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martedì 13 novembre 2012

Frodi immobiliari: le vendite a prezzi inferiori


Esiste un unico punto fermo da cui si dipanano le indagini: la frode non deriva solo da un errore o da semplice negligenza, piuttosto è frutto di insistenti tentativi mirati a ottenere illecitamente un profitto.
E non sempre i vantaggi traibili da un’operazione sono evidenti agli occhi della maggioranza. 

Un esempio a conferma di quest’affermazione è lo schema de “Le vendite di immobili a prezzi inferiori”.

La vendita di un immobile a prezzi inferiori rispetto al normale andamento del mercato è solitamente associato ad un pessimo affare da parte di un inesperto venditore.
Come sovente accade, però, non bisogna farsi ingannare dall'apparenza, quello che a prima vista è un pessimo affare può celare reati come la frode fiscale o la creazione di fondi neri destinati a svariate attività illecite.

Ma come funziona?

Lo schema classico si basa nell'interporre nella transazione di compravendita immobiliare un intermediario di fiducia avente lo scopo unico di rivendere l’immobile ad un prezzo superiore rispetto quello di acquisto, destinando l’artificioso utile a fondi neri.

Per comprendere meglio, diamo un valore esemplificativo e una rappresentazione grafica alle transazioni:

(click per ingrandire)

  1. la società PRIMA vende un immobile avente valore di mercato pari a 100 ad un prezzo di 50 (inferiore al valore corrente) alla società SECONDA, intermediario fidato e compiacente, residente spesso in uno “paradiso fiscale”;
  2. la società SECONDA vende a sua volta l’immobile appena acquistato alla società TERZA stabilita in un altro Stato, che può anche essere lo stesso di PRIMA. Generalmente quest’ultima transazione avviene al corretto prezzo di mercato, se non addirittura superiore allo stesso. Nel nostro esempio supponiamo che il prezzo della seconda vendita sia stato di 110; 
  3. la società SECONDA incassa 110 con utile artificioso di 60, che normalmente trattiene in piccola parte come compenso per la prestazione di interposizione (10 nel nostro esempio), destinando la parte restante ad un conto cifrato o alla creazione di un fondo nero, che PRIMA può utilizzare per i suoi scopi illeciti.
Non è tutto: SECONDA, per celare maggiormente l’operazione, può versare i 50 riportati nell'esempio a un’altra Società, magari residente in un “paradiso fiscale” qualora la stessa SECONDA non lo sia, a fronte di servizi di consulenza fittizi.
Tale Società, a sua volta, provvede a generare dei fondi occulti a disposizione di PRIMA, ben lontano dagli occhi indiscreti delle autorità finanziarie: il gioco è fatto e i giocatori raggirati.
L’esempio sopra riportato evidenzia come un apparente “cattivo affare” possa in realtà celare un intento illecito.

Se si vuole vestire l’esempio di cronaca, con tanto di dati concreti e di accadimenti reali, è sufficiente pensare al sistema delle tangenti, che negli ultimi anni si è appoggiato tantissimo a questo collaudato schema.
Infatti, a prescindere dalla facilità di ricostruzione dell’operazione, con una semplice misura immobiliare il venditore potrebbe agilmente giustificarsi con l’aver portato a termine un “cattivo affare”, peraltro asseverato da un regolare rogito notarile.


giovedì 8 novembre 2012

L'ITALIA DEI CRACK di Mara Monti

Sulla mensola del fraud auditor proprio non può mancare "L'Italia dei crack" di Mara Monti.

288 pagine che ricostruiscono con sapiente capacità, degna di un vero fraud auditor, la cronaca giudiziaria e non solo, degli scandali economico-finanziari accaduti in Italia in tempi recenti.
E' un lavoro giornalistico-investigativo di raffinata abilità che abbina le indubbie doti letterarie alle vaste conoscenze tecniche, indispensabili per entrare nel merito in modo chiaro e comprensibile di fatti e misfatti intricati e misteriosi.

Il libro di Mara Monti parla di argomenti cari a noi fraud auditor, cioè di paradisi fiscali, di operazioni irregolari, di frodi ai danni dei risparmiatori, di bilanci truccati, degli stratagemmi della finanza criminale per tirare avanti nonostante le voragini enormi nei conti aziendali.

E' un resoconto puntuale e raffinato snodato nei 14 capitoli, fitti di ricostruzioni e particolari di vicende legate a famiglie e personalità molto note e potenti, quali i Cragnotti, i Tanzi, i Fazio e i Geronzi. 

Probabilmente non è stato facile per una giornalista del Sole 24 Ore scrivere in modo obiettivo e senza sconti, di tresche ripugnanti che coinvolgono potentati che godevano di ampi e consolidati legami e influenze.
E, da fraud auditor, non posso che ammirarne il coraggio e l'audacia.

Per tutti questi motivi suggerisco di leggere "L'Italia dei crack" (Newton Compton Editori) di Mara Monti.



(click per ingrandire)


Mara Monti è giornalista a Il Sole 24 Ore dove lavora alla redazione finanza.
Da 10 anni al quotidiano economico e finanziario si è specializzata in giudiziaria seguendo le principali indagini sugli scandali del mondo bancario e industriale.
Ha seguito i casi Parmalat, Cirio, Bond Argentini, Italease, Giacomelli, Telecom per le vicende dei dossier illegali, Finmeccanica.
Dallo scoppio della crisi finanziaria del 2007, la peggiore dagli anni della Grande Depressione del 1929, si occupa di vicende internazionali fino al crack Lehman Brothers e negli ultimi anni ha seguito la crisi del debito sovrano in Europa e in Italia.

Ha scritto il libro “L’Italia dei crack” ed è coautrice di “Gialli finanziari, otto casi italiani e internazionali” (Cairo Editore). Ha inoltre firmato pubblicazioni per Il Sole 24 Ore. 

Prima de Il Sole 24 Ore, Monti ha lavorato a Radio 24 e come chief editor all’agenzia internazionale Dow Jones Telerate del gruppo editoriale che pubblica il Wall Street Journal.
Alla fine degli anni '90 si è occupata della crisi dei paesi emergenti lavorando alcuni mesi alla redazione di Singapore della Dow Jones Newswire. 

Laureata in Economia all’Università di Bologna con una tesi sul commercio internazionale parte di una ricerca del CNR (Centro nazionale per le ricerche), Monti ha un master in Relazioni Internazionali alla London School of Economics di Londra.


