L’introduzione
di limiti alla circolazione del contante, l’obbligo di utilizzare la rete
bancaria per effettuare determinate transazioni economiche e una maggiore vigilanza
sugli istituti di credito, hanno
certamente reso la vita un po’ più difficile ai riciclatori di denaro di
provenienza illecita.
Dagli studi
descritti in dottrina sappiamo che un processo di riciclaggio si compone
essenzialmente di tre fasi: “placement”,
“layering” e “integration”.
I casi di
scuola, come pure le numerose esperienze maturate sul campo, ci insegnano che
un sicario, per fare un esempio qualsiasi, ben difficilmente è remunerato, a
fronte della “prestazione” fornita, attraverso un bonifico bancario.
Al contrario è
più ragionevole pensare che la maggior parte delle transazioni illecite
avvengano grazie al passaggio fisico di cartamoneta, contenuta, ad esempio, in
anonime valigette transitanti di mano in mano. Affidarsi allo strumento di
pagamento più tradizionale, il biglietto cartaceo appunto, assicura infatti l’anonimato,
l’intracciabilità del flusso finanziario, la possibilità di frammentare la
somma in importi più ridotti al fine di trasportarla comodamente e
dislocarla in luoghi diversi. Questa è la fase di “placement”.
Una volta che
il fondo illecito è collocato in un luogo sicuro, il problema da affrontare riguarda
principalmente il suo impiego in attività lecite. E allora ci s’ingegna ad escogitare un sistema efficiente che faccia arrivare il denaro da un
punto A ad un punto B, aggirando le normative antiriciclaggio e senza che A e B
siano in nessun modo collegabili. Questa è la fase di “layering”. E sono vari i metodi grazie ai quali si attua l’attività
di “layering dirty money”!!
Alcune
tecniche di riciclaggio sfruttano le carenze di controllo esistenti presso le
filiali bancarie “periferiche”, ubicate ad esempio nei Paesi ad elevato grado di
corruzione, al fine d’introdurre la provvista illecita nel sistema;
dopodiché le somme sono movimentate attraverso la rete bancaria.
Altri
utilizzano complicate operazioni che implicano la sottoscrizione
di prodotti finanziari creati ad hoc
o di particolari polizze assicurative idonee a garantire l’anonimato sulla
titolarità dei fondi. Nei casi più
sofisticati sono utilizzate strutture societarie operanti presso i centri finanziari cd. off-shore. Tornerò in futuro su questo
argomento.
L’obiettivo è
quello di frammentare la provvista iniziale in più rivoli, stratificarla, movimentarla,
aggregarla e disaggregarla più volte e in tempi rapidissimi, facendola transitare in più conti
correnti accesi presso banche diverse e continuando a trasformarla in valute
differenti, mischiandola e camuffandola con fondi di provenienza lecita. Moving money, insomma!!
Una vera e
propria “centrifuga monetaria” che implica anche l’utilizzo di pratiche interruttive
del tracciamento del flusso bancario, ne è esempio classico il prelievo di
contante presso una determinata banca e il contestuale deposito della medesima
somma presso un altro istituto di credito.
Ma come in
seguito ad ogni buon lavaggio i panni tornano puliti, così anche il denaro
sporco dopo un vigoroso processo di riciclaggio torna a profumare...
Una volta ripulito,
il denaro è depositato su conti correnti accesi anche presso le più autorevoli e blasonate istituzioni bancarie occidentali, pronto per essere reimpiegato nelle più
disparate attività lecite. Questa è la fase di “integration”.
Ma quali
possono essere le attività di contrasto al fenomeno di “cleaning money”?
Le risposte,
sicuramente non esaustive (questo è solo un blog!), nei prossimi post…