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giovedì 27 settembre 2012

I depositi "back to back" (commento di Carlo Calvi)

Come annunciato, riporto nel seguito il commento inviatomi dal Dott. Carlo Calvi con riferimento all'articolo "I depositi back to back" (http://fraudauditing.blogspot.it/2012/09/i-depositi-back-to-back.html).



*   *   *

Questo commento si riferisce all'utilizzo dei contratti fiduciari con collaterale a garanzia dissimulati sotto forma di depositi di reciprocità. In base ad accordi informali, depositi in conto corrente con banche intermediarie, servono da collaterale a garanzia di finanziamenti a favore di beneficiari ultimi. 

Le considerazioni sono solo in parte circoscritte all'esperienza delle Liquidazioni di entità estere del Banco Ambrosiano.

L'informalità degli accordi fiduciari continua ad essere un abuso generalizzato con conseguenze deprecabili.

Sono influenzato maggiormente dal lavoro svolto dai Liquidatori di Banco Ambrosiano Holdings (Lussemburgo) e Banco Ambrosiano Overseas (Nassau), nonché da quanto lasciato da mio padre.
La documentazione mostra che nella seconda metà degli anni settanta, le consociate estere con la esclusione della Banca del Gottardo, avevano una scarsa raccolta indipendente ed elevati impieghi immobilizzati.
Seguirono contatti con la Banca d'Italia che imponeva la cessazione dei depositi delle banche italiane del gruppo con le consociate estere. Questi depositi furono dapprima rimpiazzati da entità estere dei gruppi ENI e BNL e solo alla fine degli anni settanta dai prestiti sindacati condotti da National Westminster e Midland.
La Banca d'Italia, sulla base di motivazioni pragmatiche, ha ritenuto privilegiare il rapido trasferimento degli attivi italiani al Nuovo Banco, agli impegni di quello che era già noto come l'accordo di Basilea.

Sotto l'egida di Nat West e Midland, il gruppo di insolvenza di Touche Ross poi Deloitte & Touche prendeva le redini di Banco Ambrosiano Holdings (Lussemburgo).
Tuoche Ross si avvalse delle consulenze di Wilde Sapte e Studio Graziadei per avanzare nella primavera 1983 una teoria giuridica secondo cui il Nuovo Banco era il successore di BA SPA.
Ne seguì il noto compromesso che ammise ENI e BNL come creditori di Banco Ambrosiano Holdings.

I depositi «back to back» fanno la loro entrata nella vicenda Ambrosiano nel periodo relativamente breve del Commissariamento.

Si rilevano alla origine del loro utilizzo delle motivazioni decisamente contingenti e proprie agli inizi degli anni ottanta.
Il processo valutario aveva generato una notevole pubblicità negativa in campo internazionale.
Mio padre perse definitivamente l'uso del passaporto durante l'inverno 1981. La Banca d'Italia imponeva il rimpatrio del controllo azionario del Banco e la cessione delle partecipazioni italiane non bancarie. Le scadenze dei prestiti sindacati si profilavano già per l'estate 1982.
Non si riferiscono all'intero svolgimento del progetto più o meno occulto degli impieghi esteri che datava almeno agli anni sessanta.

Non credo si debbano necessariamente identificare come beneficiari finali dei «back to back» le consociate estere, ma la galassia delle società patrocinate.
La Commissione Mista ha giustamente rilevato il ruolo svolto dalla «corrispondenza parallela». Senza questo artificio il personale bancario anche delle giurisdizioni più compiacenti, non avrebbe consentito a queste operazioni.
Riveste particolare importanza la causa intentata e persa dai Liquidatori di Banco Ambrosiano Overseas di Nassau contro i loro revisori Coopers & Lybrands.

Il trasferimento degli impieghi problematici verso Managua e Lima trova qui le sue origini.
L'utilizzo improprio di depositi di reciprocità è più legato a questo trasferimento che ai normali rapporti intercorsi con banche intermediarie delle consociate estere del Banco Ambrosiano. L'accettazione di accordi informali non conformi è diffuso ma circoscritto a particolari campi di attività. Con riferimento ai casi citati e alla mia esperienza personale, ritengo plausibile una certa disponibilità da parte del gruppo Artoc.
Non la considero invece come scontata per le banche del gruppo InterAlpha, con i cui vertici e i loro legali ho avuto una lunga dimestichezza.
Questa prassi non è necessariamente correlata alla reputazione delle controparti ed è applicata da istituzioni di varia levatura.
Ho avuto conoscenza diretta di una di queste richieste nel 1980 nell'approccio di mio padre con Nick Clegg di Hill Samuel, padre dell'omonimo leader politico inglese odierno.