Per chi fosse interessato all'acquisto on-line: L'Italia dei crack.



domenica 4 novembre 2012

Banco Ambrosiano Holding S.A. (commento di Carlo Calvi)

Ancora una volta ho approfittato della gentile disponibilità di Carlo Calvi per sottoporgli alcuni quesiti riguardanti i rapporti tra il Gruppo Banco Ambrosiano e il Gruppo ENI sul finire degli anni '70, descritti sinteticamente nel post Banco Ambrosiano Holding S.A. (Luxembourg).

Vista la sua assoluta conoscenza degli avvenimenti, ho richiesto innanzitutto una valutazione generale sull'argomento e, in particolare, di esporre il suo personale punto di vista sulle reali finalità delle operazioni descritte nel mio post.

Soprattutto mi interessava chiarire un aspetto poco conosciuto riguardante la presunta proposta di Florio Fiorini di trasformare l'esposizione del Gruppo ENI verso le consociate estere del Banco Ambrosiano, in pacchetti azionari (da non dimenticare che ENI era all'epoca un'azienda di Stato costituita ai sensi della Legge 136/53, mentre il Banco Ambrosiano era la più importante banca privata italiana). Pare che il suggerimento costò il posto a Fiorini.

Ho quindi ricevuto dal dott. Calvi il seguente commento, che pubblico integralmente.

Lo scritto contiene alcuni riferimenti molto interessanti che mi piacerebbe approfondire.
Parlo del biglietto da visita ritrovato a Londra quel giovedì 17 giugno 1982 e delle memorie originali lasciate da Roberto Calvi.
Non mi resta che ritornare sulla vicenda.



 *   *   *

commento di Carlo Calvi

Nel post "Banco Ambrosiano Holding S.A. (Luxembourg)" viene opportunamente evidenziato il ruolo cruciale svolto da Banco Ambrosiano Holdings (BAH) nel controllo e finanziamento delle entità estere del Banco Ambrosiano (BASPA). Si è notato che l'effettiva gestione operativa originava da Milano.

Mio padre era affiancato dai tre dirigenti dell'estero, Filippo Leoni, Giacomo Botta e Carlo Costa che curavano l'esecuzione pratica. Alcune di queste entità avevano modificato il loro nome sociale in "Ambrosiano" rinforzando questa realtà, su cui non potevano non aver fatto affidamento le banche creditrici estere.

Il già esistente Concordato di Basilea affermava l'esigenza dell'applicazione della prassi contabile dei bilanci consolidati di gruppo. Si auspicava la responsabilità primaria dell'organismo di vigilanza del paese della banca madre. Si anticipa qui lo stesso impaccio istituzionale che incontreremo più oltre parlando dell'intervento nel 1978 di ENI e BNL. La Banca d'Italia, allora unico organismo indipendente e professionale, doveva contendere con il ruolo preponderante svolto dai vari gruppi di interesse economico pubblico o privato.

La Tabella proposta illustrante i principali finanziatori BAH dal 1978 al 1982 rappresenta molto bene l'ambiguità prodotta da questo conflitto: il ruolo di contrasto alla vigilanza svolto dalle due società di stato, ENI e BNL.
Le banche estere a cui si chiese di partecipare all'approvvigionamento di BAH e che insistettero per garanzie esplicite da parte di BASPA si risparmiarono lunghi negoziati per arrivare a concludere delle transazioni.

Gli esempi e le motivazioni di chi non fu cosi prudente e che vengono citati nel post, sono di impressionante incisività. Al Saudi Banque e AP Bank intervennero su intervento diretto del finanziere Peter De Savary.
De Savary aveva più di uno scopo. La fusione della sua banca Artoc con BAOL era avversata da Banca d'Italia e lui voleva assicurarne la riuscita. Robert Bease, responsabile di Artoc a Nassau doveva prendere il posto di Pierre Siegenthaler, ormai testimone scomodo.

Si sa che mio padre aveva su di sé, al momento del ritrovamento del cadavere, il biglietto da visita di Colin McFadyean, dello studio Slaughter&May, avvocato di Ellsworth Donnell, dirigente Artoc a Londra, e che la polizia cercò di occultarlo.
Artoc finì per essere perseguita da BASPA nei tribunali di New York proprio nei postumi dei famigerati "back to back".

Mi si chiede di situare nella mia esperienza i finanziamenti ENI a consociate offshore del Banco Ambrosiano e in particolare di spiegare l'intervento in extremis di Florio Fiorini, che propose di trasformare questa esposizione in pacchetti azionari di controllo delle consociate estere di BASPA.
Fiorini ha dato una spiegazione del tutto contingente e asettica.

I paesi produttori di petrolio apprezzavano la possibilità di piazzare ingenti disponibilità in istituzioni finanziarie offshore ENI. ENI a sua volta cercava di ottenere i più alti rendimenti per queste rilevanti liquidità.
Questa spiegazione non é convincente.

Nel periodo precedente al 1978, i rapporti tra Banco Ambrosiano e Banca d'Italia ai fini di ottenere le necessarie autorizzazioni di effettuare depositi di banche italiane con entità offshore, erano condotte dal Dott. Guglielmo Zoffoli, già funzionario di Banca d'Italia.
Ai margini di tali rapporti mio padre, preoccupato di temporeggiare su fusioni o acquisizioni di cui BASPA sarebbe inevitabilmente stato oggetto, intratteneva rapporti con altri gruppi economici e politici che condividevano l'obiettivo espresso di aggirare le restrizioni della Banca d’Italia.

E' quanto si evince da quel tanto di documentazione da lui lasciato a Bahamas.
Mio padre lasciò memorie originali del Dott. Filippo Leoni, che illustravano l'integrazione dell'intervento ENI non solo nella operatività delle consociate del BASPA ufficiali ma anche di quelle occulte.
Io stesso le consegnai ai Dott. Antonio Pizzi e Renato Brichetti già giudici istruttori del processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano a Milano. Ne confermai la provenienza all'allora capitano Pietro De Luca e al maresciallo Francesco Carluccio durante una loro visita a Nassau, come da verbali della Guardia di Finanza.
Le memorie suggeriscono un partenariato di ENI nelle entità offshore di BASPA.

Pierre Siegenthaler, dirigente locale di BAOL a Nassau, era membro del consiglio di Tradinvest del gruppo ENI. Nel corso della operazione nota come Petromin, che fu oggetto di indagine da parte di una Commissione Parlamentare così come dalla Magistratura, ai margini di contratti petroliferi si costituì una disponibilità ai fini di pagare delle tangenti.

