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giovedì 26 giugno 2014

Riciclaggio: è un "rischio" o un "reato"?

Potremmo chiudere subito rispondendo:
Per il giurista il riciclaggio è un "reato", per l'aziendalista è un "rischio".
Punto. Finito.

Evidentemente la questione merita una riflessione un poco più articolata.
Il riciclaggio, dal punto di vista aziendale, è uno dei principali rischi tipici o rischi operativi, soprattutto con riferimento a particolari realtà economiche, quali quelle operanti nell'ambito bancario, finanziario e assicurativo.

E, in quanto rischio, può essere efficacemente gestito, mitigato, prevenuto.

La domanda che fa da titolo al post, tuttavia, è volutamente fuorviante in quanto è la medesima legislazione che fa cenno esplicito al doppio significato di tale fenomeno criminoso, identificandolo come "rischio-reato" e non solo come "reato".

E, in quanto reato, il riciclaggio deve essere oggetto anche di solide attività di contrasto e repressione.

Si badi bene che prevenzione e contrasto sono esercizi entrambi necessari, ma non devono essere confusi come se fossero componenti di una stessa attività.
Prevenzione e contrasto competono a strutture, presidi e organizzazioni aziendali differenti, sia per le modalità di intervento sia per le finalità perseguite.
Peraltro va sottolineato che qualsiasi struttura aziendale preposta alla vigilanza e ai controlli non potrà mai (e non dovrà mai) sostituirsi a ben altre autorità a cui compete istituzionalmente il potere investigativo e giudiziario. A ognuno il suo ruolo.


Dunque, ricapitolando, se il riciclaggio è anche un rischio (e lo dice il legislatore), è possibile gestirlo ricorrendo ad una "semplice" metodologia chiamata "risk based approach".
Quindi se si introducono in azienda modelli organizzativi sufficientemente efficaci nell'opera di prevenzione del rischio di riciclaggio, allora questa sarà esente da responsabilità.
Inoltre, se parallelamente ad una seria prevenzione si attuasse anche una saggia ed equilibrata attività repressiva finalizzata ad evitare ogni coinvolgimento dell'azienda nel reato, anche inconsapevole, allora quest'ultima si troverebbe ancora meno esposta a giudizi avversi. Sopratutto se non si esitasse a denunziare all'autorità giudiziaria i comportamenti illeciti individuati.
Infine, se tale approccio assumesse il carattere dell'ordinarietà a livello di sistema economico, molto del problema relativo ai fenomeni fraudolenti in generale, sarebbe risolto.

Ma la realtà purtroppo è ben altra.
Sono molti i problemi, anche culturali, che si infrappongono tra utopia e realtà.

Il primo problema è dato, senza dubbio, dalla difficoltà oggettiva di individuare quei criteri operativi idonei ed appropriati per far fronte al rischio di riciclaggio.
Mi riferisco soprattutto a quel sistema di policies e di principi di governance concretamente in grado di rendere difficile (ma non impossibile) il riciclaggio.
E non basta mettere nero su bianco le ormai popolarissime linee guida suggerite dalla letteratura più spiccia:

   1) Predisporre un'adeguata verifica della clientela
   2) Segnalare le operazioni sospette
   3) Valutare e gestire i rischi
   4) Garantire l'osservanza delle disposizioni antiriciclaggio
   5) ...

Questi sono semmai i principi, ma come trasformarli in protocolli operativi?
Questo è il vero problema.

Ad esempio, l'adeguata verifica della controparte, secondo gli approcci di matrice fraud auditing, dovrà implicare un'approfondita attività di corporate intelligence finalizzata ad attribuire una sorta di "scoring". Ciò potrebbe implicare l'attribuzione di un "rating antiriciclaggio" a cui sottoporre, ad esempio, tutti i soggetti rientranti nell'anagrafica fornitori/clienti ovvero tutti i partecipanti ad una determinata gara d'appalto.

In secondo luogo, molte realtà aziendali, anche di notevoli dimensioni, ancora non sono equipaggiate con presidi specializzati nelle attività di fraud auditing, distinte da quelle di internal auditing. Pertanto in molte occasioni si possono riscontrare ampie inefficienze quando, ad esempio, le funzioni di risk management devono far fronte ad un fatto fraudolento accaduto in azienda ricorrendo, purtroppo, ad approcci tipici delle strutture di prevenzione e non a quelle più specializzate nelle attività di fraud detection e fraud investigation.

s.m.



giovedì 12 giugno 2014

Come sei posizionato sul Rating di legalità?

di Silvio Poggi*

Sono passati quasi due anni dall'emanazione dell’art. 5-ter del Decreto Legge 1/2012 che sanciva la nascita di un vero e proprio Rating di legalità per le imprese, una proposta del Governo Monti che stuzzicò subito la mia attenzione. In pochi hanno creduto in questa iniziativa, lo scetticismo e la perplessità erano sentimenti comuni, la dicitura “finirà tutto all'italiana” mi riportava ad una realtà sconfortante.

Eppure ciò mi spinse, al contrario, ad approfondire i contenuti del Decreto, del Regolamento attuativo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) e del Formulario del Rating, allegati e normative inclusi. Trovai, infatti, “compagni di viaggio” che, come me, avevano avuto l’intuizione giusta nel voler credere che questo Paese, pur nelle sue difficoltà ed innumerevoli contraddizioni, non avrebbe mai abrogato, probabilmente, uno dei rari strumenti meritocratici a favore delle imprese.

Certo, occorre ammettere che la presenza preponderante ed il significativo peso che riveste il D.Lgs. 231/01 sul punteggio finale del Rating ha incentivato il mio impegno, considerato che da circa tredici anni indirizzo la maggior parte delle mie attività professionali ai Modelli organizzativi 231.

Questa, comunque, non è stata l’unica motivazione propulsiva.

Sono anch'io un imprenditore, governo un’azienda dal 1996 e la nostra mission è da sempre quella di creare, mediante la consulenza dei nostri esperti e professionisti, tutti i presupposti che permettano all'impresa ed ai suoi dipendenti e collaboratori di potersi realizzare pienamente attraverso una precisa organizzazione interna che li incentivi ad esprimere il loro potenziale.

In un contesto italiano ove le imprese sono quotidianamente costrette a dover far fronte ad impegni economico – finanziari sempre più crescenti e stringenti e ove gli scandali erano e sono, purtroppo, all'ordine del giorno, l’idea del Rating di legalità si conciliava perfettamente con la mia volontà di contribuire a supportare tutte quelle organizzazioni che, al contrario, si distinguevano per tenere alti i valori quali la moralità di comportamento, l’etica e la legalità negli affari, pur operando in condizioni economiche complesse e spesso in territori connotati da alti rischi.

A tale interessante ideazione mancava, tuttavia, un elemento fondamentale, l’ultimo tassello che avrebbe, come si dice, “chiuso il cerchio” all'intera iniziativa, un elemento che stentava dall'essere legiferato a causa del susseguirsi continuo di nuovi Governi che ne allungavano enormemente i tempi: il Decreto dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico che avrebbe dettato le regole d’ingaggio delle banche di fronte alle imprese che si sarebbero presentate con il punteggio di Rating per ottenerne i giusti vantaggi.

Tale Decreto è stato finalmente emanato, in modo del tutto sommario e poco approfondito, appena il 7 aprile 2014.

Nel partecipare ad eventi e congressi, ho avuto la fortuna di incontrare Rino Belloni nel febbraio 2012 trovando in lui un profilo professionale, un’immediatezza di pensiero ed una concretezza esecutiva molto simili alle mie caratteristiche. La nostra collaborazione prosegue, ormai, da più di due anni e la fiducia riposta congiuntamente nel tema in questione ci ha permesso, oggi, di poter festeggiare i primi risultati positivi. Infatti, quando gli accennai del Rating di legalità condivise subito l’idea e mi propose di realizzare un sito internet; non un sito informativo di tipo ordinario ma un veicolo proattivo che permettesse alle imprese di poter effettuare una preliminare compilazione, quale “prova di test”, del Formulario di Rating di legalità con conseguente segnalazione dell’ipotetico punteggio raggiunto sulla base delle risposte fornite.