Se scadimento vi fu, non lo si deve nemmeno attribuire oltre misura ai contatti e le opportunità delle nuove giurisdizioni.
A Managua vi fu una scelta deliberata da parte dei vertici del Banco di selezionare dei professionisti che non riproducessero i problemi incontrati alle Bahamas con Coopers & Lybrands e non una mancanza di alternative più qualificate.
Per quanto riguarda Lima, ho avuto modo di frequentare a Washington i vertici del Banco de la Nacion e del Tesoro peruviani, che vi godevano indubbia considerazione.

Carlo Calvi

*   *   *


Traendo spunto da quanto accennato dal dott. Calvi, il contributo del prossimo mese sarà dedicato alla ricostruzione dei rapporti intercorsi tra il Gruppo ENI e il Gruppo Banco Ambrosiano sul finire degli anni '70.
Non è esclusa la pubblicazione di documenti "highly confidential" sull'argomento.



lunedì 24 settembre 2012

I depositi "back to back"

In origine le operazioni “back to back” erano utilizzate per scopi sostanzialmente legati alla mitigazione del rischio di oscillazione cambi, quando i contratti derivati non avevano ancora fatto il loro debutto trionfale sulla scena della finanza globale.
Nel corso del tempo, tuttavia, da precursori dei plain vanilla currency swap, i back to back hanno assunto connotati più affini ai contratti fiduciari con collaterale a garanzia.
Una metamorfosi d’impiego che li ha fatti diventare un formidabile strumento per trasferire fondi verso beneficiari occulti.

Facendone un uso fraudolento, con i back to back è possibile raggiungere due obiettivi simultaneamente: da un lato occultare in bilancio distrazioni di risorse aziendali mediante una rappresentazione non corrispondente a quella reale e dall'altro assicurare che il flusso degli asset sottratti sia impiegato per finalità illecite al riparo degli organismi di vigilanza e controllo.

La pratica in oggetto è diffusa soprattutto nell'ambito bancario, dove si manifesta con il cosiddetto "deposito back to back”, altrimenti detto “deposito di reciprocità”.

Nella sua forma più diffusa colui che pianifica e mette in atto la frode, ad esempio un amministratore delegato di un istituto di credito (il "dominus"), dispone un trasferimento di fondi della banca (che chiameremo “banca depositante”) a favore di uno o più conti correnti ad essa intestati accesi presso una o più banche terze (la banca depositaria o intermediaria).
In seguito a precisi accordi informali intervenuti tra il dominus e i vertici della banca depositaria, quest’ultima dispone un contestuale finanziamento di pari importo a favore di un’entità indicata dal dominus stesso e solitamente a questo correlata (si tratta del beneficiario finale dei fondi). Tale erogazione è concessa a lungo termine e senza l’ottenimento di particolari garanzie reali o personali rilasciate dal beneficiario finale.




In buona sostanza il deposito presso la banca intermediaria, per natura liquido, immediatamente esigibile e privo di rischio, funge da collaterale a garanzia del finanziamento stanziato a vantaggio del soggetto indicato dal dominus.
Questa seconda operazione ha natura assai diversa dal deposito in conto corrente in quanto si tratta di un impiego immobilizzato, esigibile solo a scadenza e ad elevato rischio di credito.
L’obiettivo del dominus è l’occultamento della vera struttura dell’operazione vista nel suo complesso. Il trasferimento iniziale di fondi alla banca intermediaria è rappresentato nel bilancio della banca depositante nell’attivo circolante dello stato patrimoniale e non tra le poste immobilizzate, tra le quali invece avrebbe dovuto trovare collocazione.
*   *   *
Il fenomeno dei depositi fiduciari back to back fu portato alla ribalta del grande pubblico nel giugno 1982, durante le fasi più drammatiche del crack del Banco Ambrosiano S.p.A.
In quell'occasione i Commissari straordinari appurarono che una buona parte dei depositi sui conti correnti accesi presso banche terze, iscritti nell’attivo circolante del Banco, in realtà celavano finanziamenti occulti di analogo ammontare a favore di alcune consociate estere.

Gli istituti di credito che si prestarono ad intermediare i fondi tra l’Italia e i beneficiari finali (per esempio verso il Banco Ambrosiano Andino di Lima o il Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau), salvo alcuni casi particolari, avevano caratteristiche simili: operatività circoscritta a pochi sportelli, sede presso i centri finanziari off-shore, pessima reputazione sul mercato interbancario.
Una volta che i fondi furono entrati nella disponibilità delle entità finali, furono utilizzati in piena libertà e riservatezza, al riparo da qualsiasi forma di controllo delle autorità di vigilanza italiane.