Ricordo distintamente la preoccupazione manifesta di Siegenthaler nell'inverno 1979-1980, di essere chiamato a testimoniare a Roma, cosa che non avvenne perché l'indagine fu archiviata.



giovedì 25 ottobre 2012

Banco Ambrosiano Holding S.A. (Luxembourg)

Traendo spunto dal commento di Carlo Calvi dello scorso 27 settembre sui depositi "back to back", ho pensato di approfondire i legami tra il Gruppo ENI e il Gruppo Ambrosiano sul finire degli anni '70.

Il Banco Ambrosiano operava all'estero tramite la sub-holding lussemburghese Banco Ambrosiano Holding S.A. (o BAH), ed è stata certamente questa entità finanziaria a giocare un ruolo chiave nel produrre la voragine nei conti del Gruppo, soprattutto a partire dal 1978.

Nel portafoglio di BAH erano concentrate tutte le partecipazioni estere ed in particolare i pacchetti di controllo di banche e società finanziarie quali: la Cisalpine Overseas Bank Ltd (65,5%) trasformata il 1° luglio 1980 nel Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau - Bahamas (o BAOL), la Banca del Gottardo (45%), l'Ambrosiano Group Banco Commercial S.A. di Managua (o AGBC, 100%), il Banco Ambrosiano Andino di Lima (o BAA, 96%), la Ultrafin International Co. di New York (100%) e le rispettive controllate e collegate.

Il Consiglio di Amministrazione di BAH era diretta espressione del vertice dell'Ambrosiano e l’intera gestione operativa era svolta presso la sede di Milano.

Ma la holding lussemburghese non gestiva solamente le partecipazioni, bensì raccoglieva fondi anche da soggetti terzi, configurandosi in tal modo come strumento per potenziare l’approvvigionamento di risorse finanziarie sul mercato internazionale.
La gran parte dei fondi raccolti era trasferita alle controllate AGBC e BAA mediante la sottoscrizione di aumenti di capitale ovvero concedendo finanziamenti diretti.

Tuttavia è un'ulteriore attività ad aver esposto il Banco Ambrosiano Holding e, conseguentemente, l'intero Gruppo, a rischi elevatissimi: l'emissione delle letters of comfort rilasciate da BAH a favore di soggetti terzi nell'interesse delle sue controllate, in modo particolare di BAA.
Ai liquidatori del Banco è apparso subito chiaro che questa tipologia di patrocinio non era né elemento marginale né casuale bensì era la naturale conseguenza di una politica aziendale che prevedeva essere la holding lussemburghese e non il Banco Ambrosiano di Milano, a rilasciare le garanzie.

La seguente Tabella mette in evidenza i principali finanziatori del Banco Ambrosiano Holding S.A. distinguendo tra Banco Ambrosiano S.p.A., altre società del Gruppo ed entità terze.

I principali finanziatori di BAH: saldi a fine periodo (milioni di Franchi Svizzeri)
Anno
1978*
1979*
1980*
1981**
1982**
Banco Ambrosiano S.p.A.
- trasferimenti diretti
- depositi “back to back”

21,9
==

19,4
==

1,8
==

2,0
==

==
34,8
Totale B. Ambrosiano (a)
21,9
19,4
1,8
2,0
34,8

Altre società del Gruppo (b)
15,7
41,0
9,5
3,7
317,9

Soggetti terzi (c)
390,8
560,5
780,5
915,5
893,5

TOTALE [(a) + (b) + (c)]
428,4
620,9
791,8
921,2
1.246,2
* 31 dicembre ** 30 giugno

Ad una prima analisi, si osserva che i finanziamenti erogati dalla capogruppo, Banco Ambrosiano S.p.A., e delle altre società del Gruppo, avevano assunto un peso rilevante solo nell'ultimo periodo esaminato, ed erano finalizzati da un lato a compensare una più ridotta capacità di raccolta da soggetti terzi e dall'altro a tamponare l'impressionante deficit di liquidità creatosi in capo alle controllate BAOL, AGBC e BAA.

Tra il 1978 e il 1982 la massa di fondi più sostanziosa è stata raccolta tra soggetti indipendenti dal Gruppo Banco Ambrosiano. Solo nel 1981 si è determinata una più ridotta capacità di raccolta rispetto al 1980 (-2,4%) come conseguenza della perdita di fiducia in seguito alla carcerazione del Presidente Roberto Calvi, avvenuta il 20 maggio 1981, conseguente alle indagini sui presunti reati di esportazione illecita di valuta (tornerò sull'argomento con un post specifico).

Tra i principali finanziatori terzi di BAH (Sindacato delle Banche Svizzere, Sindacato Internazionale delle Banche, Midland Bank France di Parigi e National Westminster Bank di Londra) va citata la Banca Nazionale del Lavoro filiale di Londra e Curaçao e due società offshore appartenenti al gruppo ENI: la Tradinvest Bank & Trust Co. of Nassau Ltd, Bahamas e la Hydrocarbons Bank Ltd, Cayman Islands.

Con riferimento a queste entità, a pag. 136 della VI^ Relazione dei Commissari Liquidatori si legge: “Trattasi di società “amiche”, in relazione alla comune appartenenza alla P2, di Calvi e di alcuni esponenti di rilievo della Banca Nazionale del Lavoro e dell’ENI. Queste informazioni sono state tratte dalla “Relazione Parlamentare d’Inchiesta sulla Loggia Massonica P2” (...)”.

A capo della Direzione Finanza di ENI, alla fine degli anni '70, sedeva Florio Fiorini e alla Vice-Presidenza Leonardo di Donna (già Direttore generale). La Presidenza invece era assegnata a varie personalità che si alternavano ad intervalli di commissariamento.
Nello stesso periodo lo svizzero Pierre Siegenthaler era al tempo stesso Amministratore del Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau e Consigliere d'amministrazione della Tradinvest Bank & Trust Co. of Nassau Limited (società controllata dalla Hydrocarbons International Holding Co. di Zurigo, quest'ultima appartenente all'olandese ENI International Holding BV, la quale a sua volta era posseduta da ENI Italia).
Non posso fare a meno di formulare un breve commento.
La catena societaria Italia-Olanda-Svizzera-Bahamas (o, come terminale, Cayman Islands, Hong Kong, Panama, British Virgin Islands, Aruba...), fino a qualche anno fa permetteva di sfruttare le diverse composizioni delle "black-list" vigenti nei vari Paesi europei al fine di avere accesso alle piazze finanziarie offshore. Oggigiorno si utilizzano altri e ben più sofisticati strumenti, il più noto dei quali è il trust nelle sue numerose varianti. L'obiettivo resta però quello di celare il beneficiario economico finale delle operazioni poste in essere. Prima o poi sarà necessario affrontare anche questo argomento.