Con l’intervento specialistico dell’Avv. Maurizio Arena, sono stati elaborati sintetici approfondimenti per tutti i quesiti attinenti l’Autocertificazione mediante l’inserimento di “help” dedicati che potessero coadiuvare l’utente nella compilazione del questionario. È stata, inoltre, prevista la possibilità, in caso di punteggio ritenuto insoddisfacente o basso, di supportare ed assistere l’azienda cliente nella corretta e puntuale predisposizione e redazione dei documenti necessari per presentare formalmente all'Autorità preposta la domanda per l’attribuzione del Rating.

Dietro la complessa attività, citata in poche righe, si nasconde, invece, un percorso particolarmente impegnativo contraddistinto da consistenti riunioni, costanti flussi informativi, continuo apporto di suggerimenti, integrazioni ed aggiornamenti, condotto per più di un anno e che ci ha guidato, il 4 giugno 2014, al lancio ufficiale in rete del sito www.rating-di-legalita.it.

Parallelamente alla costruzione del sito medesimo, si è pensato di sviluppare un progetto pilota che consentisse una concreta simulazione sul campo della bontà tecnica dell’iniziativa.

È stata scelta Pineta Grande S.r.l., Presidio ospedaliero polispecialistico di Castel Volturno, quale oggetto di analisi e di test. L’impresa, tramite l’ausilio del suo Organismo di Vigilanza 231, delle sue risorse interne e del supporto ed assistenza continua della nostra organizzazione professionale, ha percorso tutto l’iter previsto dalla normativa per ottenere il Rating. 

Il prezioso contributo dell’Avv. Claudio Sgambato, la collaborazione dell’Interfaccia interna dell’OdV Vittorio Quagliuolo, il puntuale intervento nella risoluzione dei problemi attinenti la white list da parte di Alfonso Savio ed il confronto - coinvolgimento continuo del management apicale resosi pienamente disponibile rispondendo prontamente ad ogni richiesta venisse posta loro, rappresentano elementi strategici di una eccellente gestione ed organizzazione aziendale. Anzi, l’Autorità ha richiesto, in itinere, all'impresa di fornire un supplemento documentale.

Nonostante le richieste di integrazioni pervenute all'azienda, Pineta Grande è classificata attualmente come una delle pochissime imprese ad aver acquisito dall'Autorità il massimo punteggio ottenibile del Rating di legalità e cioè tre stelle.

A seguito dell’esperienza vissuta devo sottolineare, con piena soddisfazione, che molto è stato realizzato anche grazie all'intervento di diversi professionisti che considero non solo colleghi ma veri e propri amici. Tuttavia il percorso che ci troviamo ad affrontare è ancora lungo e molte sono le incertezze e le insidie da dipanare ed affrontare, una su tutte il ruolo degli istituti di credito: saranno, questi, spettatori passivi della concessione di benefici quasi “imposti” dalle Autorità e protagonisti di confronti non costruttivi con le singole imprese oppure attori del nuovo modo di operare nei confronti delle aziende che, con il Rating, acquisiscono reali diritti di essere ascoltate e supportate nello sviluppo del loro business? 

Tale interrogativo rappresenta il punto di equilibrio tra il successo di una buona idea ed il fallimento della stessa a causa dell’impossibilità di apportare cambiamenti reali al tessuto economico - finanziario del Paese. 

Noi tutti auspichiamo che il Rating possa trovare la giusta considerazione che merita in quanto la stessa Comunità Europea ha da tempo avviato una consultazione con i Paesi membri per introdurre e valorizzare non solo rating finanziari già consolidati ma anche rating di tipo qualitativo promuovendo, altresì, una particolare attenzione alla legalità ed alla trasparenza delle imprese.

Grazie allo scenario appena esposto è possibile definire il Rating di legalità quale strumento di garanzia dell’affidabilità delle imprese.

Di conseguenza, in un Sistema di partenariato quale quello che attualmente si trova in fase dibattimentale presso la Comunità Europea, è logica e diretta conseguenza affermare che il punteggio di Rating possa essere richiesto dai partners europei quale requisito imprescindibile per una collaborazione reciprocamente trasparente ed etica tra le imprese.


*   *   *


Silvio Poggi è:
- Perito del Tribunale di Roma per il giudizio di idoneità ed adeguatezza dei Modelli organizzativi 231
- Revisore Legale
- Professionista Socio Qualificato APCO-CMC n. 2013/002 - Legge n. 4/2013
- Membro dell’Associazione dei componenti degli Organismi di Vigilanza 231
- Membro dell’Osservatorio 231 Farmaceutiche
- Membro di Federmanager


martedì 3 giugno 2014

Manipolazione delle scritture contabili

Sono le cosiddette frodi "on the book" e si sostanziano nell'alterazione delle scritture contabili al fine di fornire al pubblico un'errata rappresentazione di informazioni economiche, finanziarie, patrimoniali o di qualsiasi altra natura. Generalmente si parla anche di "falso in bilancio" ovvero di "false comunicazioni sociali", espressione, quest'ultima, utilizzata dal diritto societario.


Una rendicontazione manipolata della realtà aziendale rappresenta un rischio considerevole per una schiera molto ampia di portatori d'interessi, quali azionisti/soci, investitori, istituti di credito, fornitori, clienti, dipendenti, autorità di mercato, concorrenti (solo per elencarne alcuni) ma anche per lo stesso management

Si tratta dunque di un rischio che deve essere affrontato in primo luogo dal management che ha la responsabilità di attestare che bilancio d’esercizio sia redatto con chiarezza e rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico d’esercizio della società.

E' infatti sui dati ufficiali forniti dall'azienda che i soci e i terzi in generale possono reperire quelle informazioni sulla base delle quali assumere le decisioni riguardanti l'azienda medesima.

Anche se la manipolazione contabile non ha per obiettivo principale la sottrazione di denaro o di altri asset aziendali, un rischio collaterale ma ugualmente grave si potrebbe concretizzare con rilevanti perdite in termini di reputazione e credibilità con conseguenti crolli delle quotazioni o interruzioni di contratti già stipulati.
Inoltre non è da trascurare il fatto che molte decisioni strategiche poggiate su dati non veritieri potrebbero determinare parecchi danni indiretti con conseguenze disastrose.

Tra i fattori che incrementano il rischio di alterazione delle scritture contabili si possono ricordare:
  1. la pressione eccessiva esercitata sul raggiungimento degli obiettivi;
  2. il timore di perdere competitività in termini di carriera;
  3. interessi personali del management sui corsi azionari della società;
  4. la tendenza a predisporre previsioni eccessivamente ottimistiche; 
  5. la necessità di presentare redditi o utili superiori a quelli del settore;
  6. la tendenza a gestire il patrimonio sociale in modo audace e spudorato;
  7. la necessità di nascondere problemi di cash flow che potrebbero portare a problemi ben più gravi di insolvenza.
Ed è proprio per evitare le conseguenze disastrose determinate dalle manipolazioni contabili che il management più virtuoso e lungimirante investe adeguate risorse economiche e tecniche per la gestione di questo rischio aziendale. 
Risorse utili ad assicurare una crescita certamente più serena ed ordinata.


martedì 20 maggio 2014

Esplorare Internet. Open Sourse Intelligence

Ogni fraud auditor sa quanto siano utili nel lavoro quotidiano le varie tecniche e metodologie utilizzate per esplorare le cosiddette "fonti aperte".

Più in generale la disciplina che definisce come trarre informazioni dalle fonti pubbliche va sotto il nome di Open Source Intelligence (ovvero OSINT).

Oggi, grazie al libro "Esplorare internet. Manuale di investigazioni digitali e Open Source Intelligence" di Leonida Reitano, Presidente dell’Associazione di Giornalismo Investigativo, questa disciplina può essere accessibile a tutti e trovare a pieno titolo una collocazione nella nostra rubrica "sulla mensola del fraud auditor".



