Negli anni scorsi abbiamo già trattato dei rapporti tra
Michele Sindona e
Roberto Calvi.
Lo abbiamo fatto lasciando la parola a
Carlo Calvi, figlio del Presidente del Banco Ambrosiano, che ha sempre assicurato ampia disponibilità all'amministratore del blog "
Fraud Auditing & Forensic Accounting" ai fini della ricostruzione e analisi di parecchie operazioni, anche sotto il profilo tecnico (per gli articoli sui rapporti tra Calvi e Sindona cliccare sul
link).
Molto diverso, invece, fu il legame tra
Enrico Cuccia e
Michele Sindona. Un rapporto difficile, che contrappose i due banchieri in molte operazioni.
Siamo negli anni '60 - '70, sullo sfondo una Loggia massonica deviata, la P2, lo scontro tra la cosiddetta "
finanzia cattolica" rappresentata da Michele Sindona, Roberto Calvi e mons. Paul Marcinkus e la "
finanza laica" rappresentata da Raffaele Mattioli e Enrico Cuccia, il terrorismo di matrice marxista-leninista si stava organizzando.
Cuccia e Sindona, forse per una sorta di gelosia tra siciliani, si erano ignorati a lungo, fino a metà degli anni '50 quando iniziarono le prime scaramucce, quali le nomine nel Cda della SNIA Viscosa, la vicenda dei bilanci falsi della Compagnia Tedesca Industrie Petroli (CTIP), l'operazione McNeill & Libby con il coinvolgimento della "
finanza ebraica" americana; tutte vicende delle quali il blog prima o poi si occuperà.
Lo spazio in cui i due banchieri si muovono è piccolo, anche dal punto di vista topografico. Cuccia, in via Filodrammatici (oggi la piazzetta porta il suo nome) e Sindona in via Turati, a Milano agiscono con metodi diversi nello stile ma con un uguale meccanismo, basato sulle acquisizioni, le vendite, le speculazioni, il sostegno all'imprenditoria italiana, la costante ricerca di "sponde" straniere con le quali portare a termine le varie transazioni.
Il primo vero terreno di scontro avvene in seguito al tentativo di assalto di Sindona alla Italcementi di Carlo Pesenti e alla Bastogi.
Correva l'anno 1967, Cuccia riuscì a sottrarre il Gruppo Pesenti all'area sindoniana, assicurandogli i finanziamenti necessari per ripianare i debiti e riacquisire il controllo dell'Italcementi.
Uno smacco per il banchiere cattolico, con studi classici dai Gesuiti, che si vide scippare un alleato, altro fervente credente, Carlo Pesenti, che migrò, con il beneplacito della Banca d'Italia di Guido Carlo, nel terreno avversario.
Persa la battaglia sull'Italcementi, Sindona si concentrò anima e corpo sulla Bastogi, la "gallina dalle uova d'oro" del capitalismo italiano.
Con alcune operazioni spudorate, già oggetto di ampio approfondimento da parte di questo blog, Sindona rastrellò il 22% delle azioni Bastogi (a tal proposito si ricorda il ruolo di "facilitatore" dell'operazione di
John McCaffery, che passò dal servizio segreto di Sua Maestà alle banche, divenendo padrino dell’intesa con il banchiere inglese Jocelyn Hambro. Si legga il post
Un disegno politico perseguito da Cefis).
Il sistema si schierò unito contro l'OPA lanciata da Sindona su Bastogi.
Carli convocò Hambro e a muso duro lo informò che non erano ammesse presenze straniere nel cuore della finanza italiana (evidentemente Lazard in Mediobanca non era considerata "presenza straniera"), Banco di Sicilia, Banco di Napoli e Monte dei Paschi furono invitate a fare la loro parte per fermare l'operazione, il Governo di Emilio Colombo espresse la sua contrarietà.
L'OPA, lanciata il 13 settembre 1971, inizialmente oggetto di vastissima adesione, naufragò in soli quattro giorni.