Come detto, l'arresto di Roberto Calvi determinò sfiducia nei confronti dell'Ambrosiano e anche le entità considerate “amiche” iniziarono a richiedere lo smobilizzo i propri impieghi.
Nel primo semestre del 1982 dunque, il Banco dovette in qualche modo intervenire per sostenere la raccolta della sua sub-holding disponendo varie operazioni anomale, i depositi "back to back", grazie alle quali le banche intermediarie Al Saudi Banque di Parigi, AP Bank di Londra e Banque Luis Dreyfus di Parigi, fecero arrivare in Lussemburgo circa 34,8 milioni di franchi svizzeri in pochi mesi.

A supporto di quanto descritto, sono in grado di pubblicare alcuni documenti che illustrano come le citate società appartenenti al gruppo ENI abbiano erogato fondi tra il 1978 e il 1979 non solo a favore di BAH (per un importo pari a USD 85 milioni e a Fr. Sv. 100 milioni) ma anche direttamente a BAOL (Bahamas) per USD 25 milioni e a AGBC (Managua) per USD 12,5 milioni.
In base a tale documentazione, ENI, per il tramite le sue controllate estere, ha finanziato estero su estero le consociate offshore dal Banco Ambrosiano, per un importo complessivamente pari a circa USD 183 milioni.
La quasi totalità di tali somme sarebbe stata rimborsata tra il 1980 e il 1984.

(click per ingrandire)


Nota:
Le pagine sopra riportate fanno parte di un collage di documenti, costituito da:
  1. un memorandum datato 16 marzo 1993, classificato come "highly confidential" e avente alcune parti censurate, composto da 5 fogli numerati da KRL 42733 a KRL 42737, redatto in lingua inglese;
  2. il grafico dei flussi finanziari, classificato come "confidential" e numerato KRL 41909;
  3. un prospetto riepilogativo, non classificato, costituito da tre pagine numerate 66974, 66062 e 66065 (per la forma che hanno i timbri di numerazione penso si tratti di un atto giudiziario).
Ho ritrovato il documento su internet nella sua versione completa, perciò ho deciso di pubblicarlo, almeno per quella parte attinente all'argomento proposto.


Epilogo:
In base a notizie reperite su fonti pubbliche, Pierre Siegenthaler non ha potuto testimoniare nei processi italiani sul dissesto del Banco Ambrosiano in quanto deceduto prematuramente, vittima di un incidente di montagna.
Dopo i fatti descritti, Florio Fiorini fu indagato dal pool mani pulite. Nel corso degli interrogatori descrisse come tramite certe operazioni su cambi si riuscivano a creare fondi neri a vantaggio dei più autorevoli partiti politici dell'epoca.
Questi fondi, unitamente ad altri, alimentarono il famoso "conto protezione" costituito nei primi anni '80.
Successivamente a Leonardo Di Donna e al periodo dei Commissari, alla guida di ENI arrivò il prof. Franco Reviglio, poi divenuto Ministro delle Finanze e anch'esso inquisito in seguito alle inchieste di "tangentopoli" per sospette tangenti pagate al PSI (fu poi prosciolto da ogni accusa).
Al posto di Reviglio in ENI arrivò Gabriele Cagliari.
Sono gli anni della "madre di tutte le tangenti", di Sergio Cusani, di Raul Gardini, di Carlo Sama, del finanziare Pacini Battaglia e Giuseppe Garofano.
Dei forzieri ginevrini della Karfinco...

Vicende altrettanto tragiche. Ma questa è un'altra storia.


venerdì 19 ottobre 2012

19 ottobre 2012: 1° anno di vita

Il 19 ottobre 2011 alle ore 23.51 ho inaugurato il blog con il post "La figura del fraud auditor" (http://fraudauditing.blogspot.it/2011/10/la-figura-del-fraud-auditor.html).

Avevo fissato un limite temporale al 31 dicembre 2012 per capire dove sarei arrivato e se sarebbe stato interessante andare avanti.
Infatti avevo deciso di chiudere il blog se non avessi raggiunto almeno i 12.000 visitatori o non avessi riscosso un qualche interesse o una qualche partecipazione in termini di commenti e contributi da pubblicare.

Se la serie storica non mi tradirà, posso affermare che entro l'anno il blog raggiungerà i 17/18.000 accessi.
Questa partecipazione non può che ricompensare anche quanti hanno collaborato con me, per le troppe sere sottratte agli impegni famigliari e per i numerosi weekend passati a scrivere nuovi post ed organizzare il layout del blog.

Come amministratore e coordinatore delle pubblicazioni ho cercato di mantenere l'atteggiamento di chi pratica un hobby e non vuole trarre altro beneficio o interesse se non il sapere che qualcuno condivide e apprezza gli argomenti proposti.
Per tale motivo in questi mesi ho rifiutato di inserire messaggi pubblicitari o di cedere il blog ad organizzazioni aventi scopo di lucro, che ne avrebbero fatto uno strumento commerciale per promuovere le proprie attività professionali.

Insomma ho difeso il mio orticello che va preso così per come è: cioè come un tentativo di illustrare le attività quotidiane di un fraud auditor come tanti, che cerca di praticare con le difficoltà di tutti i giorni il suo lavoro con la passione che ancora gli rimane, nonostante tutto.

Il blog ha avuto un'evoluzione, e agli aneddoti tratti dalle mie esperienze professionali si sono affiancati i post di carattere teorico e storico. A tal proposito segnalo che i recenti contributi sul caso Banco Ambrosiano hanno riscosso un enorme successo e, pertanto, continuerò con questo filone anche con la pubblicazione di documenti "scottanti".
Così come hanno destato interesse i post dedicati ai suggerimenti per le buone letture o gli scritti inviati dai colleghi forensic accountant. Anche su questo fronte ci saranno novità a breve.