Le varie inchieste chiarirono che tali fondi furono utilizzati per l’acquisto di azioni del Banco Ambrosiano o per finanziare alcune attività occulte di Stati esteri.
Emblematico, a tal proposito, è lo stralcio della testimonianza del Direttore Centrale per la Vigilanza Creditizia e Finanziaria della Banca d’Italia, dott. Vincenzo Desario, rilasciata in sede dibattimentale e riportata nella Sentenza del Tribunale di Milano del 16 aprile 1992, n.1390, da pagg. 221:

Il 18 o il 19 [giugno 1982, n.d.r.] - mi pare - esponenti del Servizio Esteri [del Banco Ambrosiano, n.d.r.] mi rappresentarono l’esigenza di dover risolvere alcune questioni, in particolare concernenti i depositi interbancari con banche estere, perché giungevano a scadenza tra il 22, il 23 e il 24. (…) In questo quadro... loro prospettavano il problema di depositi in scadenza, e la mia prima valutazione di questa richiesta era che non ci dovevamo preoccupare perché... si trattava di depositi del Banco Ambrosiano, fatti verso banche estere (e, se non ricordo male, erano uno dell’Inter Alpha e l’altro dell’Arab Bank), al che la mia risposta è stata: va beh, sono scaduti; ci rimborsino e buona notte; a questo punto, invece, emerge il problema: no, ma questi, in base ad accordi di reciprocità, sono stati trasferiti dalla banca estera al Banco Andino [avente sede in Perù e controllata dal Banco Ambrosiano S.p.A., n.d.r.]. (…) ho dovuto chiedere all’Ufficio, che mi rappresentassero la storia di questo deposito, per poter prendere delle decisioni (…). Alla fine, loro mi parlarono di “a seguito di accordi intercorsi”, accordi intercorsi che, indirettamente, io avevo potuto anche vedere esaminando i fascicoli di questi rapporti con le banche estere, in particolare. Non esistevano documenti ufficiali, ma, in realtà, quando facevano questi accordi, risultava un pezzettino di carta, in cui si diceva: abbiamo ricevuto, abbiamo concordato questo tipo di rapporto, e prova ne sia che, sin dal 18 mattina, molte di queste banche estere, che evidentemente facevano riferimento a questo tipo di accordo, si erano o telefonicamente o di persona precipitate; e ricordo che si presentò in Istituto il Direttore Generale del Banco de la Nation, che pretendeva l’immediato ritorno e, quindi, l’esclusione della sua responsabilità di rimborso, facendo riferimento a questo tipo di accordo”.

Invitato ad essere più preciso sulla natura degli accordi citati, il dott. Vincenzo Desario rispose:
L’accordo era: Banco Ambrosiano Italia deposita 20, 30, 40 milioni di dollari presso il Banco Cafetero, con l’impegno del Banco Cafetero di depositarli all’Andino, a BAOL [Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau – Bahamas, n.d.r.], o ad altri; questo era l’accordo”.

Secondo un'elaborazione effettuata dai Commissari Liquidatori basata sulle dichiarazioni fornite dai responsabili dell'Ufficio Estero del Banco, l'ammontare complessivo trasferito grazie ai depositi "back to back" è stato pari a circa 653,4 miliardi di lire, suddiviso nel modo seguente (Terza Relazione, p. 55):
  • 1979: 60,3 miliardi di lire;
  • 1980: 163,7 miliardi di lire;
  • 1981: 429,4 miliardi di lire.
E' evidente come queste operazioni abbiamo raggiunto dimensioni ragguardevoli soprattutto nell'esercizio 1981, nel corso del quale hanno assunto un livello insostenibile anche per un'istituto di credito che vantava un'elevata raccolta tra le famiglie della ricca borghesia milanese e tra gli istituti e ordini religiosi.
Nella prima metà del 1982 l'emorragia causata dai depositi back to back ha certamente contribuito a determinare l'ennesima crisi di liquidità, portando il Banco al un punto di non ritorno.

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Nota:
Qui il commento di Carlo Calvi, figlio del Presidente e Amministratore Delegato di Banco Ambrosiano S.p.A., Roberto Calvi.



giovedì 20 settembre 2012

Avviso ai naviganti

Da questo mese inaugurerò un nuovo filone di discussione e di confronto che penso possa interessare i numerosi naviganti del blog.
Ho pensato ad una serie di contributi interamente dedicati alle vicende riguardanti il dissesto della più grande banca privata italiana: il Banco Ambrosiano S.p.A.

Già immagino molti amici sorridere... questo è il mio vecchio cavallo di battaglia!
D'altra parte è stata la palestra nella quale ho fatto le mie prime, timide, esperienze come forensic accountant.

Il materiale a mia disposizione è piuttosto ampio ed è costituito dagli atti giudiziari, dalle relazioni dei commissari liquidatori, dai rapporti redatti dall'organo di vigilanza, da documentazione privata prodotta dalla famiglia Calvi, da interviste e commenti da me raccolti tra i testimoni diretti della vicenda (magistrati, giornalisti, alti dirigenti del Banco, investigatori, consulenti tecnici ma anche medici legali e monsignori di curia).