Reitano propone una serie di metodologie pratiche per chi fosse interessato ad analizzare i dati contenuti in rete, soluzioni molto utili ed interessanti non solo per i giornalisti d'inchiesta, ai quali il manuale è rivolto, ma anche per tutti gli operatori che professionalmente si occupano di indagini e di intelligence e in generale per quanti hanno la necessità di prendere decisioni sulla base di informazioni fruibili liberamente.

Infatti Internet consente di integrare efficacemente gli altri sistemi utilizzati per acquisire informazioni, quali ad esempio le fonti confidenziali basate sulle reti d'informatori ("Human Intelligente" o HUMINT), le intercettazioni telefoniche o dati ("Signals Intelligence" o SIGINT), le immagini provenienti da satelliti, aeri o droni spia e altri vettori ("Imagery Intelligence" o IMINT), le analisi relative alle “firme” chimiche, spettrografiche e radiologiche di sistemi d’arma che possano nuocere alla sicurezza nazionale ("Measurement and Signature Intelligence" o MASINT).

Trarre informazioni da fonti pubbliche significa risparmiare energie e risorse economiche senza incorrere nei rischi insiti nelle attività intrusive; inoltre "informazione disponibile al pubblico" non significa necessariamente "informazione di alta divulgazione". 
Pertanto un'attività di raccolta, ricostruzione e valutazione di informazioni fatta in modo metodico e sistematico può certamente essere utile per rispondere ai quesiti di intelligence e/o investigativi.

Infine per "fonte aperta" non si intende necessariamente una fonte informativa fruibile gratuitamente. Infatti esistono servizi professionali e strutturati forniti da aziende specializzate finalizzati a predisporre report di dettaglio su determinati soggetti e/o aziende predisposti in base ai dati presenti in rete.

Insomma Reitano illustra nel suo manuale una vera e propria metodologia per acquisire informazioni e descrive i principali strumenti tecnici per ottenere il massimo risultato. Lo fa partendo dal "ciclo teorico dell'intelligence" sino ad elencare i vari protocolli generalmente utilizzati, ad esempio, per effettuare una ricognizione e un assessment di siti web,  geo-localizzare gli indirizzi IP, ritrovare versioni precedenti di siti o individuarne i proprietari storici.

Nel capitolo quarto Reitano descrive con chiarezza e semplicità le tecniche alla base di quella disciplina che il fraud auditor conosce con il nome di "corporate intelligence" e che quotidianamente utilizza per ricostruire i legami tra società, persone, conti correnti, interessi economici, patrimoni eccetera.

Al manuale "Esplorare Internet" e al suo autore Leonida Reitano, vanno rivolti dunque i più vivi apprezzamenti per aver trattato un argomento tanto utile quanto necessario alla formazione di un abile fraud auditor.


Estratto del libro (cliccare QUI)

Per chi fosse interessato all'acquisto on-line (cliccare):
Esplorare Internet. Manuale di investigazioni digitali e Open Source Intelligence
Autore: Reitano Leonida
Minerva Edizioni - giornalismo investigativo 
224 p.
Ed. Febbraio 2014. 
Prezzo di copertina: € 24,65.

*   *   *

Leonida Reitano è dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e McLuhan Fellow dal febbraio 2003. Ha insegnato presso la Facoltà di Sociologia di Urbino e dal 2007 è Presidente dell’Associazione di Giornalismo Investigativo e svolge attività di ricerca e di didattica nell’ambito delle metodologie legate al giornalismo d’inchiesta. Nel 2009 ha frequentato la Summer School del Center for Investigative Journalism di Londra diplomandosi come esperto di Computer Assisted Reporting (CAR) e di Open Source Intelligence (OSINT). Attualmente si occupa di giornalismo d’inchiesta, geopolitica e studi sui new media. Per l’inchiesta Toxic Europe ha vinto il Premio Best International Crime Report organizzato dal Premio Ilaria Alpi.


Le interviste a Reitano:









lunedì 5 maggio 2014

Roberto CALVI: l'indagine sul suicidio della segretaria fu compromessa?

di Carlo Calvi

Io in quell'ufficio ci sostai nell'aprile del 1982.
Mi intrattenni brevemente con Graziella Corrocher. Attendevo di essere ricevuto da Roberto Rosone il cui ufficio distava solo pochi metri. Qualche settimana dopo Rosone era vittima di un attentato e il 17 giugno Graziella Corrocher moriva tragicamente.

Forse per ritegno da qualche tempo non avevo ripreso in mano il fascicolo giudiziario relativo a questo decesso.

Un riesame degli atti suggerisce che l’indagine dell’epoca fu compromessa.

Le impronte digitali e palmari sul bordo interno del davanzale non sono state rilevate.
Il rapporto del Maresciallo Gioacchino Gemelli del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica lo ammette e lo giustifica: "(...) dette impronte (...) presentavano la conformazione perimetrale anatomica di ambe due le mani ma non la specificità delle figure e delle linee (...) che ne permettono un'eventuale comparazione e quindi identificazione (...) é possibile in quanto al momento che le due mani toccavano il piano del davanzale presumibilmente l’epidermide emetteva forti quantità di secrezioni sebacee tanto da impastare le impronte stesse (...)".
Il rapporto con rilievi e controfirmato dal dirigente del Gabinetto Dr. Di Girolamo, non fa riferimento a impronte plantari né si presero immagini, disegni o misure delle sagome.

La rilevanza delle impronte palmari e plantari si desume dalle menzioni contenute negli atti. 
Il Dirigente della Squadra Mobile Antonio Pagnozzi nel suo rapporto del 18 giugno scrisse: "(...) sullo stesso davanzale (...) si potevano notare le impronte palmari e plantari della predetta che, appunto, ne mette in risalto una dinamica spontanea determinata da una decisa volontà suicida". 
In maniera più cauta si espressero i periti medico-legali Dr. Marco Grandi e Elisa Agnese Saligari su richiesta del Sostituto Procuratore Dott. Salvatore Cappelleri : "I dati circonstanziali, per parte loro, vieppiù avvalorano l’ipotesi di un suicidio: si fa riferimento a (...) impronte del palmo delle mani e della pianta dei piedi lasciate sul davanzale (...) situazioni queste che (...) depongono per una esplicita volontà dell’atto lesivo".

Giancarlo Giobbio, a me ben noto in quanto quale dirigente del servizio immobili, era regolarmente consultato da mio padre per i lavori alle cascine della nostra proprietà di Drezzo, dichiarò il 21 giugno: "Poco dopo le 19, verso le 19.15 circa (...) il Sig. Lazzari, anche lui della sicurezza interna, mi informava della disgrazia. (...) non sono in grado di dire chi é entrato per primo nell'ufficio della Corrocher (...)".
Giampaolo Bodini, vice direttore di sede addetto alla direzione centrale, sostituiva spesso la Corrocher ogni qualvolta la medesima doveva allontanarsi. Il 21 di giugno Bodini dichiarò di essere stato informato della disgrazia da Germano Montani. Bodini precisò: "Mi sono precipitato nell'ufficio della Corrocher (...) mi sono affacciato alla finestra vedendo il corpo".

La pattuglia della Volante intervenne in Piazzetta Ferrari alle 19,37, il tecnico della Polizia Scientifica alle 20,05. Era presente al sopralluogo il dirigente della Sezione Omicidi della Squadra Mobile, Commissario Capo Dr. Enzo Portaccio.

Il rilievo n. 10 del sopralluogo riprodotto di seguito indica con la freccia C "(...) ove si intravedevano controluce le conformità anche delle due mani (...)".





Il sequestro della borsetta appartenente a Graziella Teresa Corrocher, con il relativo contenuto, avvenne in data 29 giugno presso l’ufficio della sede centrale del Banco Ambrosiano in via Clerici 2.
Lo indica il verbale di sequestro firmato dal Sottotenente Igino Izzo del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Milano.

