daniel Bergstresser e Thomas Philippon, "CEO incentives and earnings management", Journal of Financial Economics, 2006) avevano già dimostrato che nei contesti nei quali i manager hanno una remunerazione legata alle performance, come nel settore bancario, sono osservabili con più frequenza fenomeni di "earnings management".

In altre parole, soprattutto nel settore finanziario, il management ha una maggiore discrezionalità nella determinazione degli utili e la miscela diventa esplosiva se su questi risultati economici si basano le quote variabili delle retribuzioni dei medesimi manager.

Il paradosso è proprio questo.
Permettere che una parte molto ampia del compenso sia parametrata su dati manovrabili dallo stesso soggetto destinatario della retribuzione.


Il fenomeno diviene allarmante proprio nel contesto bancario nel quale un elemento di forte manovra sui risultati economici è rappresentato dalle decisioni relative agli stanziamenti della svalutazione del portafoglio crediti da iscrivere in bilancio.

Secondo i principi contabili americani (FAS 5 e FAS 114) o europei (IAS 39) le svalutazioni dovrebbero riflettere l'importo atteso delle perdite su crediti alla data di redazione del bilancio.

Ma la realtà ha evidenziato che la quota delle svalutazioni, non essendo determinabile in modo certo e oggettivo, in molti casi è stata frutto di compromessi tra i vari portatori di interessi.
Se poi si considera che in ultima analisi è responsabilità del management stabilire quanto e quando svalutare, quasi al pari di un'opinione come un'altra, il problema diventa evidente nella sua drammaticità.

Gli studi richiamati all'inizio dell'articolo hanno definito alcuni indicatori in grado di misurare il tasso di "opacità" degli istituti di credito.
Per il fraud auditor questi indicatori possono essere considerati al pari degli altri fattori di rischio (o "red flag") che potrebbero rivelare la presenza di comportamenti potenzialmente illeciti.

Si pensi ad esempio a quelle "pratiche strategiche" poste in essere da un nuovo management il quale, al solo scopo di attribuire responsabilità a precedenti gestioni, provvede ad iscrivere in bilancio importanti svalutazioni di crediti.
Presumibilmente però parte di tali crediti saranno successivamente incassati, generando sopravvenienze attive e quindi maggiori utili sui quali calcolare le percentuali di retribuzione variabile e/o basare gli avanzamenti di carriera, a beneficio del medesimo managment che aveva deliberato le svalutazioni.

Ed è anche per i motivi solo appena accennati nel presente intervento che il forensic accountant è necessariamente chiamato a "vedere" ben al di là dei bilanci, delle scritture contabili e dei relativi principi di redazione.

s.m.



giovedì 24 aprile 2014

Frodi occupazionali. Quanto sono percepite in Italia?

Generalmente con l'espressione "frode occupazionale" si intende lo sfruttamento del proprio status di dipendente per compiere un'azione fraudolenta mirata all'arricchimento personale ai danni dell'azienda.

Nella prassi professionale si è soliti estendere l'area definitoria non solo al personale subordinato in senso stretto, ma anche ai collaboratori, agli amministratori e ai consulenti esterni, agli agenti operanti in esclusiva, cioè a tutti coloro che indipendentemente dalla forma contrattuale che li lega all'azienda possono accedere più o meno liberamente alle risorse aziendali.
In buona sostanza la frode occupazionale è una "frode interna" anche se commessa da soggetti giuridicamente terzi ma aventi le "credenziali" fiduciarie per appartenere in qualche modo alla cerchia degli "insider".

Ulteriore aspetto riguarda l'oggetto della frode. E' l'asset aziendale.
Si tratta in particolare di beni mobili ed immobili, informazioni, know-how, denaro contante eccetera.

Dal punto di vista del fraud auditor, le frodi occupazionali sono tra le più articolate da analizzare. Infatti i modelli di sviluppo della frode possono assumere forme molto diverse in quanto sono il frutto della fantasia criminale del singolo finalizzata a trovare i modi per aggirare le procedure e in generale i meccanismi di prevenzione dei rischi aziendali.
Pertanto il professionista chiamato a ricostruire e a dimostrare l'evento fraudolento dovrà calarsi nella realtà aziendale, analizzandone le procedure e i protocolli operativi cercando di individuarne le debolezze sfruttate da chi ha compiuto la frode.
Una sfida avvincente quanto ardua.