Questa iniziativa non vuole essere l'ennesima ricostruzione storica basata sui documenti ufficiali, sugli articoli di giornale o sulla vastissima letteratura sull'argomento.
Sono pur sempre un fraud auditor... e pertanto mi riesce difficile sorvolare sugli aspetti tecnici. Sulle dinamiche e sugli obiettivi delle operazioni poste in essere. Sull'analisi dei punti di vista alternativi alla visione tradizionale, che tende ad attribuire ogni causa e responsabilità in capo a uno o più (pochi) soggetti.

Cercherò dunque di ricostruire i fatti dal punto di vista tecnico, entrando nel merito dell'operatività e puntando al confronto con chi ne sa più di me su quanto accaduto.
Se necessario, saranno pubblicati anche i documenti più scottanti.
L'impresa è ardua e, avviso tutti, non posso garantire un risultato soddisfacente.



Entro pochi giorni pubblicherò il primo post della serie, dedicato ai depositi "back to back" (http://fraudauditing.blogspot.it/2012/09/i-depositi-back-to-back.html).
Seguirà un autorevole commento inviatomi da un testimone diretto della vicenda.
Non voglio ora rivelarne l'identità, ma si tratta di un personaggio noto, che sta impiegando ancora oggi buona parte della sua vita professionale per contribuire alla ricostruzione dei fatti, soprattutto di quegli aspetti poco conosciuti e ancora avvolti nel mistero.
Colgo subito l'occasione per esprimergli la mia riconoscenza per la disponibilità che mi ha offerto e anche per gli apprezzamenti sui contenuti e sulle finalità di questo blog.

Sarò grato anche a chi vorrà aiutarmi in questa impresa inviandomi commenti, documentazione o ricostruzioni tecniche che, previa una necessaria valutazione dei contenuti, saró ben lieto di pubblicare.

I post sul tema saranno taggati "Banco Ambrosiano".


mercoledì 12 settembre 2012

Salami technique

E come dimenticare la più classica delle classiche tecniche di frode?

Seppur primitiva nella sua semplicità, sembra proprio che la famosa "tecnica del salame" non sia stata abbandonata dai truffatori moderni.
Anzi, è proprio grazie al progresso tecnologico che questo schema fraudolento ha ritrovato una nuova efficacia e diffusione.

Negli anni recenti, soprattutto in seguito a notissimi scandali bancari accaduti in Italia, la "salami technique" ha goduto di ampia popolarità tra gli addetti ai lavori e non solo, tanto da essere citata in vari articoli di cronaca e meritare specifici paragrafi nei manuali di forensic accounting.

La tecnica del salame è tanto elementare quanto dannosa!
Consiste nella sottrazione di piccole somme di denaro da un'enorme quantità di conti correnti.
Sottrazione che, nei casi più recenti, è avvenuta grazie all'utilizzo di procedure informatiche di tipo routinario applicate nottetempo sui sistemi gestionali aziendali.
Solitamente le vittime della frode non si accorgono degli addebiti o, nel caso, non se ne preoccupano considerandoli arrotondamenti, storni o commissioni bancarie.

Il fenomeno riguarda soprattutto il settore bancario e finanziario ma, a causa della crisi economica e della generale perdita di potere d'acquisto, si sta diffondendo anche nel settore della grande distribuzione.
La sottrazione di piccole ma costanti quantità di prodotto, infatti, può determinare enormi guadagni all'autore della frode (si pensi, per fare un esempio, al mercato alimentare, dell'abbigliamento, delle tecnologie di consumo ma anche a quello chimico-farmaceutico o dei prodotti combustibili). Ciò alimentando anche altri fenomeni endemici, quali il mercato nero e il mercato parallelo.

Attualmente, è bene precisarlo, esistono strumenti e procedure sia manuali che automatiche, idonee ad intercettare la salami technique nelle sue varie manifestazioni. Si tratta di sistemi che identificano i sintomi della frode (le "red flags") richiamando l'attenzione dei fraud auditor sulle operazioni segnalate come sospette.
Poi toccherà all'esperto determinare l'ampiezza del danno e proporre l'introduzione di ulteriori e più accurate procedure di controllo.


mercoledì 5 settembre 2012

Vendita fittizia di partecipazioni

a cura di Lorenzo Peluso*

Con il sostantivo frode s’intende una finalità che una società tende a perseguire tramite mezzi illeciti.
Parlando di frode bisogna sempre provvedere ad identificarne la direzione dell’intento e qualificarne il tipo ovvero, per dimostrare l’esistenza di una frode, occorre tener conto dell’obiettivo a cui la società vuole giungere.
La direzione societaria perseguita è, solitamente, identificabile in due macro classi:

