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domenica 23 ottobre 2011

Chasing dirty money

L’introduzione di limiti alla circolazione del contante, l’obbligo di utilizzare la rete bancaria per effettuare determinate transazioni economiche e una maggiore vigilanza sugli istituti di credito, hanno certamente reso la vita un po’ più difficile ai riciclatori di denaro di provenienza illecita.
Dagli studi descritti in dottrina sappiamo che un processo di riciclaggio si compone essenzialmente di tre fasi: “placement”, “layering” e “integration”.
I casi di scuola, come pure le numerose esperienze maturate sul campo, ci insegnano che un sicario, per fare un esempio qualsiasi, ben difficilmente è remunerato, a fronte della “prestazione” fornita, attraverso un bonifico bancario.
Al contrario è più ragionevole pensare che la maggior parte delle transazioni illecite avvengano grazie al passaggio fisico di cartamoneta, contenuta, ad esempio, in anonime valigette transitanti di mano in mano. Affidarsi allo strumento di pagamento più tradizionale, il biglietto cartaceo appunto, assicura infatti l’anonimato, l’intracciabilità del flusso finanziario, la possibilità di frammentare la somma in importi più ridotti al fine di trasportarla comodamente e dislocarla in luoghi diversi. Questa è la fase di “placement”.
Una volta che il fondo illecito è collocato in un luogo sicuro, il problema da affrontare riguarda principalmente il suo impiego in attività lecite. E allora ci s’ingegna ad escogitare un sistema efficiente che faccia arrivare il denaro da un punto A ad un punto B, aggirando le normative antiriciclaggio e senza che A e B siano in nessun modo collegabili. Questa è la fase di “layering”. E sono vari i metodi grazie ai quali si attua l’attività di “layering dirty money”!!
Alcune tecniche di riciclaggio sfruttano le carenze di controllo esistenti presso le filiali bancarie “periferiche”, ubicate ad esempio nei Paesi ad elevato grado di corruzione, al fine d’introdurre la provvista illecita nel sistema; dopodiché le somme sono movimentate attraverso la rete bancaria.
Altri utilizzano complicate operazioni che implicano la sottoscrizione di prodotti finanziari creati ad hoc o di particolari polizze assicurative idonee a garantire l’anonimato sulla titolarità dei fondi.  Nei casi più sofisticati sono utilizzate strutture societarie operanti presso i centri finanziari cd. off-shore. Tornerò in futuro su questo argomento.
L’obiettivo è quello di frammentare la provvista iniziale in più rivoli, stratificarla, movimentarla, aggregarla e disaggregarla più volte e in tempi rapidissimi, facendola transitare in più conti correnti accesi presso banche diverse e continuando a trasformarla in valute differenti, mischiandola e camuffandola con fondi di provenienza lecita. Moving money, insomma!!
Una vera e propria “centrifuga monetaria” che implica anche l’utilizzo di pratiche interruttive del tracciamento del flusso bancario, ne è esempio classico il prelievo di contante presso una determinata banca e il contestuale deposito della medesima somma presso un altro istituto di credito.
Ma come in seguito ad ogni buon lavaggio i panni tornano puliti, così anche il denaro sporco dopo un vigoroso processo di riciclaggio torna a profumare...


Una volta ripulito, il denaro è depositato su conti correnti accesi anche presso le più autorevoli e blasonate istituzioni bancarie occidentali, pronto per essere reimpiegato nelle più disparate attività lecite. Questa è la fase di “integration”.


Ma quali possono essere le attività di contrasto al fenomeno di “cleaning money”?
Le risposte, sicuramente non esaustive (questo è solo un blog!), nei prossimi post…