Infine, non mi resta che ringraziare Carlo, Lorenzo, Roberto, Anna ed altri, per l'aiuto che mi stanno dando e per le review di alcuni dei testi che ho pubblicato.
So che il blog non è seguito solamente dagli "addetti ai lavori" (nel significato più ampio del termine) ma anche da molti studenti universitari e docenti di vari atenei italiani e... anche da qualche illustre politico (!).

Dobbiamo continuare su questa strada!
E, ne sono certo, si apriranno molte porte con nuovi orizzonti da esplorare.


sabato 6 ottobre 2012

Lezioni dal passato: la semantica finanziaria

di Lorenzo Peluso
(Senior Manager in Fraud Investigation and Dispute Services department - Ernst & Young)


Si dice che i primi contabili siano stati gli scribi dell’antico Egitto, che si occupavano di tenere i libri dei faraoni.
Il loro compito era quello d’inventariare grano, oro e tutti gli altri beni. Sfortunatamente, alcuni di loro caddero vittime della tentazione e rubarono al loro datore di lavoro, così come facevano altri impiegati del re; il sovrano, allora, dovette escogitare una soluzione: avere due scrivani indipendenti per ogni operazione. 
Finché i totali riportati dagli scrivani coincidevano precisamente, non c'era nessun problema, ma se fossero risultati diversi, entrambi sarebbero stati messi a morte. Una sorta di antenato del controllo interno che fu un grande incentivo a controllare attentamente tutti i conteggi, assicurandosi che nessuno stesse rubando. 
Infatti, la scoperta e la prevenzione delle frodi divennero il dovere principale dei contabili reali. 

Ma non è la storia la sola cosa che ci accomuna agli antichi egiziani, anche la semantica rimanda a miti passati. 

Dice nulla la parola piramide? Da anni è di uso comune nel mondo finanziario, ma da dove ne trae significato e come mai si è utilizzato proprio questo termine?
La piramide finanziaria è un sistema di strozzinaggio al contrario. 
Funziona così: si prendono in prestito dei soldi, promettendo di restituirli in pochissimo tempo maggiorati di un forte interesse. I soci che recedono vengono liquidati da soci nuovi espandendo continuamente le basi della piramide. Il trucco sta nel trovare una fantasiosa giustificazione (senza neanche sforzarsi troppo) su come si riescano ad ottenere profitti così alti.
Ma chi ha inventato questo semplice ma efficace sistema? Chi fu il padre dei frodatori?
All'inizio del secolo scorso, un signore chiamato Carlo Ponzi emigrò da Parma verso l’America con una ferma intenzione: diventare ricco in brevissimo tempo. 
Ci provò inizialmente con svariate truffe in tutto il nord del continente, passando senza fortuna dal contrabbando alla contraffazione di banconote.

Il vero capolavoro lo realizzò nel 1920 quando, in brevissimo tempo, fu capace di raccogliere quasi 10 milioni di dollari americani da diecimila persone, inclusa buona parte della Polizia di Boston, garantendo profitti fino al 50% in soli 45 giorni.
Come? Grazie alle sue conoscenze da immigrato. 
Mi spiego meglio: con l’alto livello di immigrazione, a inizio ‘900 esplose il business dei francobolli, necessari agli immigrati per tenersi in contatto con i parenti e gli amici rimasti dall'altra parte dell’oceano. Uno dei prodotti maggiormente usati erano gli “International Reply Coupon” (IRC) venduti dalla Universal Postal Union, l’Ente internazionale che ancora oggi coordina le operazioni tra servizi postali nazionali. Tali coupon, inclusi nelle lettere per l’Europa, potevano essere scambiati in ogni Paese con francobolli dell’ufficio postale locale del ricevente, abilitando la lettera di ritorno ad essere spedita a spese del mittente originale.

Proprio in questi coupon, Ponzi vide un’opportunità di arbitrato e fu subito sicuro di avere trovato la via della ricchezza. In quegli anni i tassi di cambio delle valute fluttuavano violentemente mentre il valore dei postali risultava essere, a confronto, sensibilmente stabile.

L’idea di Ponzi era semplice: inviare un dollaro a un suo partner italiano che, convertendolo in lire, avrebbe provveduto ad acquistare 66 coupon, che sarebbero stati rispediti in America dove ognuno sarebbe stato riconvertito nuovamente in francobolli da 5 centesimi di dollaro. In questo modo, il valore di 1 dollaro divenne 3.30 dollari di francobolli. Vendendo quindi i francobolli a società di Boston, anche con uno sconto del 10%, Ponzi avrebbe potuto cambiare magicamente un dollaro con tre.

Fu un incredibile successo, in un attimo diventò uno dei migliori finanzieri americani mentre la popolazione di Boston ipotecava case e vendeva beni di proprietà pur di avere liquidità sufficiente da affidare a questo brillante emigrato italiano e alla sua società finanziaria costituita nel 1920, la Security Exchange Company le cui iniziali, ironia della sorte, coincidono con “S.E.C.”, l’organo di vigilanza borsistico americano.

La popolazione lo adorava e molti investitori, una volta ritirati gli investimenti iniziali maggiorati del 50%, li reinvestivano nuovamente nella sua Società sicuri di aver trovato un sistema senza rischi, ma con un tasso di guadagno incredibilmente remunerativo.
Con la liquidità acquisita comprò casa (con aria condizionata e piscina riscaldata), automobili e addirittura cospicue quote di una banca locale, la Hanover Trust Company.

Sulla favolosa ascesa di questo brillante finanziere, però, c’è una macchia che non rende limpido il suo percorso: nessun centesimo era investito in attività profittevoli. L’arbitraggio dei coupon era una grandiosa bufala!

All'inizio lo schema funzionava benissimo: i primi investitori che recedevano venivano puntualmente rimborsati con danari freschi provenienti da nuovi investitori, e così via.

La faccenda incuriosì il Boston Post che, indagando, insinuò il dubbio nei lettori/investitori, i quali cominciarono a bussare alla porta di Ponzi chiedendo i promessi guadagni.

In questo modo l’afflusso alle casse della Security Exchange Company crollò e Ponzi, non potendo più rimborsare i creditori con mezzi propri e cercando di non rimanere sotto il rovinoso crollo della piramide da lui disegnata, attinse direttamente ai fondi della Hanover Trust Company. Nell'estate del 1920 scoppiò lo scandalo: la bolla finanziaria portò alla luce la sottrazione di risorse alla banca per sei milioni di dollari (ovviamente tutti sottratti ai risparmiatori).

Ponzi fu arrestato a condannato a 10 anni per frode postale.