  • frode perseguita da una società in bonis, che tende a celare gli utili e ad esaltare passività o perdite con il fine principale di perseguire minori distribuzioni di utili, di creare riserve occulte illegali, frodi fiscali o evasioni tributarie;
  • frode perseguita da una società in crisi la quale tende a gonfiare i profitti con lo scopo principale di comprimere e/o ridimensionare le perdite di esercizio.
In questa stesura menzioneremo, in via semplificata, esclusivamente le due macro classi identificate per forzosi problemi di spazio, che potrebbero dilungarsi in estesi e articolati volumi di trattazione.
Tuttavia è sempre bene precisare che il delitto fraudolento non richiede il raggiungimento del fine originariamente prefissato per esser considerato tale e non è da trascurare come sovente l’autore possa avere diversi fini da perseguire, ottenibili grazie a una sorta di ambivalenza dei mezzi illeciti utilizzati e utilizzabili. In effetti è facile imbattersi in situazioni in cui esiste una sottrazione di base imponibile al fisco (con l’artificiosa riduzione dei profitti) e, contemporaneamente, si nasconde l’insolvenza di una società collegata, magari omettendo la svalutazione di un credito o la relativa partecipazione, proprio per celare le fragilità del gruppo.

Consideriamo la tipologia di frode forse più frequente nelle aule dei tribunali: quella compiuta da una società in crisi. Si tratta di un’ipotetica società che, pur avendo in grossa parte eliso il proprio capitale e le garanzie per i creditori, cerca di mantenere inalterate, o addirittura espandere, linee di credito già acquisite e, inoltre, cerca di offrire al pubblico un’immagine artefatta in senso positivo, con lo scopo di rendere meno deficitaria la reale situazione patrimoniale e redditizia. La frequenza delle casistiche giudiziali di questa macro categoria è semplicemente identificabile nel fatto che un’insolvenza mascherata spesso conduce al fallimento.
Curioso è che meno scalpore venga destato dalla creazione di riserve occulte da parte di società in bonis (molto più frequenti di quelle commesse da società in crisi), così come appare ugualmente curioso che le società in crisi siano spesso più propense al mascheramento di perdite, evidenziando gli artificiosi utili al punto che preferiscono pagare imposte, altrimenti non dovute, pur di non mostrare la vera perdita al grande pubblico.

Proviamo a descrivere ora una politica di “annacquamento” del capitale, che rientra nella macrocategoria delle transazioni fittizie di vendita, che sovente vengono architettate da società in crisi per celare situazioni potenzialmente catastrofiche.

Al riguardo consideriamo il caso della vendita fittizia di partecipazioni.
Supponiamo che in un dato esercizio per la Società Prima si profili una perdita di 1.500 e immaginiamo la seguente situazione patrimoniale: capitale sociale pari a 150, riserve statutarie pari a 50 e la riserva legale pari a 20.
Una siffatta situazione delinea una perdita superiore al capitale netto della Società Prima che determinerebbe una immediata riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti legalmente ammessi e, addirittura, la necessità di effettuare ulteriori versamenti da parte dei soci.
Le conseguenze delineate sono devastanti: un probabile scioglimento e, dato il presumibile stato d’insolvenza, anche il rischio di essere assoggettati a procedure concorsuali.
L’amministratore delegato quindi, al fine di tamponare la situazione, prende illeciti accordi con la Società Seconda (correlata) e, pochi giorni prima della chiusura dell’esercizio, vende una partecipazione iscritta in bilancio a 1.000 (magari creata ad hoc in corso d’anno per tamponare esigenze similari) per il concordato prezzo di 2.600, realizzando una plusvalenza di 1.600.
La plusvalenza consente di ottenere un artificioso risultato positivo, utile a evitare procedure concorsuali, a discapito dell’interesse di creditori sociali e degli investitori.
Nell’esercizio successivo, la Società Seconda rivende la partecipazione alla Società Prima a un prezzo medesimo a quello di acquisto, non determinando, in tal modo, alcun effetto diretto sul conto economico.
L’effetto conseguente sarà solo un incremento delle immobilizzazioni finanziarie o delle attività finanziarie non immobilizzate, a seconda della natura durevole della partecipazione oggetto di questo fantasioso giro.
Uno schema similare è identificabile, oltre che con un idoneo esame della transazione specifica, attraverso l’attenta analisi dei ratio e della capacità di generare reddito da parte del gruppo.

Schema della frode
(click sull'immagine per ingrandire)

lunedì 27 agosto 2012

Scritture contabili: valenza probatoria

Un aspetto importante nella ricostruzione di un evento fraudolento riguarda la sua descrizione dal punto di vista contabile.
Naturalmente ciò è possibile per quegli illeciti classificati dalla letteratura come frodi interne on the book, cioè dimostrabili anche mediante l’analisi dei libri contabili, quali il libro giornale e il libro degli inventari. Sempre che, questi ultimi, non siano stati manipolati, occultati o distrutti.