Il 17 giugno alle ore 20,30 il Sostituto Procuratore Salvatore Cappelleri, alla presenza del Dr. Enzo Portaccio e del Maggiore Alfonso Martorana del Nucleo Operativo Carabinieri di Milano, procedette "(...) ad un sopralluogo presso l’ufficio della signorina Corrocher (...) presso la sede del Banco Ambrosiano di via Clerici 2 (...) procede all'apertura della cassaforte, che nulla viene sequestrato di quanto nella stessa si trova e che le chiavi della medesima vengono consegnate al signor Bodini Giampaolo (...) nulla viene sequestrato di quanto contenuto nei cassetti della scrivania le cui chiavi vengono consegnate al Sig. Bodini Giampaolo (...) si dispone, infine, l’apposizione dei sigilli (...) alla porta d’ingresso all'ufficio".

Il 21 giugno,"venendo a cessare ogni esigenza istruttoria" il Sostituto Procuratore Salvatore Cappelleri dispose la restituzione del locale adibito a ufficio di Teresa Graziella Corrocher.

Il Sottotenente Igino Izzo e il Maresciallo Augusto Atzori del Nucleo Operativo Carabinieri, in esecuzione al Decreto di sequestro della borsetta datato 29 giugno e emesso dal Dott. Salvatore Cappelleri, si recarono lo stesso giorno presso la sede centrale del Banco Ambrosiano. Recitava il Decreto: "(...) ovunque essa si trovi, ricercandola in particolare nel locale già adibito ad ufficio della Corrocher presso la sede del Banco Ambrosiano (...)". Scrissero i militari: "il signor Bodini Giampaolo (...) riferiva a noi verbalizzanti che la borsetta (...) l’aveva presa lui personalmente subito dopo il misfatto (...) e l’aveva custodita (...) egli riferiva inoltre che non ci aveva pensato minimamente di consegnare la borsetta agli inquirenti".

Il Dott. Salvatore Cappelleri inviò allora al Nucleo Operativo Carabinieri la richiesta di citazione a comparire il 14 luglio per Giampaolo Bodini e Luigi Saccati.
In tale data, Bodini, che già era stato interrogato in data 21 giugno, dichiarò al Magistrato: "per quanto riguarda la borsa della Corrocher l’ho rinvenuta nell'ufficio della medesima subito dopo il fatto. Istintivamente l’ho presa e l’ho chiusa nel mio armadio. Non so dire perché né quella sera né quando sono stato sentito come testimone il 21 giugno non abbia fatto cenno di questa borsa. Credo di essermi dimenticato (...) ribadisco che nulla so del contenuto della borsa (...) non ho parlato con alcuno della borsa tranne con il Saccati (...) sono sempre più convinto (...) che Graziella si sia suicidata a seguito delle disavventure del Banco Ambrosiano".

Il Magistrato procedette lo stesso giorno ad una nuova audizione di Luigi Saccati, avente funzioni di addetto alle pubbliche relazioni del Banco Ambrosiano. Saccati per la prima volta indicò: "(...) effettivamente qualche giorno dopo il Bodini mi disse di essere in possesso della borsa (...) gli risposi di tenerla a disposizione in cassaforte".

Si riproduce di seguito la trasmissione del processo verbale del Nucleo Operativo Carabinieri sul sequestro della borsa presso la sede del Banco Ambrosiano in data 29 giugno 1982.




I Consiglieri di Amministrazione più anziani che si sono recati nell'ufficio della Corrocher alle 18,30 e che in passato avevano svolto funzioni dirigenziali, non furono né identificati né interrogati dal Magistrato.
Secondo l’indice degli atti e produzioni dell’inchiesta, la sola testimonianza di funzionario di livello elevato del Banco Ambrosiano fu quella di Filippo Leoni.

Sappiamo di queste visite dal verbale del Maresciallo di Polizia di Stato Raffaele Perretti. Il sottufficiale interrogò Giuseppe Coral, commesso addetto alle incombenze necessarie alla Corrocher. Il Coral dichiarò: "(...) al termine delle riunioni del Consiglio di Amministrazione (...) parecchi consiglieri si sono recati nell'ufficio della predetta". Un particolare sufficientemente importante da essere menzionato dal dirigente della Squadra Mobile Dr. Antonio Pagnozzi nel suo rapporto al Sostituto Procuratore Salvatore Cappelleri: "(...) la Corrocher era rimasta in ufficio durante la riunione del Consiglio di Amministrazione e (...) al termine avvenuto alle ore 18,30 circa alcuni consiglieri anziani si erano recati a salutarla".

Il Dr Salvatore Cappelleri, nella sua richiesta di non doversi promuovere l’azione penale rivolta al Giudice Istruttore il 27.10.1983 scrisse : "(...) le note vicende che riguardavano e che riguardano tuttora il BANCO AMBROSIANO (...) consigliavano un approfondimento della indagini allo scopo di vagliare non solo e non tanto l’ipotesi dell’omicidio (...) quanto sopratutto l’eventualità che sulla determinazione al suicidio della Corrocher si fosse inserita una condotta estranea tendente ad agevolare tenuto conto delle precarie condizioni psichiche della donna l’insano gesto (...)".

Sempre secondo l’indice degli atti e produzioni, il Dr Salvatore Cappelleri inviò in data 26 giugno al Nucleo Operativo Carabinieri, la richiesta di citazione di Filippo Leoni per il 29 giugno.

Filippo Leoni dichiarò : "sono Condirettore Generale del Banco Ambrosiano (...) cercai in particolare il Saccati nella sua qualità di dirigente addetto alle pubbliche relazioni (...) il giorno del fatto ho partecipato al Consiglio di Amministrazione del Banco Ambrosiano (...) ricordo di aver intravisto nel suo ufficio la signorina Corrocher ma di non aver avuto occasione di intrattenermi con lei".

Chi erano i Consiglieri anziani che avevano già svolto funzioni dirigenziali indicati dal Coral?

Nell'aprile del 1982 attesi nell'ufficio con Graziella Corrocher di essere ricevuto da Roberto Rosone.

La breve conversazione con lei non mi permise di notare il suo stato d’animo. Rosone, chiusa la porta, mi mostrò una foto in cui comparivamo entrambi dopo una battuta di pesca alle Bahamas. Mi disse: "non deve uscire da questa stanza ma ci sono dei disaccordi nel Banco". Tre settimane dopo Rosone fu vittima di un attentato da parte del boss della malavita romana Danilo Abbruciati. Abbruciati fu a sua volta abbattuto da una guardia giurata del Banco Ambrosiano. Roberto Rosone era in quel periodo Vice Presidente del Banco.

Carlo Olgiati entrò in Ambrosiano nel 1950, fu Vice Presidente del Banco fino al 13 novembre del 1981 quando fu sostituito nella carica dal Ing. Carlo De Benedetti. Lasciò il posto di Consigliere il 10 marzo '82 ma mantenne quello di Consigliere di Banco Ambrosiano Holdings di Lussemburgo fino all'ingresso dei Liquidatori. In questa veste partecipò a tutti gli incontri con l’Arcivescovo Paul Marcinkus, Presidente dell’Istituto per le Opere di Religione.

In quell'aprile 1982, una sera mio padre ricevette una telefonata che lo avvisava che del contante era marcato dalla Banca d’Italia. Mio padre chiamò Carlo Olgiati che, a tarda sera venne ad esaminare il contante contenuto in una cassaforte di Via Giuseppe Frua 9, ove mi trovavo.

Carlo Olgiati dirigeva personalmente il Banco Ambrosiano de América del Sur in Argentina.

Ricordo bene la prima volta in cui mi fu presentato Filippo Leoni. Anni dopo, in quella primavera del 1982, inviai dei telex dall’ufficio di Washington. Filippo Leoni si recò all’alba al Banco per strappare tutti i telex entranti.

Roberto Rosone, Carlo Olgiati, Filippo Leoni lasciarono il Banco per divenire imputati.