Scontata la pena però dimostrò di avere la truffa nel sangue: appena rilasciato si recò in Florida e, sempre utilizzando lo schema piramidale, si lanciò nella compravendita di terreni edificabili che, in seguito, non si rivelarono altro che paludi.



martedì 2 ottobre 2012

Stress da performance

E' tempo di crisi, di ristrutturazioni e di esuberi. Ma anche di ricerca affannosa di risultati.
E' una corsa ad ostacoli nel cercare di ridurre i costi e incrementare i rendimenti.
Le espressioni che più si sentono ripetere sono "efficienza", "meritocrazia", "competitività", "rigore", "austerità".

Certo, i propositi sono buoni ma la conseguenza di questo improvviso ritorno alla realtà sta determinando l'intensificarsi delle tensioni causate dal raggiungimento dei risultati economici.


Con il rischio di essere classificati tra i meno competenti e quindi tra i potenziali candidati ad essere cacciati, molti manager vivono un vero e proprio "stress da performance".
E se si accentuano le pressioni esercitate dai vertici aziendali, i conflitti tra colleghi e le difficoltà economiche dovute ad un minor reddito famigliare disponibile, è probabile che si generi quel mix esplosivo capace di far perdere la lucidità necessaria a svolgere con onestà le proprie attività in azienda.

E' dimostrato che le pressioni generate dall'ambiente lavorativo sono direttamente correlate all'incremento degli eventi illeciti.
Durante i cicli recessivi, dunque, il management può essere portato a valutare "mezzi alternativi" pur di far fronte a situazioni economiche difficili.

Ma è logico immaginarlo: il comportamento disonesto di un solo individuo può contagiare l'intera struttura.
Se Tizio gioca sporco, allora anche Caio dovrà ricorrere ai medesimi mezzi e così anche Sempronio... Alla fine sembrerà che l'essere disonesti sia l'unica soluzione in grado di garantire la sopravvivenza.

In un clima impregnato dallo stress da performance, qualcuno potrebbe decidere di gonfiare artificialmente le previsioni degli utili oppure il trend di crescita del proprio segmento di business, altri invece potrebbero pensare a crearsi una clientela immaginaria falsificando contratti e fatture.

In alcune situazioni l'ansia da risultato precede di qualche mese o anno il verificarsi reale della crisi. Al giorno d'oggi la gran parte delle scelte strategiche aziendali si basano sulle aspettative sulle performance future. E se queste previsioni non sono favorevoli, il management, avendo raggiunto gli obiettivi dell'anno, potrebbe decidere di trasferire illegittimamente parte del fatturato nell'esercizio successivo.

La pratica di riposizionare porzioni di risultato in eccesso rispetto ai target, è legata anche alle strutture di incentivo che assicurano un premio di produzione al raggiungimento di determinate soglie di fatturato.

Fermare il declino quindi, anche attraverso una gestione virtuosa del livello di stress da performance, aumentando in modo equilibrato i controlli sui risultati conseguiti e modulando le strutture di incentivo sul fatturato incassato piuttosto che su quello contabile.


lunedì 1 ottobre 2012

Sulla mensola del fraud auditor

Con oggi prenderà il via una nuova iniziativa pensata per chi volesse promuovere, segnalare o suggerire libri, dispense, manuali, studi, ricerche, statistiche, saggi e prontuari sugli argomenti cari a noi forensic accountant.

Insomma, un'area totalmente dedicata alle buone letture.

L'iniziativa sarà identificata con il tag "Sulla mensola del fraud auditor" e avrà l'obiettivo di presentare l'autore e gli argomenti trattati.

Naturalmente, ma sarebbe inutile specificarlo, l'attività di segnalazione è gratuita e non ha alcun fine di lucro, interesse o vantaggio di qualsiasi genere per il sottoscritto amministratore del blog. 

Sarò grato a quanti volessero aiutarmi in questa iniziativa.

* * *

La proposta di oggi riguarda un saggio di recente pubblicazione dal titolo: "Il traffico degli invisibili" della collana "Popoli Culture Società", scritto dalla giovane antropologa Desirée Pangerc, ed. Bonanno Editore.

A causa della sua importante posizione geografica, l’Italia rappresenta uno tra i confini più facilmente attraversabili per i flussi di immigrati clandestini e trafficati.
L’antropologa Desirée Pangerc decide nel 2005 di ripercorrere all'incontrario una delle rotte principali di questo mercato illegale, quella che passa attraverso il cuore dei Balcani e approda in Italia tramite la porta verso Oriente, il Friuli Venezia Giulia.
Il viaggio la condurrà attraverso Slovenia, Croazia fino a portarla in Bosnia Erzegovina.
Qui la ricercatrice si fermerà due anni sia per condurre il proprio fieldwork che per prestare servizio presso l’Ambasciata Italiana di Sarajevo in qualità di Programme Officer.

La Bosnia Erzegovina viene difatti scelta perché si configura come caso-studio estremamente complesso, con fattispecie criminali davvero singolari.

I fenomeni del traffico di esseri umani e di contrabbando di clandestini vengono affrontati all'interno del testo tramite un approccio multidisciplinare che spazia dall'antropologia all'epistemologia della complessità, passando per le teorie sociologiche, psicologiche e giuridiche connesse alla tematica affrontata.

(cliccare sull'immagine per ingrandire)

L'autrice, Desirée Pangerc nasce nel 1980 a Trieste.
Si laurea nel 2004, a pieni voti assoluti e lode, in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso il Polo Universitario Goriziano; l’anno successivo inizia a collaborare con la Cattedra di Antropologia diretta dal Prof. A.L. Palmisano.

Si specializza in antropologia applicata delle migrazioni e della corporeità, conseguendo nel 2010 il titolo di Dottoressa di Ricerca in Antropologia ed Epistemologia della Complessità presso l’Università degli Studi di Bergamo.

Da segnalare inoltre la sua esperienza in qualità di consulente per il Ministero degli Affari Esteri e il suo incarico presso l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo negli anni compresi tra il 2008 e il 2010.

giovedì 27 settembre 2012

I depositi "back to back" (commento di Carlo Calvi)

Come annunciato, riporto nel seguito il commento inviatomi dal Dott. Carlo Calvi con riferimento all'articolo "I depositi back to back" (http://fraudauditing.blogspot.it/2012/09/i-depositi-back-to-back.html).