Si immagini, per fare un esempio, che gli archivi cartacei ed informatici di un'azienda siano andati completamente distrutti a causa di un devastante incendio; evento, caso vuole, accaduto in concomitanza con la scoperta di una rilevante transazione finanziaria avvenuta con una controparte correlata occulta a condizioni fuori mercato. Si immagini ancora che le scritture contabili di quell'azienda si siano conservate in quanto tenute da un professionista esterno indipendente.

Nell'esempio proposto, sarebbe possibile dimostrare la frode ricorrendo esclusivamente all'analisi delle scritture contabili? E quali sarebbero le valenze probatorie di una relazione tecnica le cui risultanze poggiassero sulle sole evidenze contabili?

La risposta a quest'ultima domanda va ricercata nel Codice Civile.
Ai sensi dell’art. 2216, il libro giornale, ancorché tenuto attraverso strumenti informatici (art. 2215-bis), deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell’impresa, mentre l’art. 2709 ne stabilisce la valenza probatoria prevedendo che le scritture contabili facciano piena prova contro l’imprenditore rispetto a quanto da esse rappresentato.

L’efficacia della prova contabile è assicurata dalle modalità altamente regolamentate della sua tenuta che, salvo casi particolari, seppur frequenti da osservare e che meriterebbero una trattazione a parte, ne garantiscono la completezza, l’accuratezza, la pertinenza ai fatti aziendali e la riconciliazione con la documentazione di supporto.
La contabilità, inoltre, è generalmente gestita attraverso sistemi informatici che non permettono modifiche successive alle registrazioni effettuate se non mediante apposite scritture di rettifica, rendendo indelebile, in tal modo, la volontà di emendare rilevazioni pregresse, magari con il fine di occultare un comportamento illecito.
Pertanto, in presenza di alcune condizioni, è certamente possibile ricostruire un fatto fraudolento ricorrendo esclusivamente all'analisi delle scritture contabili.

Dal punto di vista operativo, la sola indagine contabile implica l'analisi del più ampio set informativo disponibile al forensic accountant, costituito da: prime note, bilanci di verifica, schede contabili, partitari clienti e fornitori, anagrafica delle controparti, piano dei conti, piani di ammortamento, rendiconto finanziario, eccetera.

Inoltre, se l'unica possibilità d'indagine è l'analisi dell'elemento contabile, la ricostruzione della frode implica l'adozione della più classica delle procedure di forensic accounting, quella basata sul “metodo dell’analisi integrale dei dati" .
Infatti nel caso specifico, lo svolgimento di verifiche basate sul campionamento statistico o sui metodi di selezione temporale non garantirebbero un risultato privo di approssimazioni e quindi contestabile dalla parte, se non addirittura inutilizzabile dal punto di vista probatorio.

Per gli approfondimenti sul concetto di documento come mezzo di prova, si veda anche il post pubblicato al seguente indirizzo:
http://fraudauditing.blogspot.it/2012/07/il-documento-come-mezzo-di-prova.html



venerdì 10 agosto 2012

Rischio operativo: chi l’ha visto?

C’è, ma non si vede.
E’ difficile da misurare.
Deve essere gestito costantemente.
Può causare enormi perdite economiche e reputazionali.
E’ il più citato tra i rischi aziendali. 
Riguarda la gestione economica e finanziaria.
Di cosa si parla?

Si sta parlando del rischio operativo.

Molti dei lettori a questo punto avranno già deciso di chiudere la pagina del blog e di lasciar perdere.
Argomento noioso e per certi versi fumoso, poco adattabile alle necessità di leggerezza e sinteticità di un post. Argomento fin troppo impegnativo.

Con rischio operativo (Operational Risk) s’intende il pericolo di subire perdite di valore dovute a danni causati da: carenze dei processi interni, comportamenti inadeguati del personale, inefficienze dei sistemi gestionali oppure da eventi esterni.
E’ bene ricordare che questa non è l’unica definizione di rischio operativo in circolazione.
Altre si concentrano su aspetti tecnologici e di processo, alcune si soffermano sulle conseguenze reputazionali, altre ancora sui rischi legali o ancora altre danno enfasi ai criteri di monitoraggio e misurazione dei risultati aziendali.
Insomma, queste differenti visioni definitorie evidenziano che l'argomento non ha contorni chiari e che molte sono le idee su come approcciare la materia, come molti sono i rimedi e le soluzioni proposte per mitigarne la virulenza.
E pensare che il termine "operativo" non dovrebbe lasciare adito ad incertezze sulla sua natura. Si tratta di un rischio "in essere", "concreto" ed "attivo".