A questo pensava nel febbraio di quest’anno Giovanni Bazoli, quando ha dichiarato alla giornalista inglese Rachel Sanderson, di essersi rifiutato di licenziare impiegati del Banco Ambrosiano, in quanto li considerò tutti come vittime di Roberto Calvi.

Germano Montani si trovava a pochi metri dall’ufficio della Corrocher si é avvicinato e non ha notato la sedia accanto alla finestra né alcunché sulla scrivania.
Vedevo spesso Germano Montani in quanto veniva a casa nostra in via Giuseppe Frua 9 ogni qual volta mio padre vi riceveva visite.

Il Montani interrogato il 29 giugno dichiarò al Magistrato : "(...) ho sentito chiudere la porta del bagno situato di fronte al predetto ufficio (...) mi sono avvicinato (...) per controllare i telefoni (...) non ho notato, come l’ufficio mi chiede, la sedia accanto alla finestra né alcunché sulla scrivania. Dopo qualche minuto è arrivato su il mio collega Uboldi il quale mi riferiva dell’accaduto (...) ho visto l’ultima volta quella sera la signorina Corrocher poco dopo la fine della riunione del Consiglio di Amministrazione della Centrale verso le ore 18,50 (...) non ho notato in lei nulla di particolare (...) non mi è sembrata eccitata (...) normalmente usava portare una borsetta in pelle blu».

Si noterà che nella nota scritta a mano, largamente pubblicizzata, e di cui al rilievo n. 8 della Polizia Scientifica riprodotto di seguito, la Corrocher si associa al Consiglio di Amministrazione avvenuto "ieri" 13 giugno.
Un’altra nota firmata fa riferimento al suo esaurimento ma porta la data cancellata del 7 aprile. Sono di questo periodo i messaggi di conforto ricevuti dai suoi cari e annessi agli atti.
Una delle note a mano firmate porta la data del 6 aprile. Le note menzionano il suo testamento. Giancarlo Giobbio testimoniò: "(...) circa tre mesi fa la Corrocher mi riferì che (...) il suo testamento si trovava nella cassaforte".

É quindi possibile che le note scritte a mano sulla scrivania di cui al rilievo n. 8 siano state scritte in precedenza e si trovassero nell'ufficio della vittima.




Le compromissioni elencate non cambiano probabilmente la conclusione dell’inchiesta.
Si propone il quesito se queste hanno causato sottrazione di elementi utili.
A questo scopo si rende pubblico l’indirizzo di accesso alla integralità degli atti giudiziari:

Fascicolo giudiziario di "Teresa Graziella CORROCHER" (cliccare sul link per scaricare i documenti in pdf).

Il blog di Fabrizio Ravelli ha rievocato recentemente le circostanze in cui l’indagine, che portò al processo valutario in cui mio padre fu imputato, fu assegnata al Dr. Gerardo d’Ambrosio.

È vero che nelle rievocazioni di Gerardo D’Ambrosio, questo particolare è passato sotto silenzio.

Carlo Marini, allora Procuratore Generale, avocò un’altra indagine, quella su Mauro Gresti e Luca Mucci, che rilasciarono il passaporto a mio padre nel 1980. Assistetti a Washington a una conversazione telefonica di mio padre con Luca Mucci. Questa indagine originò dal ritrovamento a Castiglion Fibocchi l’anno successivo, di estratti conto contenenti tra l’altro anche menzioni ai nomi di Marco Ceruti e Ugo Zilletti.
Ugo Zilletti era stato in quel periodo in contatto con magistrati milanesi. Roberto Gervaso mi suggerì poi che Licio Gelli si era mosso dietro le quinte.

L’indagine su Luca Mucci e Mauro Gresti fu tolta allora a Carlo Marini e trasferita alla Procura di Brescia competente sui due magistrati milanesi.

I testimoni del fascicolo sul decesso di Graziella Corrocher sono unanimi nell'associare il suo esaurimento nervoso al suo interrogatorio da parte della Procura di Brescia proprio sulla vicenda del rilascio del passaporto. 
La Corrocher non aveva nulla da temere, l’indagine fu trasferita nuovamente, questa volta a Ernesto Cudillo a Roma, e finì nel nulla.

Ricordo il mio grande imbarazzo, al primo incontro con i Dott. Dell'Osso e Siclari e il Tenente Colonnello Boscarato a Washington nell'estate 1982, quando mia madre cominciò a parlare proprio di Carlo Marini in maniera poco lusinghiera.

Per citare Fabrizio Ravelli : "forse si tratta di cose ormai antiche".

sabato 3 maggio 2014

Teresa Graziella Corrocher: particolari sul suicidio della segretaria di Calvi

...di una tragedia nella tragedia.
Di questo tratteremo oggi.

"Il 17/6/1982, alle ore 19.00 circa, Teresa Graziella CORROCHER, direttore di sede del Banco Ambrosiano con incarico di segretaria del presidente Roberto CALVI, precipitava dalla finestra del suo ufficio sito al quarto piano dell'edificio di Via Clerici n.2 in Milano".
(estratto dagli atti giudiziari della Procura della Repubblica di Milano).

I primi accertamenti svolti della Polizia Scientifica definirono con cruda precisione lo scenario nel quale si era consumato quel dramma.
Una sedia davanti alla finestra aperta con accanto le scarpe in pelle nera posizionate con cura, una tenda leggermente spostata, alcune impronte digitali e plantari sul davanzale.




La cinquantacinquenne, nubile, che considerava il Banco Ambrosiano come la sua famiglia, lasciò tre fogli scritti a mano, fissati con del nastro adesivo alla scrivania.
Parole scritte con drammatica lucidità ma che manifestavano allo stesso tempo uno stato d'animo di estremo disagio, un equilibrio psichico ormai gravemente intaccato dai fatti che in quei momenti si stavano consumando all'interno delle mura (e non solo) dell'istituto di credito milanese.
Frasi che è opportuno tornare a leggere.



Il 17 giugno 1982 era un giovedì di una settimana drammatica per la banca milanese, per i suoi vertici e per il suo Presidente Roberto Calvi.
Quel giovedì iniziò all'alba con la signora Corrocher impegnata a preparare il Consiglio di Amministrazione straordinario che avrebbe avuto inizio alle ore 13.00.

La si può immaginare indaffarata e meticolosa nel preparare i documenti, gli atti, i resoconti, le cartelline in cuoio pregiato da consegnare ai Consiglieri, ma anche in preda ad una profonda frustrazione per quel mondo che le stava improvvisamente crollando addosso. Abbandonata al suo profondo malessere che la tormentava già da qualche mese.
Un esaurimento nervoso evidente di cui molti erano a conoscenza.

Nel corso di quel Consiglio del 17 giugno si consumò quello che le cronache dell'epoca molto efficacemente avevano più volte definito come uno "psicodramma".

Il Presidente del Banco era irreperibile già dalla sera del 10 giugno in seguito ad una trasferta a Roma nel corso della quale avrebbe cenato anche con Giulio Andreotti.

Il 13 giugno i poteri di gestione del Banco furono affidati, in base all'art. 15 dello Statuto sociale, a Roberto Rosone, il Vicepresidente anziano.
Lunedì 14 giugno, mentre tutta l'Italia attendeva con la consueta apprensione calcistica la partita del mondiale con la Polonia con fischio d'inizio alle ore 17.15, in via Clerici l'attesa era di ben altra natura.
Infatti di buon'ora si presentarono alla reception dell'istituto di credito 6 ispettori inviati della Banca d'Italia e poco più tardi la CONSOB sospendeva il titolo dalla quotazione.

Ma fu proprio il 17 giugno il giorno più drammatico.
Una storia duplice e parallela.
La prima si consumò in via Clerici a Milano e l'altra a Londra.