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Questo commento si riferisce all'utilizzo dei contratti fiduciari con collaterale a garanzia dissimulati sotto forma di depositi di reciprocità. In base ad accordi informali, depositi in conto corrente con banche intermediarie, servono da collaterale a garanzia di finanziamenti a favore di beneficiari ultimi. 

Le considerazioni sono solo in parte circoscritte all'esperienza delle Liquidazioni di entità estere del Banco Ambrosiano.

L'informalità degli accordi fiduciari continua ad essere un abuso generalizzato con conseguenze deprecabili.

Sono influenzato maggiormente dal lavoro svolto dai Liquidatori di Banco Ambrosiano Holdings (Lussemburgo) e Banco Ambrosiano Overseas (Nassau), nonché da quanto lasciato da mio padre.
La documentazione mostra che nella seconda metà degli anni settanta, le consociate estere con la esclusione della Banca del Gottardo, avevano una scarsa raccolta indipendente ed elevati impieghi immobilizzati.
Seguirono contatti con la Banca d'Italia che imponeva la cessazione dei depositi delle banche italiane del gruppo con le consociate estere. Questi depositi furono dapprima rimpiazzati da entità estere dei gruppi ENI e BNL e solo alla fine degli anni settanta dai prestiti sindacati condotti da National Westminster e Midland.
La Banca d'Italia, sulla base di motivazioni pragmatiche, ha ritenuto privilegiare il rapido trasferimento degli attivi italiani al Nuovo Banco, agli impegni di quello che era già noto come l'accordo di Basilea.

Sotto l'egida di Nat West e Midland, il gruppo di insolvenza di Touche Ross poi Deloitte & Touche prendeva le redini di Banco Ambrosiano Holdings (Lussemburgo).
Tuoche Ross si avvalse delle consulenze di Wilde Sapte e Studio Graziadei per avanzare nella primavera 1983 una teoria giuridica secondo cui il Nuovo Banco era il successore di BA SPA.
Ne seguì il noto compromesso che ammise ENI e BNL come creditori di Banco Ambrosiano Holdings.

I depositi «back to back» fanno la loro entrata nella vicenda Ambrosiano nel periodo relativamente breve del Commissariamento.

Si rilevano alla origine del loro utilizzo delle motivazioni decisamente contingenti e proprie agli inizi degli anni ottanta.
Il processo valutario aveva generato una notevole pubblicità negativa in campo internazionale.
Mio padre perse definitivamente l'uso del passaporto durante l'inverno 1981. La Banca d'Italia imponeva il rimpatrio del controllo azionario del Banco e la cessione delle partecipazioni italiane non bancarie. Le scadenze dei prestiti sindacati si profilavano già per l'estate 1982.
Non si riferiscono all'intero svolgimento del progetto più o meno occulto degli impieghi esteri che datava almeno agli anni sessanta.

Non credo si debbano necessariamente identificare come beneficiari finali dei «back to back» le consociate estere, ma la galassia delle società patrocinate.
La Commissione Mista ha giustamente rilevato il ruolo svolto dalla «corrispondenza parallela». Senza questo artificio il personale bancario anche delle giurisdizioni più compiacenti, non avrebbe consentito a queste operazioni.
Riveste particolare importanza la causa intentata e persa dai Liquidatori di Banco Ambrosiano Overseas di Nassau contro i loro revisori Coopers & Lybrands.

Il trasferimento degli impieghi problematici verso Managua e Lima trova qui le sue origini.
L'utilizzo improprio di depositi di reciprocità è più legato a questo trasferimento che ai normali rapporti intercorsi con banche intermediarie delle consociate estere del Banco Ambrosiano. L'accettazione di accordi informali non conformi è diffuso ma circoscritto a particolari campi di attività. Con riferimento ai casi citati e alla mia esperienza personale, ritengo plausibile una certa disponibilità da parte del gruppo Artoc.
Non la considero invece come scontata per le banche del gruppo InterAlpha, con i cui vertici e i loro legali ho avuto una lunga dimestichezza.
Questa prassi non è necessariamente correlata alla reputazione delle controparti ed è applicata da istituzioni di varia levatura.
Ho avuto conoscenza diretta di una di queste richieste nel 1980 nell'approccio di mio padre con Nick Clegg di Hill Samuel, padre dell'omonimo leader politico inglese odierno.

Se scadimento vi fu, non lo si deve nemmeno attribuire oltre misura ai contatti e le opportunità delle nuove giurisdizioni.
A Managua vi fu una scelta deliberata da parte dei vertici del Banco di selezionare dei professionisti che non riproducessero i problemi incontrati alle Bahamas con Coopers & Lybrands e non una mancanza di alternative più qualificate.
Per quanto riguarda Lima, ho avuto modo di frequentare a Washington i vertici del Banco de la Nacion e del Tesoro peruviani, che vi godevano indubbia considerazione.

Carlo Calvi

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Traendo spunto da quanto accennato dal dott. Calvi, il contributo del prossimo mese sarà dedicato alla ricostruzione dei rapporti intercorsi tra il Gruppo ENI e il Gruppo Banco Ambrosiano sul finire degli anni '70.
Non è esclusa la pubblicazione di documenti "highly confidential" sull'argomento.



lunedì 24 settembre 2012

I depositi "back to back"

In origine le operazioni “back to back” erano utilizzate per scopi sostanzialmente legati alla mitigazione del rischio di oscillazione cambi, quando i contratti derivati non avevano ancora fatto il loro debutto trionfale sulla scena della finanza globale.
Nel corso del tempo, tuttavia, da precursori dei plain vanilla currency swap, i back to back hanno assunto connotati più affini ai contratti fiduciari con collaterale a garanzia.
Una metamorfosi d’impiego che li ha fatti diventare un formidabile strumento per trasferire fondi verso beneficiari occulti.

Facendone un uso fraudolento, con i back to back è possibile raggiungere due obiettivi simultaneamente: da un lato occultare in bilancio distrazioni di risorse aziendali mediante una rappresentazione non corrispondente a quella reale e dall'altro assicurare che il flusso degli asset sottratti sia impiegato per finalità illecite al riparo degli organismi di vigilanza e controllo.

La pratica in oggetto è diffusa soprattutto nell'ambito bancario, dove si manifesta con il cosiddetto "deposito back to back”, altrimenti detto “deposito di reciprocità”.