Essendo la mia visione ormai drammaticamente monocentrica, per me il rischio di frode rappresenta la componente di maggiore impatto tra i rischi operativi.
Osservo infatti che un'azienda può sicuramente arrivare al fallimento a causa di un'azione fraudolenta (lo dimostrano i numerosi casi che si sono verificati in passato e che ho potuto osservare in prima persona), ma più difficilmente rischierebbe di fallire in seguito ad altre tipologie di rischio operativo, quali le interruzioni delle attivitá procurate da disfunzioni nei sistemi informativi aziendali o a causa delle perdite derivanti dalle inefficienze dei processi di archiviazione delle fatture.

Il rischio di frode è da classificare tra i rischi operativi in quanto:
1) Il rischio di frode non è elemento evitabile;
2) Il rischio di frode riguarda tutti i settori economici;
3) Il rischio di frode origina da eventi aziendali (frode interna) o da minacce ambientali (frode esterna), in combinazione tra di loro;
4) Il rischio di frode è collegato a comportamenti umani intenzionali;
5) Il rischio di frode può essere valutato e mitigato.

Fissati questi cinque pilastri, è possibile definire procedure operative di prevenzione, di controllo o di deterrenza, introdurre particolari protocolli di fraud auditing all’interno delle due-diligence, degli audit (anche in occasione delle revisioni contabili) o delle perizie di valutazione; migliorare lo screening del personale in entrata o la definizione degli avanzamenti di carriera.


mercoledì 1 agosto 2012

Forensic Due Diligence: uno strumento di approfondimento nelle operazioni di M&A

Ripropongo l'articolo di Simone Migliorini in tema di "forensic due-diligence".

Il contributo è stato pubblicato l'11 luglio scorso da legalcommunity.it (http://www.legalcommunity.it/forensic-due-diligence-uno-strumento-di-approfondimento-nelle-operazioni-di-ma).
Ringrazio l'ottimo Aldo Scaringella, ideatore e fondatore del sito, per avere dapprima pubblicato il contributo e poi autorizzato il sottoscritto a riportarne integralmente il testo sul blog.


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Forensic Due Diligence: uno strumento di approfondimento nelle operazioni di M&A

Attualmente nelle operazioni di fusione e acquisizione gli strumenti ai quali si ricorre per analizzare, ed eventualmente evidenziare, le criticità di una potenziale acquisenda sono rappresentati dalle seguenti attività di verifica:

1. due diligence contabile e fiscale;
2. due diligence legale.

I due strumenti sopra menzionati rappresentano attività di analisi volte a fornire una panoramica di breve/medio periodo degli aspetti maggiormente critici di una società, sia in ambito amministrativo-contabile che in ambito legale. Senza soffermarsi sugli elementi peculiari di una due diligence contabile, occorre tuttavia osservare che in alcuni recenti casi di acquisizione le attività di analisi condotte non sono state sufficienti ad evidenziare le effettive problematiche presenti all’interno del bilancio di una società. Basti pensare che in alcune situazioni il management e la proprietà della società acquisita hanno occultato alcune irregolarità nelle posizioni contabili della società; si porta ad esempio la sovrastima del valore di magazzino o la cessione di una partecipazione a prezzi irrisori a soggetti solo formalmente terzi. A parere di chi scrive alla due diligence contabile occorre affiancare un altro strumento, consistente nella forensic due diligence, idoneo ad approfondire le criticità emerse dalla due diligence contabile. Infatti, se da un lato la due diligence contabile fornisce una panoramica a 360 gradi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria la forensic due diligence, andando mirata su determinate poste individuate come sensibili, consente di fornire una visione verticale di uno specifico ambito di bilancio. In particolare una forensic due diligence consente di effettuare un’analisi maggiormente approfondita delle key issue emerse dalla due diligence contabile e, scavando in profondità (soprattutto negli anni meno recenti) consente di comprendere, ed eventualmente far emergere, fenomeni che non si sono verificati esclusivamente negli ultimi anni ma che sono stati generati dallo stratificarsi degli accadimenti contabili lungo tutto l’arco di vita della società. Riprendendo gli esempi precedentemente proposti nel caso di un magazzino sovrastimato, una forensic due diligence consentirebbe di evidenziare la presenza fra le giacenze di prodotti che nella realtà non sono nella disponibilità della società. L’attività consentirebbe altresì di evidenziare anche eventuali fenomeni di obsolescenza o stratificazione; fenomeni che, giova ribadire, nella maggioranza dei casi si generano in un arco temporale molto ampio e non esclusivamente negli ultimi due o tre esercizi di attività. Ulteriormente, per quanto concerne l’esempio delle partecipazioni, l’attività di verifica potrebbe permettere di evidenziare operazioni specifiche che, seppure concluse, e quindi non più rilevanti ai fini dell’operazione di acquisizione, potrebbero dimostrarsi a danno della società e, pertanto, a danno della potenziale acquirente; basti pensare ad una operazione di cessione di una partecipazione ad una parte correlata intervenuta un anno prima dell’operazione di acquisizione. In questo caso, ai fini dell’operazione di acquisizione, il valore della partecipazione non rientra fra i valori patrimoniali della società e quindi potrebbe non essere oggetto di valutazione specifica; nella realtà, invece, il problema potrebbe risiedere proprio nel fatto che tale valore non rientra fra gli attivi patrimoniali. Da ultimo si vorrebbe porre l’attenzione del lettore su due ulteriori aspetti; in particolare quando effettuare una forensic due diligence e a chi commissionarla. A parere di chi scrive una forensic due diligence dovrebbe essere effettuata in una fase successiva alla due diligence contabile e fiscale. Qualora fossero previsti, nell’ambito dell’accordo di cessione, meccanismi di adeguamento del prezzo o di definizione di parti variabili del prezzo, il momento ideale per effettuare una forensic due diligence, sarebbe fra la data di acquisizione e quella di successiva ridefinizione del prezzo e, quindi, in un momento in cui tutte le informazioni contabili della società acquisita entrano nella disponibilità della società acquisenda. Infine, con riferimento a chi affidare una forensic due diligence, si osserva che se nel campo delle due diligence contabili esistono specialisti a ciò dedicati, basti pensare ai professionisti appartenenti ai dipartimenti di transaction services delle società di revisione, anche nel campo delle forensic due diligence esistono particolari categorie di esperiti, rappresentati dai “fraud auditors” che, grazie all’esperienza maturata e a competenze multidisciplinari specifiche (in materia giuridica, economico-finanziaria, investigativa e di computer forensic), posseggono le competenze necessarie ad analizzare con senso critico le operazioni giudicate sensibili ovvero ad individuare le singole poste di bilancio meritevoli di approfondimento.