Il registra del boicottaggio fu Enrico Cuccia, che chiamò in aiuto il più grande banchiere d'affari dell'epoca, l'americano Andrè Meyer.
L'operazione si arenò definitivamente in seguito all'autorizzazione, concessa dopo una drammatica riunione del Consiglio dei Ministri, alla fusione tra Bastogi e Italpi che ebbe come conseguenza diretta l'annacquamento delle azioni detenute da Sindona.
Quest'ultimo non poté far altro che riconoscere la sconfitta, lasciò Milano per Ginevra sistemandosi con la famiglia nel palazzo di una sua banca, la Finabank.
(cliccare sull'immagine per ingrandire)
Seguirono anni bui per la struttura finanziaria gestita da Michele Sindona. Una dopo l'altra crollarono le sue banche e le sue società finanziarie. Dovette svendere partecipazioni e proprietà immobiliari.
Nell'estate 1974 quando lo stato di insolvenza del gruppo Sindona divenne irreversibile, andò in scena l'ultimo atto dello scontro con Enrico Cuccia.
Le cronache dell'epoca riportarono gli avvenimenti.
L'evento si consumò presso il "
Club 44", un ristorante di una vietta nei pressi di Piazza San Babila a Milano (in via Cino del Duca). E' al venerdì che il ristorante si trasforma in un ring gastronomico nel quale le due fazioni appartenenti alla finanza laica e cattolica si osservano, si misurano, si provocano, sedute allo stesso tavolo.
Solitamente il venerdì sono presenti al "solito tavolo" Michele Sindona, Enrico Cuccia, Eugenio Cefis e i suoi più stretti collaboratori Giorgio Corsi e Massimiliano Gritti, nonché vari altri carichi da novanta della finanza milanese, quindi della finanza italiana, europea e mondiale.
Finché un venerdì di quella calda estate del '74 al tavolo si trovò solo Sindona. Pochi minuti prima, in Mediobanca, Cuccia disse a Cefis che si era "
stancato di sedersi con il diavolo".
Siamo davvero all'epilogo.
Sindona ha bisogno di 160 miliardi di lire per ricapitalizzare la Finambro e provare a salvare il suo gruppo, ormai sull'orlo del precipizio.
Ancora una volta Sindona e Cuccia si trovarono su barricate opposte.
Dalla parte di Sindona: Giulio Andreotti, Anna Bonomi Bolchini (la "signora della finanza italiana"), l'appartenente alla P2 Gaetano Stammati (COMIT). Cuccia poté contare ancora una volta su Andrè Meyer e sul Ministro del Tesoro, Ugo La Malfa, al quale chiese di impedire d'autorità l'operazione.
Fu così che Ugo La Malfa convinse il Governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, ad intervenire bloccando l'aumento di capitale.
Sindona, sconfitto dalla strategia di Cuccia, riparò negli Stati Uniti. Il banchiere di Patti iniziò a considerare il suo rivale come il "
peggiore suo nemico e maggiore responsabile della sua rovina".
A partire dal 1977 iniziarono ad arrivare presso la residenza del padrone di Mediobanca, minacce mafiose anche rivolte ai figli. Cuccia fu informato che un tale Gigi Cavallo, latitante in Francia, fu incaricato di rapire i suoi figli.
Molti avvenimenti di quell'epoca, nonostante l'ampissima mole di atti giudiziari archiviati presso il Palazzo di Giustizia di Milano e parecchie indagini, rimangono tuttora avvolti nella nebbia. Come per l'incidente aereo accaduto a Enrico Mattei o per l'
omicidio di Roberto Calvi (di cui questo blog ha ampiamente parlato).
Resta solo una considerazione, riportata da Giancarlo Galli ne
Il Padrone dei Padroni:
"
il destino ha sempre assegnato ai "grandi nemici" di Enrico Cuccia una tragica uscita dalla scena di questo mondo".