Nella sua forma più diffusa colui che pianifica e mette in atto la frode, ad esempio un amministratore delegato di un istituto di credito (il "dominus"), dispone un trasferimento di fondi della banca (che chiameremo “banca depositante”) a favore di uno o più conti correnti ad essa intestati accesi presso una o più banche terze (la banca depositaria o intermediaria).
In seguito a precisi accordi informali intervenuti tra il dominus e i vertici della banca depositaria, quest’ultima dispone un contestuale finanziamento di pari importo a favore di un’entità indicata dal dominus stesso e solitamente a questo correlata (si tratta del beneficiario finale dei fondi). Tale erogazione è concessa a lungo termine e senza l’ottenimento di particolari garanzie reali o personali rilasciate dal beneficiario finale.




In buona sostanza il deposito presso la banca intermediaria, per natura liquido, immediatamente esigibile e privo di rischio, funge da collaterale a garanzia del finanziamento stanziato a vantaggio del soggetto indicato dal dominus.
Questa seconda operazione ha natura assai diversa dal deposito in conto corrente in quanto si tratta di un impiego immobilizzato, esigibile solo a scadenza e ad elevato rischio di credito.
L’obiettivo del dominus è l’occultamento della vera struttura dell’operazione vista nel suo complesso. Il trasferimento iniziale di fondi alla banca intermediaria è rappresentato nel bilancio della banca depositante nell’attivo circolante dello stato patrimoniale e non tra le poste immobilizzate, tra le quali invece avrebbe dovuto trovare collocazione.
*   *   *
Il fenomeno dei depositi fiduciari back to back fu portato alla ribalta del grande pubblico nel giugno 1982, durante le fasi più drammatiche del crack del Banco Ambrosiano S.p.A.
In quell'occasione i Commissari straordinari appurarono che una buona parte dei depositi sui conti correnti accesi presso banche terze, iscritti nell’attivo circolante del Banco, in realtà celavano finanziamenti occulti di analogo ammontare a favore di alcune consociate estere.

Gli istituti di credito che si prestarono ad intermediare i fondi tra l’Italia e i beneficiari finali (per esempio verso il Banco Ambrosiano Andino di Lima o il Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau), salvo alcuni casi particolari, avevano caratteristiche simili: operatività circoscritta a pochi sportelli, sede presso i centri finanziari off-shore, pessima reputazione sul mercato interbancario.
Una volta che i fondi furono entrati nella disponibilità delle entità finali, furono utilizzati in piena libertà e riservatezza, al riparo da qualsiasi forma di controllo delle autorità di vigilanza italiane.

Le varie inchieste chiarirono che tali fondi furono utilizzati per l’acquisto di azioni del Banco Ambrosiano o per finanziare alcune attività occulte di Stati esteri.
Emblematico, a tal proposito, è lo stralcio della testimonianza del Direttore Centrale per la Vigilanza Creditizia e Finanziaria della Banca d’Italia, dott. Vincenzo Desario, rilasciata in sede dibattimentale e riportata nella Sentenza del Tribunale di Milano del 16 aprile 1992, n.1390, da pagg. 221:

Il 18 o il 19 [giugno 1982, n.d.r.] - mi pare - esponenti del Servizio Esteri [del Banco Ambrosiano, n.d.r.] mi rappresentarono l’esigenza di dover risolvere alcune questioni, in particolare concernenti i depositi interbancari con banche estere, perché giungevano a scadenza tra il 22, il 23 e il 24. (…) In questo quadro... loro prospettavano il problema di depositi in scadenza, e la mia prima valutazione di questa richiesta era che non ci dovevamo preoccupare perché... si trattava di depositi del Banco Ambrosiano, fatti verso banche estere (e, se non ricordo male, erano uno dell’Inter Alpha e l’altro dell’Arab Bank), al che la mia risposta è stata: va beh, sono scaduti; ci rimborsino e buona notte; a questo punto, invece, emerge il problema: no, ma questi, in base ad accordi di reciprocità, sono stati trasferiti dalla banca estera al Banco Andino [avente sede in Perù e controllata dal Banco Ambrosiano S.p.A., n.d.r.]. (…) ho dovuto chiedere all’Ufficio, che mi rappresentassero la storia di questo deposito, per poter prendere delle decisioni (…). Alla fine, loro mi parlarono di “a seguito di accordi intercorsi”, accordi intercorsi che, indirettamente, io avevo potuto anche vedere esaminando i fascicoli di questi rapporti con le banche estere, in particolare. Non esistevano documenti ufficiali, ma, in realtà, quando facevano questi accordi, risultava un pezzettino di carta, in cui si diceva: abbiamo ricevuto, abbiamo concordato questo tipo di rapporto, e prova ne sia che, sin dal 18 mattina, molte di queste banche estere, che evidentemente facevano riferimento a questo tipo di accordo, si erano o telefonicamente o di persona precipitate; e ricordo che si presentò in Istituto il Direttore Generale del Banco de la Nation, che pretendeva l’immediato ritorno e, quindi, l’esclusione della sua responsabilità di rimborso, facendo riferimento a questo tipo di accordo”.

Invitato ad essere più preciso sulla natura degli accordi citati, il dott. Vincenzo Desario rispose:
L’accordo era: Banco Ambrosiano Italia deposita 20, 30, 40 milioni di dollari presso il Banco Cafetero, con l’impegno del Banco Cafetero di depositarli all’Andino, a BAOL [Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau – Bahamas, n.d.r.], o ad altri; questo era l’accordo”.

Secondo un'elaborazione effettuata dai Commissari Liquidatori basata sulle dichiarazioni fornite dai responsabili dell'Ufficio Estero del Banco, l'ammontare complessivo trasferito grazie ai depositi "back to back" è stato pari a circa 653,4 miliardi di lire, suddiviso nel modo seguente (Terza Relazione, p. 55):
  • 1979: 60,3 miliardi di lire;
  • 1980: 163,7 miliardi di lire;
  • 1981: 429,4 miliardi di lire.
E' evidente come queste operazioni abbiamo raggiunto dimensioni ragguardevoli soprattutto nell'esercizio 1981, nel corso del quale hanno assunto un livello insostenibile anche per un'istituto di credito che vantava un'elevata raccolta tra le famiglie della ricca borghesia milanese e tra gli istituti e ordini religiosi.
Nella prima metà del 1982 l'emorragia causata dai depositi back to back ha certamente contribuito a determinare l'ennesima crisi di liquidità, portando il Banco al un punto di non ritorno.

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Nota:
Qui il commento di Carlo Calvi, figlio del Presidente e Amministratore Delegato di Banco Ambrosiano S.p.A., Roberto Calvi.