Simone Migliorini*
(Forensic accountant)



* Ho conosciuto Simone negli anni trascorsi presso il Forensic Department di KPMG, apprezzandone le capacità professionali. Dopo un'esperienza passata presso un'altra big4, sempre operando nel dipartimento forensic, Simone da qualche tempo è tornato a lavorare con me occupandosi di procedure concorsuali e fraud auditing.
Gli scenari e le tecniche dell'illecito cambiano costantemente, così come i luoghi di lavoro presso i quali si opera, ma la passione per questa professione rimane costante ed inalterata.


domenica 15 luglio 2012

L'Attività di forensic accounting

Un caro amico, ex collega dei tempi in cui lavoravo come fraud auditor nel mitico Forensic Department di KPMG, mi ha invitato a visitare il sito di AIEA.

Si tratta dell'Associazione Italiana Information Systems Auditors, senza fini di lucro, costituita nel dicembre 1979 con lo scopo di promuovere l'approfondimento dei problemi connessi al controllo del processo di elaborazione automatica dei dati e di favorire lo sviluppo di metodologie, di standard e di tecniche nella loro realtà applicativa. 

Il 4 ottobre 2006 fui invitato presso la sede romana dell'associazione per parlare dell'attività di forensic accounting, con un focus specifico sulla "computer forensics".

Di seguito la presentazione che feci ai presenti:


mercoledì 11 luglio 2012

Nuova linfa. E' il momento della condivisione del progetto

9 mesi di vita del blog e siamo alla vigilia dei 10.000 accessi.
Un buon traguardo coronato da una gradita novità.

Proprio oggi un collega fraud auditor ha scelto di condividere con me e con tutti i lettori del blog le sue memorie, le sue opinioni, le sue esperienze, la sua tecnica.
Si tratta di un professionista che da anni esercita l'attività di forensic accountant presso una "big 4", ricoprendo una posizione di responsabilità.

Un patito della lotta alle frodi aziendali, cresciuto professionalmente leggendo le cronache che riguardano le epiche bancarotte fraudolente degli anni '70 e '80 sino a quelle più attuali e più sofisticate, sporcandosi le mani nell'analisi di montagne di carta polverosa al fine di ricostruire e dimostrare operazioni illecite.

Stiamo parlando di un personaggio leggendario, che ha, ne sono certo, la poesia "Se" di Kipling e il poster di Giorgio Ambrosoli appesi in camera (...io ce li ho davvero!)

Ebbene, come raccontavo, questo autorevole professionista, proprio oggi, mi ha inviato alcuni scritti inediti da condividere con tutti voi.
Ho apprezzato il gesto e gli sono grato.

Naturalmente l'invito a condividere esperienze, opinioni, conoscenze, aneddoti, punti di vista è esteso a quanti vogliono darmi una mano in questa missione.
Si tenga solo presente che gli scritti non devono fare riferimenti specifici a persone, cose, istituzioni, aziende, partiti politici e a fatti riconoscibili.
Altrimenti posso incorrere, anzi concorrere, in reati quali la diffamazione a mezzo blog.
Questo rischio lo vorrei proprio evitare... (per ora).