Come detto il Consiglio iniziò alle 13 in punto.
L'Istituto per le Opere di Religione (IOR) aveva già informato della sua assoluta intenzione di non fornire alcun tipo di sostegno finalizzato a salvare il Banco e di non voler onorare le lettere di patronage concesse a favore di alcune entità panamensi.
La situazione economico-finanziaria era di gravissimo deficit. Sarebbe servita con urgenza un'abbondante iniezione di liquidità per far fronte ai numerosi impegni finanziari da assolvere nelle ore successive. Nessuna deroga o dilazione a tali impegni infatti si sarebbe potuta richiedere o accordare.
I depositi attivi del Banco presso le consociate estere risultavano vincolati a causa di presunte garanzie prestate ad entità terze non meglio identificate.
Dopo una drammatica sequenza di interventi interlocutori da parte di alcuni attoniti e smarriti Consiglieri d'amministrazione, si deliberò di togliere i poteri di firma a Roberto Calvi.

Terminato il Consiglio attorno alle 19, mentre l'ufficio stampa stava redigendo il comunicato che ufficialmente avrebbe messo la parola fine all'era Calvi, si sentì un tonfo sordo provenire dalla rampa di accesso ai garage sotterranei del Banco.

In quel momento Roberto Calvi si trovava a Londra già dal giorno precedente, dopo un viaggio rocambolesco tra Italia, Iugoslavia, Austria e Svizzera. La mattina del 17 giugno il Sole 24 Ore aveva dato la notizia della sua scomparsa. Alle 23 di quel giorno, saputo del suicidio della sua segretaria, Calvi lasciò la hall del Chelsea Cloister in Sloane Road per una meta sconosciuta.

La mattina del 18 giugno 1982 il banchiere fu trovato da un fattorino del Daily Express, impiccato con una corda di nylon da ormeggio arancione ad un traliccio posizionato sotto il Blackfriars Bridge.

Una tragedia nella tragedia, appunto.

Lo abbiamo ripetuto in più occasioni.
Il blog non si occupa di cronaca, ma di tecniche di forensic accounting e fraud auditing.
Tuttavia, lo sanno bene gli osservatori più attenti, le vicende umane dei protagonisti si legano indissolubilmente e tragicamente ai dissesti economico-finanziari più gravi. Lo dimostrano i tanti episodi legati anche a fatti più recenti. Si pensi solo alle vicende relative al Monte dei Paschi di Siena o all'Ospedale San Raffaele di Milano.

Graziella Corrocher svolse con diligenza mansioni di enorme rilievo all'interno del Banco e, secondo i testimoni dell'epoca, fu "l'alter ego" del Presidente Roberto Calvi e in questa veste depositaria di tutto quel bagaglio di notizie, anche e soprattutto riservate, che, se conosciute, avrebbero probabilmente permesso di far luce su di una vicenda tanto intricata e complessa e forse anche sui particolari più controversi e misteriosi dell'omicidio di Roberto Calvi.

Tra qualche giorno il blog sarà in grado di produrre IN ESCLUSIVA l'intero fascicolo giudiziario relativo al suicidio della signora Teresa Graziella Corrocher.
Il tutto accompagnato da un autorevole ed importante commento curato da Carlo Calvi, figlio del banchiere Roberto Calvi.

Saremo pertanto in grado di fornire ai lettori del blog la seguente documentazione:
  1. atti della Procura Generale presso la Corte Suprema di Cassazione;
  2. decreto di archiviazione emanato dal Tribunale di Milano, trattandosi di suicidio;
  3. verbale redatto dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Milano, primi ad intervenire sulla scena del suicidio;
  4. relazione di servizio degli agenti della Squadra Mobile datata 18 giugno 1982 e successive versioni integrative;
  5. relazione di polizia giudiziaria del 24 giugno 1992 indirizzata al Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Salvatore Cappelleri redatta dai Carabinieri della Legione di Milano e successive versioni integrative;
  6. verbali di sequestro del materiale rinvenuto presso l'abitazione di Milano della signora Corrocher;
  7. verbale di perquisizione e sequestro presso l'abitazione della signora Corrocher sito in località San Valentino Dos del Comune di Villa Rendena (TN);
  8. processo verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dalle persone informate sui fatti;
  9. verbali dei rilievi tecnico-legali e dei sopralluoghi eseguiti della Polizia Scientifica di Milano;
  10. referti autoptici svolti dal patologo legale, consulente tecnico del Pubblico Ministero;
  11. perizia medico-legale e tossicologica sulla causa e sulle circostanze del decesso;
  12. appunti scritti a mano o con macchina da scrivere rinvenuti presso l'ufficio e l'abitazione della signora Corrocher;
  13. indice degli atti e delle produzioni e note spese del procedimento.
s.m.

(cliccare QUI per leggere l'intervento di Carlo CALVI e per scaricare la documentazione).


*   *   *

In ricordo di 
Teresa Graziella CORROCHER

(trascrizione di due appunti scritti da Graziella Corrocher)


giovedì 24 aprile 2014

Frodi occupazionali. Quanto sono percepite in Italia?

Generalmente con l'espressione "frode occupazionale" si intende lo sfruttamento del proprio status di dipendente per compiere un'azione fraudolenta mirata all'arricchimento personale ai danni dell'azienda.

Nella prassi professionale si è soliti estendere l'area definitoria non solo al personale subordinato in senso stretto, ma anche ai collaboratori, agli amministratori e ai consulenti esterni, agli agenti operanti in esclusiva, cioè a tutti coloro che indipendentemente dalla forma contrattuale che li lega all'azienda possono accedere più o meno liberamente alle risorse aziendali.
In buona sostanza la frode occupazionale è una "frode interna" anche se commessa da soggetti giuridicamente terzi ma aventi le "credenziali" fiduciarie per appartenere in qualche modo alla cerchia degli "insider".

Ulteriore aspetto riguarda l'oggetto della frode. E' l'asset aziendale.
Si tratta in particolare di beni mobili ed immobili, informazioni, know-how, denaro contante eccetera.

Dal punto di vista del fraud auditor, le frodi occupazionali sono tra le più articolate da analizzare. Infatti i modelli di sviluppo della frode possono assumere forme molto diverse in quanto sono il frutto della fantasia criminale del singolo finalizzata a trovare i modi per aggirare le procedure e in generale i meccanismi di prevenzione dei rischi aziendali.
Pertanto il professionista chiamato a ricostruire e a dimostrare l'evento fraudolento dovrà calarsi nella realtà aziendale, analizzandone le procedure e i protocolli operativi cercando di individuarne le debolezze sfruttate da chi ha compiuto la frode.
Una sfida avvincente quanto ardua.

Recentemente ACFE (l'Associazione dei Certified Fraud Examiners) ha realizzato un'indagine esplorativa sul fenomeno promuovendo una survey tra le aziende italiane.
Vediamone di seguito i risultati.

Ben il 57% delle aziende ha dichiarato di aver subito frodi occupazionali nella loro forma più classica: l'appropriazione indebita di beni aziendali.
Lo studio ha confermato che si tratta di frodi molto diffuse ma non eccessivamente gravi dal punto di vista del valore unitario sottratto, pari in media a meno di un milione di euro (tenendo conto che le aziende interpellate erano prevalentemente di grandi dimensioni e multinazionali operanti nel settore bancario e finanziario).

L'autore della frode è risultato essere nel 60% dei casi un dipendente della società (dirigente 13% e impiegato 47% dei casi), mentre i consulenti hanno raggiunto una non invidiabile posizione del 20%. A tal proposito si segnala che sulle frodi perpetrate dai consulenti esterni si usano distinguere le fattispecie che prevedono un qualche tipo di collaborazione/accordo tra professionista (o fornitore) e personale interno (si verifica ad esempio con la fatturazione per prestazioni - o forniture - parzialmente o totalmente inesistenti) dai casi che prevedono che il soggetto esterno commetta la frode in modo autonomo.

Un moderato applauso va agli internal-fraud auditor in quanto grazie ai loro controlli si sono scoperte il 28% delle frodi occupazionali (c'è ancora molto da fare però!).
Mentre le segnalazioni anonime hanno contribuito per il 22%, stessa percentuale per le frodi scoperte casualmente.
Le Forze di Polizia fanno quel che possono, arrivando ad individuare solo il 5% dei fatti fraudolenti.