Recentemente ACFE (l'Associazione dei Certified Fraud Examiners) ha realizzato un'indagine esplorativa sul fenomeno promuovendo una survey tra le aziende italiane.
Vediamone di seguito i risultati.

Ben il 57% delle aziende ha dichiarato di aver subito frodi occupazionali nella loro forma più classica: l'appropriazione indebita di beni aziendali.
Lo studio ha confermato che si tratta di frodi molto diffuse ma non eccessivamente gravi dal punto di vista del valore unitario sottratto, pari in media a meno di un milione di euro (tenendo conto che le aziende interpellate erano prevalentemente di grandi dimensioni e multinazionali operanti nel settore bancario e finanziario).

L'autore della frode è risultato essere nel 60% dei casi un dipendente della società (dirigente 13% e impiegato 47% dei casi), mentre i consulenti hanno raggiunto una non invidiabile posizione del 20%. A tal proposito si segnala che sulle frodi perpetrate dai consulenti esterni si usano distinguere le fattispecie che prevedono un qualche tipo di collaborazione/accordo tra professionista (o fornitore) e personale interno (si verifica ad esempio con la fatturazione per prestazioni - o forniture - parzialmente o totalmente inesistenti) dai casi che prevedono che il soggetto esterno commetta la frode in modo autonomo.

Un moderato applauso va agli internal-fraud auditor in quanto grazie ai loro controlli si sono scoperte il 28% delle frodi occupazionali (c'è ancora molto da fare però!).
Mentre le segnalazioni anonime hanno contribuito per il 22%, stessa percentuale per le frodi scoperte casualmente.
Le Forze di Polizia fanno quel che possono, arrivando ad individuare solo il 5% dei fatti fraudolenti.


Ma una volta individuato l'autore della frode, cosa ha fatto l'azienda?

Nel 33% dei casi l'azienda ha provveduto a licenziare il dipendente disonesto.
Anche in questo caso è necessario un piccolo consiglio. Il licenziamento (come il trasferimento in altra sede) è una procedura complessa che non ha sempre l'esito desiderato. Anzi!
Per questo motivo è assolutamente necessario commissionare una forensic investigation ad un professionista terzo ed indipendente, esperto in materia, mirata a ricostruire mediante l'elaborazione di una relazione tecnica l'avvenimento irregolare, allegando ogni evidenza documentale idonea a dimostrare l'accaduto. La relazione tecnica in mano a buoni avvocati giuslavoristi può garantire che l'allontanamento del dipendente vada a buon fine.
Naturalmente la perizia sarà utile anche per la richiesta di risarcimento dei danni e l'eventuale azione di responsabilità da promuovere nei confronti degli amministratori infedeli, circostanze capitate nel 28% dei casi osservati.
Solo il 17% delle aziende interessate ha denunciato all'Autorità Giudiziaria l'autore della frode e i suoi eventuali complici.

Dall'indagine emerge dunque un quadro piuttosto preoccupante.
Anche in considerazione del fatto che l'85% delle aziende intervistate ha dichiarato di aspettarsi un aumento delle frodi occupazionali nel futuro.
Purtroppo questa aspettativa di peggioramento, secondo quanto si sta osservando, si è effettivamente realizzata anche se manca una fotografia aggiornata del fenomeno specifica per il contesto italiano.
Purtroppo, è bene precisarlo, l'intensificarsi delle frodi occupazionali anche a causa della lunga crisi economica, non ha portato ad investimenti proporzionali nel campo della formazione del personale aziendale specializzato nelle indagini interne o al potenziamento degli apparti tecnico-informatici impiegati nei controlli automatici e routinari.

Sul punto c'è ancora molta strada da percorrere.


mercoledì 22 gennaio 2014

Modelli di analisi del crimine economico (la teoria di Felson)

Forse non tutti sanno che la dottrina economica ha elaborato negli anni alcuni modelli teorici che provano a spiegare l'origine e l'evoluzione dei vari comportamenti fraudolenti inerenti la criminalità economico-finanziaria.

Il blog si è già occupato in passato di questi temi e in particolare della teoria tradizionale riguardante gli studi empirici sul white collar crime condotti da Donald R. Cressey, le cui risultanze sono state pubblicate nel 1973 nel volume Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement (Colletti sporchi e l'esigenza di nuovi modelli teorici).