Ma una volta individuato l'autore della frode, cosa ha fatto l'azienda?

Nel 33% dei casi l'azienda ha provveduto a licenziare il dipendente disonesto.
Anche in questo caso è necessario un piccolo consiglio. Il licenziamento (come il trasferimento in altra sede) è una procedura complessa che non ha sempre l'esito desiderato. Anzi!
Per questo motivo è assolutamente necessario commissionare una forensic investigation ad un professionista terzo ed indipendente, esperto in materia, mirata a ricostruire mediante l'elaborazione di una relazione tecnica l'avvenimento irregolare, allegando ogni evidenza documentale idonea a dimostrare l'accaduto. La relazione tecnica in mano a buoni avvocati giuslavoristi può garantire che l'allontanamento del dipendente vada a buon fine.
Naturalmente la perizia sarà utile anche per la richiesta di risarcimento dei danni e l'eventuale azione di responsabilità da promuovere nei confronti degli amministratori infedeli, circostanze capitate nel 28% dei casi osservati.
Solo il 17% delle aziende interessate ha denunciato all'Autorità Giudiziaria l'autore della frode e i suoi eventuali complici.

Dall'indagine emerge dunque un quadro piuttosto preoccupante.
Anche in considerazione del fatto che l'85% delle aziende intervistate ha dichiarato di aspettarsi un aumento delle frodi occupazionali nel futuro.
Purtroppo questa aspettativa di peggioramento, secondo quanto si sta osservando, si è effettivamente realizzata anche se manca una fotografia aggiornata del fenomeno specifica per il contesto italiano.
Purtroppo, è bene precisarlo, l'intensificarsi delle frodi occupazionali anche a causa della lunga crisi economica, non ha portato ad investimenti proporzionali nel campo della formazione del personale aziendale specializzato nelle indagini interne o al potenziamento degli apparti tecnico-informatici impiegati nei controlli automatici e routinari.

Sul punto c'è ancora molta strada da percorrere.


martedì 15 aprile 2014

Consulenza tecnica e perizia penale: approccio metodologico

Gli schemi di frode utilizzati per occultare vaste ricchezze aziendali si sono raffinati nel tempo, tanto che in sede penale è sempre più frequente il ricorso alla figura del consulente tecnico (del Pubblico Ministero o delle parti private) o del perito del Giudice, chiamato  a pronunciarsi nelle materie contabili, amministrative e finanziarie.

Secondo i più recenti orientamenti, il consulente tecnico di parte o il perito (che chiameremo nel seguito indistintamente "CT") svolge una funzione di accertamento, di conoscenza e di deduzione in campo tecnico, utile a fornire gli elementi necessari per la formulazione di un giudizio.

Pertanto tra il CT e il soggetto che lo nomina - cioè l'Avvocato difensore (parte privata) o il Pubblico Ministero (parte pubblica) ovvero il Giudice -  si instaura un forte legame fiduciario finalizzato a colmare quei gap di conoscenze scientifiche che impedirebbero di esercitare pienamente l'azione penale.

Sostanzialmente il CT deve possedere doti specifiche ed attitudini particolari sintetizzabili nei seguenti tre requisiti:
  1. PREPARAZIONE TECNICA
  2. OBIETTIVITÀ
  3. ATTITUDINE PSICOLOGICA.



Come detto all'inizio, il ricorso al contributo del CT è richiesto sempre più spesso nel caso di operazioni particolarmente complesse da analizzare; ciò impone che al professionista sia richiesta una preparazione non solo in materia contabile, amministrativa e finanziaria ma anche societaria e giuridica con particolare riferimento alle procedure processuali.

Talune operazioni illecite finalizzate ad occultare asset aziendali di notevole valore sono architettate con particolari tecniche di ingegneria societaria molto sofisticate, tanto da implicare un vero e proprio rigore nell'approcciare l'analisi.

In particolare risulta necessario procedere per passi successivi che si sviluppano:
  • nell'esame della documentazione (in formato cartaceo e/o elettronico);
  • nell'analisi del contesto;
  • nella formulazione di deduzioni logiche;
  • nella rappresentazione e descrizione dell'operazione irregolare.
Il professionista nel corso della sua attività  deve avere l'unico scopo di far conoscere la verità bene e fedelmente, come indicato nel giuramento del CT.

L'aspetto psicologico è importante in quanto il CT deve evitare atteggiamenti inquisitori e valutare con estrema attenzione e diligenza documenti ed informazioni sia favorevoli che contrari a ciascuna delle parti senza discriminazione né esclusione alcuna.


mercoledì 9 aprile 2014

Riciclaggio elettronico: il cyberlaundering

Sin dal 2005 varie indagini condotte da alcune Procure della Repubblica hanno fatto emergere un fenomeno sempre più diffuso che ha interessato numerosi istituti di credito italiani.

Stiamo parlando del cyberlaundering o "riciclaggio elettronico".

Il fenomeno si manifesta in più forme, la più classica e semplice delle quali prevede che una serie di soggetti residenti in Italia comunichino le proprie coordinate bancarie (codice IBAN) a soggetti operanti all'estero, affinché questi ultimi, tramite disposizioni online, possano bonificare somme di diverso importo su tali conti.

I soggetti italiani, una volta ottenuta la disponibilità della somma di denaro sul proprio conto, provvedono a prelevarla in contanti servendosi degli sportelli bancomat oppure a predisporre pagamenti a fronte di transazioni lecite (ad esempio per acquisti immobiliari).

Ma l'operazione appena descritta è solo una parte del progetto illecito!
E' solo la tranche finale che prelude al riciclaggio.

Ma le somme bonificate dai soggetti esteri (spesso residenti nei paesi dell'Est Europa) da dove traggono origine?




Le somme pervengono ai soggetti operanti all'estero attraverso trasferimenti Western Union e/o Money Gram (solo per fare un esempio) disposti dagli stessi soggetti italiani di cui sopra o da loro complici, prestanome o fiduciari.

Il denaro oggetto di trasferimento con la metodologia appena descritta, deriva quasi sempre da attività illecita effettuata sul territorio nazionale, la quale, per sua stessa natura, genera una grossa quantità di contante (spaccio di sostante stupefacenti, prostituzione, pizzo, tangenti eccetera) mentre il trasferimento dai conti stranieri ai conti italiani sarà giustificato con un'operazione commerciale apparentemente lecita ma inesistente (o parzialmente inesistente).

In letteratura i titolari dei conti correnti italiani, sono denominati genericamente "financial manager" poiché coincidono con coloro che pianificano e gestiscono l'intera operazione, mentre il ricorso a strutture di trasferimento internazionale di contanti si rende necessario perché il sistema di home-banking italiano non consente bonifici verso l’estero se non a seguito di specifici e routinari controlli che farebbero venire allo scoperto la truffa.

Quanto agli accertamenti idonei ad identificare le persone operanti all'estero, dall'esperienza investigativa maturata dalla Polizia Giudiziaria di Milano, si è rilevato molto utile l'analisi del traffico internet e degli apparati di comunicazione e trasmissione di file e/o di informazioni.

Ma anche le banche possono mitigare questo specifico rischio di frode attraverso lo sviluppo di specifici sistemi informatici e procedure di comportamento più moderne e aggiornate.

Quanto alla condotta posta in essere dai beneficiari italiani dei bonifici online, essa deve essere qualificata ai sensi dell’art. 648-bis codice penale, essendo idonea a porre in essere un'attività di riciclaggio di somme di denaro provento di reato.
Ovvero ai sensi dell’art. 648 c.p. (ricettazione) laddove, come verificatosi in alcuni casi osservati, non sia avvenuto il successivo trasferimento sui conti correnti italiani dopo l'ottenimento all'estero della somma di denaro.


martedì 1 aprile 2014

Finanza e politica tra Ior, Banco Ambrosiano, Cosa Nostra. La storia continua...