Tuttavia i modelli empirici, per loro natura, si basano sull'osservazione e l'analisi di fatti e comportamenti già accaduti.
Pertanto la sintesi teorica nasce e si sviluppa sia dall'esperienza maturata sul campo dai professionisti del settore sia dalla conoscenza prodotta dallo studio di singoli casi eclatanti.

L'obiettivo è trarre spunto dall'esperienza e dall'osservazione per definire una griglia di comportamenti, in correlazione con determinati ambienti e organizzazioni aziendali, che possono essere indicatori di una potenziale frode in atto.

Il lavoro della dottrina si concretizza nella definizione di modelli teorico-pratici utili a definire i protocolli di prevenzione del rischio di frode, i codici etici e di comportamento, le procedure di vigilanza, controllo e deterrenza.

Gli approcci più tradizionali distinguono gli aspetti soggettivi o individuali della persona evidenziando le caratteristiche che possono rendere più probabile una "predisposizione" alla commissione degli illeciti; predisposizione intensificata o favorita dalle condizioni culturali e dalle pressioni ambientali.
Oppure, al contrario, in assenza di inclinazioni particolari soggettive o ambientali o culturali, si enfatizzano le occasioni e le opportunità create grazie ad un mancato o ridotto controllo da parte degli organi preposti alla vigilanza. In questo caso anche un individuo generalmente onesto, cade in tentazione assumendo un comportamento illecito.

Da ultimo i modelli più tradizionali tendono ad attribuire la serialità degli atti illeciti alla cosiddetta "razionalizzazione". Un determinato soggetto, secondo questi studi, tende ad assumere un comportamento illecito in modo non episodico, non solo se le opportunità ambientali di compiere tali atti sono favorevoli (ad esempio in una condizione di carenza dei controlli) ma anche se ha la capacità di giustificare se stesso (ad esempio si compie un atto fraudolento in conseguenza di una presunta ingiustizia subita).

Un approccio alternativo o integrativo rispetto a quello appena descritto risulta essere il "modello di Felson" elaborato nel 2002 da Marcus Felson nella seconda edizione del libro "Crime and Everyday Life".
In buona sostanza la teoria elaborata dal sociologo, professore della University of Michigan, analizza la problematica distinguendo i tre aspetti fondamentali del problema: la persona, l'obiettivo e il guardiano.
Terreno fertile per la realizzazione di una frode è la presenza di una persona "motivata" che persegue un obiettivo "possibile".
A riequilibrare la situazione il modello di Felson prevede che il guardiano debba essere "capace".

In contesti aziendali nei quali le persone sono poco motivate a delinquere e gli obiettivi illeciti impossibili da raggiungere (o troppo rischiosi per essere perseguiti), può essere accettata l'assenza di guardiani ovvero la presenza di fraud autitor poco capaci.
Il rischio di frode in questo caso sarà pressoché nullo.

Naturalmente l'equilibrio tra buoni e cattivi, potrà essere assicurato (in teoria!) anche in presenza di individui molto motivati alla commissione di illeciti e con obiettivi facili da raggiungere, con la presenza di guardiani molto esperti e capaci nella prevenzione, individuazione e gestione della frode.

Per Felson dunque è una questione di pesi e contrappesi. Di azioni e reazioni a risultato nullo.

Ma chi decide quando e come ottenere l'equilibrio?
E come misurare il raggiungimento dell'uguaglianza tra le forze opposte?

Da queste domande (ce ne sarebbero molte altre) si aprono nuovi orizzonti di studio e ricerca.

Infatti, al momento, non sono noti a chi scrive approfondimenti teorici che permettono di definire, in presenza di elementi che evidenziano un determinato rischio di frode (personale motivato a delinquere e obiettivi possibili) quante risorse economiche investire nella prevenzione e mitigazione di tale rischio aziendale.

Infatti se l'aspetto economico legato all'introduzione di modelli di governance anti-frode (l'inserimento cioè dei cosiddetti "guardiani capaci" citati dalla teoria di Felson) è misurabile in termini quantitativi, non lo è con uguale facilità e immediatezza la stima del grado di "motivazione" a compiere l'atto illecito di uno o più soggetti, ovvero la determinazione della "probabilità" di raggiungere fraudolentemente un dato obiettivo.

Trovare un equilibrio tra buoni e cattivi sembra dunque non essere cosa facile.

Attualmente le cosiddette "fraud policy" aziendali possono prevedere una ampio range di possibilità.
Si osserva in alcuni ambiti aziendali una sorta di "stato di polizia" con l'introduzione di molti apparati di vigilanza e controllo coordinati tra loro con poteri immensi e al limite dalla legislazione, mentre in altre occasioni si constata l'assenza di presidi anti-frode con un ambiente aziendale nel quale vige la più completa anarchia e predisposizione all'illecito.

Tutti gli studiosi però sono d'accordo su di un punto fondamentale.

Per essere davvero efficaci, i protocolli, le procedure, i presidi, gli apparati e le strutture anti-frode, devono essere parte di un progetto di ampio respiro e di lungo periodo, orientato allo sviluppo di un ambiente aziendale sereno e meritocratico.
Infatti un clima aziendale favorevole, ed è stato verificato scientificamente, è sempre garanzia di crescita sana e prosperosa.

s.m.


sabato 7 luglio 2012

Convergenze di saperi (il riciclaggio del denaro)

Il 4 luglio scorso ho partecipato al convegno "Il riciclaggio del denaro - La risposta dell'ordinamento giuridico", organizzato dal Centro Studi Ambrosoli, dalla Corte d'Appello di Milano e dall'Ordine degli Avvocati di Milano (http://fraudauditing.blogspot.it/2012/06/convegno-su-riciclaggio-4712-milano.html).

Era da tempo che non partecipavo a convegni di così alto livello e spessore.
E non solo per l'autorevolezza dei relatori (il Presidente della Corte d'Appello, dott. Canzio, il Direttore della sede di Milano della Banca d'Italia, dott. Sopranzetti, il Presidente di Sezione della Corte d'Appello di Milano, dott. Cerqua, gli Avv. Ermanno Cappa e Umberto Ambrosili e, non ultimo, il Pubblico Ministero dott. Francesco Greco) ma anche per la qualità dei professionisti seduti in platea.

Amici, conoscenti e autorevoli colleghi, studiosi e accademici di primo rilievo, cultori della materia, tutti interessati a come prevenire, limitare e investigare il fenomeno del riciclaggio del denaro. Fenomeno endemico e di notevole rilevanza visto l'impatto devastante che determina sull'intera popolazione italiana.

A differenza di altre, troppe, occasioni nelle quali ho ascoltato blasonati personaggi disquisire di faccende a loro ignote, in questa occasione è emersa la competenza, l'esperienza, il sapere.

Non entro nel merito di tutti gli argomenti trattati, vorrei però menzionare alcuni aspetti rilevati dai relatori.
1) Innanzitutto diffidare dall'"astratta investigazione", sono molti i presunti "esperti", ma sono pochi gli operatori che sanno affrontare concretamente e in modo professionale le indagini inerenti il riciclaggio, soprattutto quello di derivazione mafiosa.
2) Ogni anno sono circa 65.000 le segnalazioni di operazioni sospette che l'Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d'Italia (che rappresenta la struttura di Financial Intelligence Unit italiana) trasmette agli organi giudiziari. Ma come fare a gestire tale massa di dati? Sarebbe necessario organizzare team di analisti in grado di verificare, elaborare e scremare le informazioni, per renderle più facilmente assimilabili dagli organi giudiziari (questa attività è stata definita dai relatori come "attività pre-investigativa"). Secondo i dati della Banca d'Italia la massa di denaro riciclato nel nostro Paese rappresenta il 10% del PIL nazionale, per un ammontare di oltre 1.500 miliardi di euro (17 milioni di euro all'ora.... 4.750 euro al secondo).
3) Se si raffinassero le tecniche d'indagine si potrebbero recuperare da 4 a 6,5 miliardi di euro dalla lotta all'evasione fiscale.
4) E' fondamentale la collaborazione tra investigatori e operatori finanziari, quali le banche, le finanziarie e i professionisti (si tratta di far convergere le conoscenze, le esperienze, le competenze specifiche e le diverse capacità informative).
5) I destinatari della legge antiriciclaggio (banche, società di revisione e consulenza, professionisti eccetera) hanno il dovere di identificare i propri clienti, verificare chi sia il "titolare effettivo" del rapporto, registrare le operazioni superiori a certe somme su determinati archivi, segnalare eventuali sospetti di riciclaggio alle autorità competenti.

A quanti fossero interessati ad approfondire questi argomenti, segnalo una buona lettura estiva (specificando che non ho alcun beneficio economico o di altro genere correlato a questa indicazione).