Maria Antonietta Calabrò
LE MANI DELLA MAFIA
prefazione di
Nando dalla Chiesa



Sulla mensola del fraud auditor non può mancare il risultato di un'inchiesta giornalistica tanto approfondita quanto chiara nella sua drammaticità.
Non solo perché l'autrice, la giornalista del Corriere della Sera Maria Antonietta Calabrò, tratta un argomento che appassiona i molti lettori del blog, il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, ma anche per il metodo di analisi utilizzato.

Un approccio da vero e proprio forensic accountant!  

Il volume è un ampio aggiornamento di una famosa edizione pubblicata nel 1991 arricchita in maniera particolareggiata e ben documentata con gli sviluppi delle vicende degli ultimi anni legate a quanto sta succedendo in Vaticano e in particolare allo IOR.

Una ricostruzione dettagliata e articolata che ha il merito di aver descritto i collegamenti esistenti tra l'attualità e gli avvenimenti accaduti negli anni '70 e '80.
La giornalista descrive con dovizia di particolari i cosiddetti "conti R" dei quali il blog Fraud Auditing & Forensic Accounting si è occupato diffusamente nello scorso dicembre (cliccare QUI per gli approfondimenti).

I misteriosi "conti R" accesi presso IOR ed espressi esclusivamente in lire sui quali figurano transazioni con clienti solamente italiani, gestiti da amministratori della banca vaticana "“in gestione confusa”, cioè senza rivelare i nomi dei clienti per cui compivano le operazioni".

Ebbene, i "conti R" rappresentano il fil rouge che collega Roberto Calvi ai fatti di questi giorni.

Ma di chi sono questi conti? Chi ne è il reale beneficiario economico? Quali operazioni hanno gestito? Per conto di chi? E quale ne è stata la sorte? Il Vaticano sarà disposto a fornire ogni informazione sulla loro movimentazione?
Sono solo alcune delle domande rimaste ancora senza risposta e che fanno pensare ad una storia ancora tutta da scrivere...




Di seguito si riporta un breve passo tratto dal libro Le mani della mafia, la cui interessante e attualissima prefazione (era stata scritta per la 1^ edizione del volume) dal titolo molto significativo L'Italia dei cassetti, è stata curata da Nando dalla Chiesa.

Il  brano che segue si riferisce al resoconto rilasciato da un testimone di primo livello, Carlo Calvi, molto noto ai lettori del blog per aver curato diversi articoli sul caso Banco Ambrosiano.

Si coglie infine l'occasione per ringraziare l'autrice, Maria Antonietta Calabrò, per aver citato il blog Fraud Auditing & Forensic Accounting come una delle fonti che l'hanno aiutata nella ricostruzione degli avvenimenti.

*   *   *

La testimonianza di Carlo Calvi

Pierluigi Maria Dell’Osso, oggi alla Superprocura antimafia e pubblico ministero nel processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano (trentatré condanne definitive), a fine luglio del 2013, dopo gli ultimi scandali dello Ior e l’arresto di monsignor Nunzio Scarano, ha dichiarato a "l’Espresso": "Se si fosse fatto buon governo di quanto avevamo detto, non sarebbe accaduto di nuovo".
Il "quanto avevamo detto" si riferisce però soltanto, in sostanza, a quanto riportato nella sua requisitoria scritta a proposito dei cosiddetti "conti interni in lire" tra Ambrosiano e Ior. Il processo milanese per l’insolvenza del Banco Ambrosiano, iniziato nel marzo del 1991, infatti, non si occupò mai dei conti interni, in quanto i pagamenti ai debitori italiani da parte dello Ior avevano avuto luogo al momento della liquidazione del vecchio istituto, per permettere la riapertura degli sportelli sotto le insegne del Nuovo Banco Ambrosiano. Cosicché il sistema dei conti misti dello Ior ha continuato a sussistere fino a oggi.

Il rapporto ispettivo della Banca d’Italia dopo le visite che si svolsero dal 17 aprile 1978 al 17 novembre dello stesso anno, al capitolo "Irregolarità in materia valutaria – Linea di credito in lire a non residente" annotava: "Il Banco Ambrosiano intrattiene intensi rapporti di conto con l’Istituto per le opere di religione sia in lire che in valuta". E proseguiva: "I saldi in lire sono anticipi erogati nell'ambito di una linea di credito concessa dall'ispezionata a Ior [...]. L’operazione non è consentita dalla vigente normativa [...]. Ior non può intrattenere presso banche italiane conti e depositi in lire interne per cui lo stesso dovrà necessariamente munirsi di autorizzazione".

"Mio padre teneva con sé sempre aggiornati i saldi di questi depositi di reciprocità con Ior in Italia" ha confermato Carlo Calvi, il figlio del banchiere, durante il processo per omicidio. "Si trattava di sei conti che gli ho visto spesso esaminare."

Lo Ior aveva anche altri conti con le banche italiane del gruppo Ambrosiano. Federico Bussoletti, direttore della filiale di piazzale Gregorio VII nella Capitale, ha testimoniato, sempre al processo di Roma, che i fondi vi circolavano in maniera indistinguibile essendo conti di transito in nome Ior. "Includo di seguito la tabella dei conti esclusivi Ior in gestione confusa" ha scritto alla fine del 2013 Calvi sul blog Fraud Auditing and Forensic Accounting
Tra questi si noterà il n. 42800, acceso presso la filiale Ambrosiano di piazzale Gregorio VII a Roma. Bussoletti ha testimoniato l’esistenza per depositi in conti a loro nome presso banche italiane di cui solo il Vaticano conosceva la giustificazione. Poi il figlio di Calvi cita un funzionario: "Giuseppe Sormani ha continuato a svolgere la stessa funzione in Banca Intesa Sanpaolo fino al pensionamento".

Carlo Calvi ha aggiunto: "Neppure la Commissione mista italovaticana per la composizione dello scandalo si occupò dei depositi di reciprocità in lire. Il Vaticano riconobbe immediatamente questi debiti, già nei primi giorni di agosto del 1982, ma non produsse la relativa “corrispondenza parallela” che si applicava anche in Italia. Non si trattava di ordinari depositi interbancari. Servivano a nascondere all'interno del Vaticano prestiti a terzi e farli apparire come depositi dall’Ambrosiano".

I "lira back to back", così si chiamavano, rivestono ancora oggi particolare rilevanza perché sono "rimasti attivi" fino al 2012 e sono all'origine delle più recenti istruttorie della magistratura romana e del clamoroso blocco dei bancomat in Vaticano scattato il 1° gennaio 2013.

L’attenzione sulla normativa antiriciclaggio della Santa Sede, infatti, si è rivolta sull'uso cumulativo in favore di clienti terzi dei conti Ior con le banche italiane o di diritto italiano. "Il processo romano per l’omicidio di mio padre non ha colto il legame con il processo milanese per l’insolvenza" ha sottolineato il figlio di Calvi.

I conti Ior con banche italiane sono sfuggiti alle indagini da parte di Banca d’Italia e magistratura per i venticinque anni successivi alla bancarotta e fino all'entrata in vigore della Convenzione monetaria tra Santa Sede e Unione Europea che, come ha sottolineato il Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, attribuisce più larga discrezione agli organi di vigilanza.

"Somme ingentissime hanno continuato a transitare in questo modo per destinazioni sconosciute fino al 2009 e questo perché si è consentito allo Ior di rimborsare al vecchio Banco Ambrosiano i debiti diretti. Nel processo per l’omicidio di mio padre poche testimonianze hanno portato sui conti Ior con Ambrosiano in Italia e su trent'anni di liquidazioni" ha scritto infine Carlo Calvi sul citato blog, domenica 29 dicembre 2013.

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Per l'acquisto on-line cliccare:
Le mani della mafia di Maria Antonietta Calabrò.
Finanza e politica tra Ior, Banco Ambrosiano, Cosa nostra. La storia continua...
prefazione di Nando dalla Chiesa
(ed. 2014, 416 p., chiarelettere - collana tascabili. Prezzo di copertina: € 14,00 - eBook: € 9,90).